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5 dicembre 2011 - 9 Kislev 5772
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Alfredo Mordechai Rabello Alfredo Mordechai Rabello, giurista

Ogni uomo deve sapere e comprendere che dentro di lui arde un lume, ed il suo lume non è come il lume  del suo compagno e non vi è uomo che non abbia un lume. Ed ogni uomo deve sapere e comprendere di doversi dar da fare e rendere visibile la luce del lume in pubblico, accenderla come una grande fiamma ed illuminare il mondo intero. (rav Avraham Isaac Kook)  

Anna
Foa,
storica

   
anna foa
Su Libero di ieri, un articolo dedicato a Pitigrilli, al secolo Dino Segre, che ci viene presentato intento, fra una partita di poker e l'altra, a pelare patate nel 1943  in un campo di internamento in Svizzera. Scrittore torinese molto noto sotto il fascismo per la sua vita spregiudicata e i suoi libri considerati pornografici, resta conosciuto soprattutto per la sua attività di spia al servizio dell'OVRA, che lo portò a denunciare tutto il gruppo torinese di Giustizia e Libertà in cui si era infiltrato, e fra l'altro suo cugino Sion Segre. Periodicamente, escono libri ed articoli volti a riabilitarlo. Quello di Libero è fastidioso per due motivi: il primo è che le attività di Giustizia e Libertà a Parigi sono definite "congiure anti-italiane ordite negli ambienti massonici vicini alla Concentrazione antifascista". Il secondo perché ci racconta che, alla morte di Pitigrilli nel 1975, la sua vedova Lina Furlan avrebbe chiesto a una persona che le faceva le condoglianze: "Ma a  lei non dispiaceva che fosse ebreo?". E poi si dice che gli italiani non erano antisemiti!

davar
Elezioni - Le forze in gioco nello scacchiere mediorientale
Gli esiti delle elezioni maghrebine, da ultimi quelli in Egitto, dove la fratellanza musulmana raggiunge il 36 per cento dei voti e i partiti islamici, nel loro complesso, varcano la soglia dei due terzi dei consensi, sono il prevedibile risultato del tumultuoso mutamento che è in atto da un anno in tutta la regione mediorientale. Un tassello ancora mancante è quello libico, così come la crisi siriana deve ancora produrre tutti i suoi effetti, ma non è poi troppo difficile prevedere che se si andasse, prima o poi, a riscontri elettorali i risultati non differirebbero troppo, nell’uno come nell’altro caso. L’effetto domino è in atto, varcando le soglie delle singole specificità nazionali e regionali. Perché lo sbocco delle sollevazione ha assunto tale fisionomia e, in prospettiva, cosa ce ne potrà derivare? Un elemento che va posto in rilievo, dinanzi alle perplessità se non ai timori che questi risultati alimentano, è che l’islamismo espresso dai singoli partiti non ha una sola radice. Non siamo in presenza della realizzazione di un progetto continentale o di natura geopolitica bensì della manifestazione dell’intrinseca debolezza di ogni forma di organizzazione politica che non abbia a referente l’identità musulmana. Quest’ultima non è un pieno di valori né, tanto meno, di progetti ma una sorta di coperchio che si pone su società in ebollizione, destinate a vivere ancora i tormenti di una modernità esitante, che le ha per più aspetti punite. In sostanza, gli islamisti non vincono perché hanno qualcosa da dire ma perché le forze che, a vario titolo, potremmo definire “laiche” sono afone e incapaci di formulare proposte credibili. Non di meno i partiti fondamentalisti sono quelli che in anni di regimi oppressivi, autocratici, vessatori hanno saputo mantenere una qualche ramificazione sociale, prima ancora che politica, usando la religione come copertura. La vicenda di Gaza, tra la fine degli Settanta e il 2006, ne è un riscontro per più aspetti. Il consenso ai partiti “religiosi”, diventando così una sorta di bene rifugio, in mancanza di élite alternative, sembra essere il male minore. Il voto non ha quindi una natura rivoluzionaria, così come forse avrebbero aspirato una parte dei rivoltosi, bensì conservatrice. E deriva, tra le altre cose, da due fattori: il primo di natura interna ai singoli paesi, laddove la matrice comune è la forbice crescente tra l’evoluzione demografica e la collocazione nel mercato internazionale del lavoro; il secondo rimanda al conflitto tripartito che è in gioco tra la Turchia neo-ottomana di Erdogan, l’Arabia Saudita wahhabita e il pencolante Iran. Dietro ci sta il gruppo dei paesi del Bric, il consesso delle nazioni a nuovo sviluppo avanzato, che stanno misurando la dimensione della crisi egemonica americana, la superpotenza oramai assente dal Mediterraneo, e l’inerzialità politica dell’Unione Europea, che potrebbe precorrerne lo sfaldamento. Dovremo fare i conti, quindi, con le forze nazionali, ora in campo, ma anche con la Russia, la Cina, il Brasile e l’India, che conteranno sempre di più nel nostro futuro di paesi già ricchi e, adesso, sempre più squattrinati.

Claudio Vercelli, storico

Qui Roma - Il mikve del Beth Shalom, "una grande mitzva"
mikwe“È un evento straordinariamente felice e importante. L’inaugurazione del mikve è una grande mitzva, un segnale significativo per il futuro di questo tempio e per gli ebrei romani”. Con queste parole rav Riccardo Di Segni, rabbino capo della Comunità ebraica di Roma, ha inaugurato ieri sera, assieme a rav Umberto Piperno e Gavriel Levi, la realizzazione del “mikve Sara” del tempio Beth Shalom. Un momento di raccoglimento, di gioia e di speranza a cui hanno partecipato con entusiasmo le diverse famiglie che frequentano la piccola sinagoga di via veronese e non solo. Nonostante diverse traversie nella costruzione durate alcuni anni, il mikve (vasca contenente acqua di fonte o acqua piovana utilizzata per la purificazione rituale, tramite immersione, di una persona) è ora pronto e ruolo fondamentale ha avuto il grande contributo della famiglia Steindler. “I lavori sono stati lunghi e difficoltosi – sottolinea Miki Steindler, la cui partecipazione ha permesso la realizzazione del progetto – ma alla fine il risultato è stato assolutamente positivo. Chi è venuto a vedere il mikve è rimasto entusiasta e speriamo che questo possa attirare persone nuove”. Nel progetto, dedicato alla memoria di Sandra Bachi Steindler e da qui il nome “Sara”, hanno avuto un ruolo di primo piano rav Yishai Hochman e l’architetto Domenico Ciucci . “Hanno seguito passo dopo passo le tante e complesse fasi di realizzazione, ciascuno ovviamente secondo le proprie competenze – spiega Steindler che poi si sofferma sul significato di questa iniziativa - Le mitzvot si compiono con grande fatica, con mesirut nefesh (auto sacrificio). In Israele, per esempio, la mesirut nefesh si traduce nella difesa dello Stato da parte delle migliaia di ragazzi di Tzahal. Per noi ebrei della Golah i compiti sono diversi ma comunque importanti per mantenere vivo il nostro futuro. Per noi, la realizzazione di questo mikve è stata veramente faticosa e complicata sotto diversi punti di vista. Ma la fatica è stata ricompensata con un ottimo risultato, anche in prospettiva futura”.

pilpul
In cornice - Per Warhol sì, per Leonardo no
Daniele LiberanomePerché quel che vale per i Warhol i Hirst non vale per i Giotto e i Leonardo? Artisti antichi, moderni e contemporanei spesso usavano gruppi di assistenti per realizzare le opere che avevano ideato. Si dice che un quadro di Warhol è suo, anche se lui l'ha solo concepito ed è stato poi prodotto da qualcuno dei suoi tanti aiutanti (Warhol chiamava il suo studio Factory – fabbrica). Per Leonardo, invece, per dire che un dipinto sia suo, non basta che sia del suo periodo e del suo tipico stile, e neppure che siano stati utilizzati i suoi particolarissimi materiali. Bisogna che i grandi esperti stabiliscano che sia “di sua mano”, come se dice, cioè che l'abbia dipinto proprio lui. E se dopo le solite mille discussioni, non tutti questi Soloni ne sono convinti, il quadro viene al meglio definito di "bottega" e finisce in un mezzo dimenticatoio. Diventa quindi difficile organizzare mostre dei grandi del passato e così ricordarli al pubblico, perché le opere certamente “loro” sono poche e i musei se le tengono strette. Quando si riesce, il successo è clamoroso: la National Gallery è aperta tutte le notti fino al 5 Febbraio, perché la folla di visitatori alla mostra di Leonardo è da stadio. Ma sono eventi rarissimi e i riflettori si accendono di solito su artisti moderni e contemporanei. La strana convenzione degli esperti di arte antica finisce per ritorcersi contro i grandi del passato e farli cadere dal loro piedistallo.

Daniele Liberanome, critico d'arte

Tea for two - Sindrome di dicembre
Rachel SilveraRoma sembra una signora agghindata che ha esagerato con gli accessori. Girano pochi soldi, ma i giornali dedicati al popolo femminile inseriscono con una punta di sadismo lo speciale regali e il consumismo si veste a festa. La sindrome da mancanza di Natale sta per colpirci. E se in America anche Chanukkah è parte integrante del business "auguri di buon natale e felice anno nuovo", in Italia dovremmo accontentarci di appoggiare le manine sul vetro di un negozio di balocchi (con esposto, ovviamente, un trenino vintage fiammante) e osservare con cupidigia come se fossimo dentro un romanzo di Dickens. Se i tuttologi snobbano il Natale e lo sdoganano come pura invenzione di qualcuno per governare il mondo e convincerci che siamo tutti un po' più buoni, noi che non lo abbiamo mai festeggiato non possiamo fingere di non subire il fascino delle piccole gioie culinarie, degli abeti decorati con la neve finta e dei pacchetti in bilico a formare una piramide. Ma non disperiamo, gli insider narrano del cenone come della prefigurazione di un girone infernale, con vecchi segreti che salgono in superficie, zii che danzano sfrenati tra le braccia di Bacco e il panettone che si schianta sulla faccia di un commensale sfortunato. Più o meno un seder riuscito male (in Usa hanno anche girato un film parodia dal titolo 'When do we eat?'). Puntiamo dunque lo sguardo alla chanukkiah accanto alla finestra e dimentichiamoci dell'abete sintetico vicino al camino crepitante.

Rachel SIlvera, studentessa

notizie flash   rassegna stampa
Israele, pericolo Assad 
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Il declino del regime di Bashar Assad potrebbe avere gravi ripercussioni su Israele. Intervenendo a una trasmissione della radio militare israeliana Shaul Mofaz, presidente della commissione per gli affari esteri e la difesa della Knesseth, ha affermato che “esiste una ragionevole possibilità che Assad cerchi di distogliere l’attenzione dai massacri che sta perpetrando contro il suo popolo attaccando Israele”. La stessa radio israeliana ha dato la notizia che in questi giorni l’esercito siriano sta portando avanti delle manovre militari in cui sarebbe incluso il lancio di missili a lunga gittata.
 
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