se non visualizzi correttamente questo messaggio, fai click qui

21 novembre 2011 - 24 Cheshwan 5772
linea
l'Unione informa
ucei 
moked è il portale dell'ebraismo italiano
 
alef/tav
linea
Riccardo Di Segni Riccardo
Di Segni,
rabbino capo
di Roma

Poche sono state le voci critiche davanti al coro di cordoglio per la scomparsa di Steve Jobs, il fondatore dell'Apple, e tra queste si è segnalata quella di rav Jonathan Sacks, che ha denunciato il contributo alla società consumistica dato da Jobs, "sceso giù dalla montagna con due tavole (gioco di parole con l'inglese tablets), iPad one e iPad two, con il risultato che noi abbiamo una cultura di iPod, iPhone, iTune, i, i, i.  Non vai molto bene se sei una cultura individualista ed egocentrica e ti preoccupi solo dell'"i" " (al minuscolo è l'iniziale dei prodotti Apple, al maiuscolo, con la stessa pronuncia in inglese, significa "io"). Le polemiche per questo intervento ("pubblicità per l'Apple", "perché prendersela solo con lui","parla come un Imam" ecc.) hanno costretto rav Sacks a una rettifica, nella quale ha dichiarato che lui stesso usa questi prodotti. Ma la provocazione, forse estremistica, del rabbino inglese serve a fermare un po' gli entusiasmi e a mettere sul tavolo una riflessione sul senso di una civiltà in cui il progresso tecnologico si accompagna alla creazione di pulsioni consumistiche di prodotti che danno solo effimera felicità. Ma se la felicità è effimera, possono essere utili: dipende da come vengono utilizzati. In uno degli "smart" phone che ho a disposizione per lavoro, e non dico quale (ne ho di due tipi, che non sono solo marche, ma  sistemi e quasi religioni differenti) ho caricato il calendario ebraico con gli orari delle tefillot e dello Shabbat, la Torah con Rashì, l'intero Tanakh, l'intero Talmud Babilonese con Rashì e lo Shulchan 'Arukh. Nel testo originale, e ognuno con il suo bravo motore di ricerca, consultabili ovunque e in qualsiasi momento. Non è felicità ma tecnologia - oserei dire formidabile - al servizio della Torah.

Anna
Foa,
storica

   
anna foa
Chissà se, dopo aver smesso di adornare i banchi del governo, le scarpe con il tacco a spillo di dodici centimetri spariranno anche dalle vetrine dei negozi di scarpe e dall'abbigliamento delle donne comuni?
davar
Qui Trieste - Il lungo percorso della formazione
Corso di formazioneSi è partiti dai valori comuni alle Comunità ebraiche, da quella costellazione di principi che, fra tradizione e contemporaneità, sono la premessa e al tempo stesso l’obiettivo dell’agire quotidiano e della pianificazione per il futuro. Il programma d’incontri e seminari realizzato dal Centro studi e formazione del Dec-Dipartimento educazione e cultura UCEI, dopo la tappa di apertura a Milano, ha toccato in queste ore, nel suo secondo appuntamento documentato da alcuni scatti di Giovanni Montenero, la Comunità ebraica di Trieste. L’obiettivo dell'iniziativa, che prevede nei prossimi mesi sessioni di lavoro a Napoli, Firenze e Torino, è quello di costruire un network di leader e professionali comunitari preparati e al passo con le sfide dei tempi, capaci di gestire le Comunità secondo i modelli più aggiornati e di lavorare in costante contatto con i colleghi delle altre realtà comunitarie e con l’Unione della Comunità Ebraiche Italiane. Il tutto sempre tenendo presenti i pilastri che devono ispirare e motivare l’azione ebraica. 
Eveline Goodman Thau“L'identità ebraica e l'identità europea sono strettamente interconnesse. Ma la cultura ebraica è la sola che oggi può combinare le diverse anime culturali e religiose di un'Europa sempre più pluralista”. Filosofa, docente fra Gerusalemme, Berlino e Vienna, straordinaria divulgatrice, femminista religiosa e una delle rarissime donne al mondo ad aver ottenuto da autorità rabbiniche ortodosse un'ordinazione di ordine rabbinico al femminile, Eveline Goodman-Thau ha cominciato a Trieste, ospite del corso di forrmazione, una sua missione nella realtà italiana che la porterà domani sera a Milano per partecipare al dibattito sulla condizione femminile organizzato dalla stessa Comunità. Innumerevoli gli spunti offerti a un uditorio visibilmente interessato a spunti di apertura sulla scena degli studi internazionali. La carenza di strutture di studi avanzati in campo ebraico deprime gravemente la vita ebraica in Italia, come ha osservato, sempre nell'ambito dello stesso corso, lo storico Guri Schwartz in un proprio intervento. "Questa situazione, ha affermato, corre il rischio di segnare un solco di conoscenze e di stimoli lasciandoci indietro rispetto a realtà come la Gran Bretagna, la Francia e la Germania dove molti atenei pubblici e privati hanno consolidato corsi di studi universitari ebraici di alto profilo".

Verso il cambiamento

Rav Roberto Della RoccaPer tracciare un bilancio complessivo si dovrà ancora attendere un po’. Ma il primo spezzone d’attività, afferma rav Roberto Della Rocca, direttore del Dec-Dipartimento educazione e cultura dell’UCEI, è stato molto positivo sia sul fronte della partecipazione al corso sia nel coinvolgimento dell’intera Comunità ai momenti culturali. E numerosi nonché costruttivi sono stati gli spunti proposti, nel corso degli incontri, dai docenti e dagli stessi iscritti.

A giudicare da questi primi incontri l’esigenza formativa è stata centrata?
Direi che sono state poste le prime basi per la costruzione di un cambiamento che passa inevitabilmente per un confronto ampio e la comprensione dei nuovi bisogni e necessità. I temi proposti erano molto ampi e sono stati trattati in modo molto soddisfacente. In parallelo è emersa una forte esigenza da parte dei partecipanti di mettere sul tavolo i problemi concreti e aprire un confronto tra politici e professionali.
Un dialogo non sempre facile.
Gli scambi, come previsto dalla struttura del corso, sono stati facilitati dai docenti e si sono rivelati molto interessanti. L’esperienza della prima fase ci ha mostrato, attraverso i feedback dei partecipanti, che questo è ad esempio un aspetto che può ulteriormente venire messo a punto.
In che modo?
L’interazione fra i vari gruppi di utenti a volte va fluidificata, vi sono livelli di conflittualità anche concettuali anche tra le diverse Comunità o tra i ruoli e le competenze. I facilitatori sono necessari perché i diversi linguaggi riescano a capirsi reciprocamente e a dialogare. A questo scopo nelle prossime fasi i docenti perfezioneranno gli strumenti e proporranno percorsi specifici.
Ci sono difficoltà da segnalare?
L’unica questione su cui richiamerei l’attenzione è che gli utenti premono perché si diano delle ricette per risolvere i problemi. Questo però non è possibile: i diversi temi vanno analizzati e si devono verificare i bisogni. Solo così si possono proporre soluzioni efficaci.
Accanto agli incontri per gli iscritti al corso, il progetto prevede dei momenti aperti alla Comunità. Qual è stata finora la risposta?
Senz’altro ottima. Il momento comunitario ha coronato il lavoro di formazione registrando una partecipazione notevole. Tanto che, dopo il successo dell’incontro milanese, è stato organizzato a Trieste, accanto ai momenti culturali già previsti, uno Shabbaton aperto alle famiglie delle altre Comunità. Il tema fondamentale della formazione alla leadership si è così coniugato all’opportunità di vivere insieme dei momenti ebraici.

Perché scommettiamo sulla professionalità

Alfonso SassunCommunity management, gestione delle risorse umane, motivazione del personale, comunicazione. A contrassegnare il programma formativo per la leadership ebraica sono tematiche ormai divenute pane quotidiano nel mondo aziendale. Ma trasferirle in ambito ebraico significa sottoporle a un’accurata revisione capace di adattarle alla realtà sfaccettata e assolutamente particolare della vita comunitaria e d’interpretarle alla luce dei valori ebraici. Una rilettura in chiave professionale delle Comunità deve partire da questi aspetti, sottolinea Alfonso Sassun, segretario generale della Comunità ebraica di Milano, alle spalle una lunga esperienza nella formazione per la Olivetti e un’esperienza comunitaria in veste di assessore, che ha collaborato al progetto del Dec ed è intervenuto all’incontro triestino. “Il volontariato – sottolinea – è caratterizzato da un forte senso di appartenenza, è orientato al fare con disinteresse personale. Ma buona volontà, generosità e disponibilità oggi non sono più sufficienti. Ci vogliono preparazione, competenze, esperienza così da poter definire una programmazione e una strategia efficaci sul breve, medio e lungo periodo. Altrimenti si rischia di offrire servizi di qualità scadente e di perdere credibilità tanto nei confronti degli iscritti che dei professionali”.
Riguardo a questi ultimi, sottolinea Sassun, i criteri di reclutamento dovrebbero fondarsi sulle esigenze della Comunità e dunque sulle competenze della persona più che, come talvolta può accadere, su un suo stato di bisogno cui va provveduto in modo diverso. E i percorsi di carriera vanno governati, in piena trasparenza. Magari aiutandosi con una dose abbondante di buona comunicazione: perché non basta aprire la bocca per riuscire davvero a far comprendere il proprio messaggio e il fatto di conoscersi fin dall’infanzia non è affatto garanzia di mutua comprensione o condivisione degli obiettivi. “Comunicare – precisa Sassun – è una responsabilità diffusa che riguarda tutte le persone dell’organizzazione e significa trasmettere messaggi, condividere messaggi, consolidare l’unità sociale. Qualsiasi cosa si intenda per comunicazione è un’attività vitale per ogni organizzazione”. La comunicazione è anzi uno degli strumenti fondamentali per i leader, cui è richiesto oggi di trasformare le Comunità in strutture efficienti, trasparenti, attrattive, aperte all’innovazione, specialiste nel coinvolgere i giovani anche attraverso iniziative che facilitano il ricambio generazionale, capaci di rendicontare le dimensioni economiche e sociali ed esperte di cooperazione interistituzionale. 

Daniela Gross (Pagine Ebraiche, dicembre 2011)

Qui Roma - Razzismo e luoghi della Memoria
Convegno PitiglianiEscludere e includere. I regimi totalitari, i movimenti razzisti e xenofobi, oggi come nel passato hanno fatto largo uso di questa combinazione. All'argomento è dedicato il convegno “Inclusione ed esclusione. Luoghi della memoria, un percorso teoretico/storico”, apertosi questa mattina al Centro Ebraico italiano Pitigliani di Roma. L'iniziativa, realizzata in collaborazione con l’UCEI e la Fondazione Cdec, è rivolta in particolare al mondo della formazione e dell’insegnamento. Due i filoni di riferimento della giornata di studio: “l’elaborazione teorica dell’esclusività”, tema della sessione mattutina, e la “esclusione ed inclusione nei Luoghi della memoria” per quella pomeridiana. A coordinare i lavori Michele Sarfatti, direttore del Cdec e Rita Gravina della Federazione nazionale insegnanti del Lazio.
Razzismo e antisemitismo si fondano sul concetto di esclusione dell’altro, percepito come un essere inferiore, su cui la “razza dominante” può tiranneggiare sulla base di una presunta superiorità morale, etnica o nazionale. Sull’impatto di queste ideologie nella modernità, il cui risultato terribile fu la Shoah, si interrogano alcuni dei relatori, fra cui Giovanni Ruocco, Gabriele Rigano e Stefano Gatti. Uno sguardo invece geografico, sul significato dei luoghi della memoria, tra cui Fossoli, il ghetto di Roma e Carpi, sarà al centro degli interventi pomeridiani di Michele Sarfatti, Marzia Luppi e Claudio Procaccia.
A concludere i lavori Margerita Donatelli, Luca Sabano e Livia Testa sul significato, l’importanza e le modalità dell’organizzazione dei viaggi di istruzione nei luoghi della Memoria.


pilpul
Dal posto delle donne
Donatella Di CesareNon è un segreto che i riformati cerchino di cavalcare il disagio che le donne avvertono negli ultimi anni. Nel loro spirito illuministico, nella loro euforia riformatrice, credono e fanno credere che si tratti di cambiare qui e là i testi, modificare mitzvòt, introdurre magari un nuovo minhag, per risolvere la «questione femminile».
Anzitutto: che formula infelice e insieme sintomatica! Chi ha detto che c’è una questione femminile? E che non ci sia invece una questione maschile? Con le dovute distinzione la formula fa il paio con un’altra: la «questione ebraica». E come ha detto Hannah Arendt: «la moderna questione ebraica nasce nell’Illuminismo; è l’Illuminismo, cioè il mondo non ebraico, che l’ha posta». In modo analogo si potrebbe dire che sia la concezione illuministica di alcuni uomini, improntata a un vuoto egualitarismo, a porre la «questione femminile». Come se, in una supposta evoluzione, le donne si emancipassero facendo quello che fanno gli uomini, occupando gli stessi spazi, svolgendo gli stessi ruoli.
Non è così. Si confondono in questo modo emancipazione e liberazione; chi conosce il pensiero femminista sa tenerle distinte. Una donna può essere emancipata, può guidare un autobus per le vie trafficate, può essere magistrato e condannare i capimafia, può fare il professore all’università, insegnare a scuola; ma non necessariamente sarà una donna liberata, consapevole cioè, non solo della propria dignità, ma anche della differenza del suo modo di essere, di pensare, di parlare, di agire. Al punto da chiedersi: chi vuole essere come gli uomini? Forse la cosiddetta evoluzione dovrebbe percorrere un cammino opposto: non sono le donne a doversi avvicinare agli uomini, bensì gli uomini a voler scoprire e apprezzare l’universo delle donne.
Perché mai pregare, ad esempio, sedute accanto agli uomini sarebbe preferibile? In che cosa ne verrebbe aumentata l’autostima? E se invece stare accanto ad altre donne non significasse assaporare qualche ora di suggestiva intimità? Stare tra le donne non equivale ad essere relegate o emarginate. Vuol dire semmai vedere la realtà dalla prospettiva opposta a quella maschile, che non è l’unica.
Fuori dall’alternativa tra protagoniste e comparse, quello che le donne desiderano è di poter partecipare, cioè essere coinvolte e coinvolgere a loro volta. Anzitutto nello studio. Senza perdere tuttavia la propria angolazione, senza abbandonare il proprio posto. La tradizione ebraica, che insegna la differenza delle donne, è perciò in questo senso una enorme risorsa. D’altronde negli Stati Uniti, in Israele, ma anche in molti paesi europei, le comunità che si definiscono «modern orthodox» chiedono alle donne un’intensa partecipazione.
Questo dovrebbe valere anche in Italia dove grande è il disorientamento nel mondo femminile. Se è facile condannare il burqa e l’esclusione delle donne nel mondo islamico, ben più difficile è denunciare il modo in cui le donne sono state trattate nell’era berlusconiana. Si vorrebbe parlare al passato, perché è dolorosa ancora la ferita. Fa vergogna pensare ai modelli femminili imposti in questi ultimi anni: pantaloni e scolature ammiccanti, pezzi di corpo maschilmente impiegati per le voglie maschili, in vista di un fantomatico potere. Tra la sfacciataggine del senza-faccia e il burqa, c’è una bellezza femminile che è stata sommersa, che deve essere riscoperta.
Che dei suggerimenti non vengano proprio dal mondo ebraico? Lo speriamo. D’altronde, in tante comunità, le donne hanno dimostrato di avere idee, iniziative e desiderio di impegnarsi. Ma l’impegno non dovrebbe ricadere nell’economia di scambio né attendere necessariamente la ricompensa. Tanto meno quella di un ruolo istituzionale. In tal senso non posso concordare con le scelte della mia amica Eveline Goodman-Thau, pur comprendendole all’interno della sua biografia. Non è necessario essere «rabbine» per insegnare, per imparare, per essere un punto di riferimento in una comunità. 

Donatella Di Cesare, filosofa

notizie flash   rassegna stampa
Nucleare: Teheran minaccia Israele
  Leggi la rassegna

“Mi auguro che Israele commetta l’errore di attaccare così potremo finalmente mandare i nemici dell’Islam nella pattumiera della Storia”. A rilasciare questa scioccante dichiarazione il generale Amir-Ali Hadjizadeh, comandante della forza aerospaziale dei Guardiani della rivoluzione in Iran.
 
linee
Pagine Ebraiche 
è il giornale dell'ebraismo italiano
ucei
linee
L'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli utenti che fossero interessati a offrire un proprio contributo possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it  Avete ricevuto questo messaggio perché avete trasmesso a Ucei l'autorizzazione a comunicare con voi. Se non desiderate ricevere ulteriori comunicazioni o se volete comunicare un nuovo indirizzo e-mail, scrivete a: desk@ucei.it indicando nell'oggetto del messaggio “cancella” o “modifica”. © UCEI - Tutti i diritti riservati - I testi possono essere riprodotti solo dopo aver ottenuto l'autorizzazione scritta della Direzione. l'Unione informa - notiziario quotidiano dell'ebraismo italiano - Reg. Tribunale di Roma 199/2009 - direttore responsabile: Guido Vitale.