L'ACCORATO APPELLO DELL'EX RABBINO CAPO DI MOSCA

“Antisemitismo di Stato un classico al Cremlino,
ebrei russi farebbero bene ad emigrare"

Lasciare il Paese prima che la situazione precipiti ulteriormente. È un accorato appello quello rivolto dall’ex rabbino capo di Mosca Pinchas Goldschmidt agli ebrei di Russia in una intervista rilasciata al quotidiano britannico The Guardian.
Il timore del rav, fuggito da Mosca in seguito all’aggressione militare sferrata in febbraio all’Ucraina, è che l’antisemitismo in crescita nella società russa possa avere conseguenze molto gravi anche nel breve termine. “Quando guardiamo indietro alla storia russa, ogni volta che il sistema politico è stato in pericolo, il governo ha cercato di reindirizzare la rabbia e il malcontento delle masse verso la comunità ebraica” il campanello d’allarme fatto suonare dal rav, da vari anni a capo della Conferenza europea dei rabbini.
Una dinamica dell’odio di cui si coglierebbero di nuovo i segni, analogamente a quanto avvenuto “in epoca zarista e sul finire del regime stalinista”. L’impressione del rav, che vive oggi in Israele, “è che la Russia stia tornando a una nuova forma di Unione Sovietica e che la Cortina di Ferro stia calando di nuovo; ragione per cui penso che per gli ebrei russi l’opzione migliore sia andarsene”.
Portato poi a riflettere sulla piaga del collaborazionismo ucraino al tempo della Shoah, il rav afferma di trovare “straordinario” il fatto che Zelensky, che non ha mai nascosto la sua identità, “sia stato eletto presidente con oltre il 70% dei voti”. Anche in considerazione di ciò “appare insensata l’affermazione fatta da Putin sull’Ucraina in mano ai neonazisti: mostratemi un altro paese, nella morsa dei nazisti, in cui la comunità ebraica è fiorente; anche se poi non so in realtà quanto Zelensky si senta ebreo, è una carta che usa per chiedere aiuto a Israele”.
La deriva antisemita della Russia era stata denunciata da rav Goldschmidt anche in relazione a un fatto che aveva suscitato sconcerto appena poche settimane fa: la pubblicazione di un editoriale, a firma di un alto funzionario per la sicurezza del Cremlino, in cui si accusava il movimento ebraico Chabad-Lubavitch di essere un “culto neopagano” che mira al “dominio globale”. L’ex rabbino capo di Mosca, commentando l’accaduto, aveva affermato: “L’attacco del governo russo contro Chabad, così come gli attacchi contro l’Agenzia Ebraica, sono atti antisemiti contro tutti noi”.

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L'ARCHIVIO DONATO AL POLO DEL NOVECENTO

Leone Ginzburg, il ritorno a casa dello scolaro-maestro

“Leone Ginzburg fu mio scolaro: lo dico io perché altri non lo taccia, io lo ricordo se mai altri mostri di averlo dimenticato. Di quel che fu io posso aver la fierezza: di quel che patì io debbo avere la responsabilità. E dico questo non per superbia, lo dico per umiltà: Leone Ginzburg fu mio scolaro perché fu mio maestro, lui come i migliori de’ miei scolari, lui che de’ miei scolari fu il migliore. Lo dico in umiltà: incuteva tanta soggezione a tutti Leone quand’era vivo, figurarsi ora che è morto; e morto così”.
Lo scolaro maestro. Così il piemontese Augusto Monti, crociano antifascista, amico di Piero Gobetti e Antonio Gramsci, ricorderà nel 1948 uno dei suoi alunni preferiti: Leone Ginzburg. Monti, professore di lettere al Liceo d’Azeglio di Torino, si era accorto subito – è lui stesso a scriverlo – delle qualità umane e intellettuali di questo giovane russo che in Italia aveva trovato la sua nuova patria. Nel capoluogo piemontese Ginzburg arriva nel 1924: nato a Odessa nel 1909, con lo scoppio della Prima guerra mondiale trova riparo in Italia. Dopo una parentesi berlinese, il D’Azeglio e l’Università di Torino gli aprono le porte. Qui costruirà le sue amicizie: Giorgio Agosti, Vittorio Foa, Cesare Pavese, Norberto Bobbio. Qui, dopo che la frequentazione in Francia del circolo antifascista accese in lui la volontà di gettarsi nella lotta politica, si impegnerà a ricostruire Giustizia e Libertà. Qui andrà in carcere la prima volta per la sua lotta contro il regime e qui, nella casa di Carlo Levi, incontrerà la futura moglie Natalia Levi. Per questo e per molto altro la famiglia Ginzburg di recente ha deciso di riportare a Torino l’immenso archivio paterno.

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L'ITINERARIO TURISTICO-CULTURALE

Sulle strade della Conegliano ebraica

C’è chi pensa che la sinagoga italiana di rehov Hillel a Gerusalemme sia la più affascinante di tutta Israele. Una testimonianza non soltanto architettonica intrecciata indissolubilmente a una località che rappresenta un simbolo nella storia bimillenaria dell’ebraismo italiano: Conegliano Veneto. Da lì provengono infatti gli interni del Tempio, trasferiti a inizio Anni Cinquanta del secolo scorso nel quadro delle numerose missioni svolte sotto la guida di Umberto Nahon per “salvare” armadi sacri e ornamenti caduti in disuso e rivitalizzarne la funzione primaria nel nuovo Stato. Era anche questo il caso. A Conegliano l’ultima funzione si era svolta infatti nel 1917, in piena guerra mondiale: era stato il rabbino Harry Deutsch, cappellano militare dell’esercito austriaco, a officiarla. Una giornata a suo modo storica immortalata in una foto d’epoca che, trascorsi oltre cento anni, non ha smesso di emozionare.
Malgrado questa presenza/assenza, Conegliano resta un luogo dove molto si può ancora apprendere, immaginare, condividere. Attraverso segni facilmente riconoscibili nella loro peculiarità ebraica e altri invece che aspettano di essere svelati. “La Conegliano ebraica. Itinerario turistico-culturale”, volume curato da Chiara Dall’Armellina e Laura Pasin per conto del Centro Coneglianese di Storia e Archeologia, sarà d’ora in poi di grande aiuto in questo impegno di “restituzione”. Uno strumento efficace per risvegliare l’interesse anche localmente. 

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Le radici raggelanti

“Le radici profonde non gelano”, ma in compenso fanno rabbrividire se, com’è accaduto negli ultimi giorni (ma non solo), la frase è citata in riferimento al Movimento Sociale Italiano. Perché se davvero si volesse parlare soltanto di un partito nato nel dopoguerra che ha partecipato democraticamente alla vita democratica nell’Italia repubblicana le radici non sarebbero particolarmente profonde; dunque è evidente che si vuole parlare d’altro, di qualcosa che viene prima della nascita del MSI. Cosa, esattamente? La Repubblica di Salò? Il regime fascista? Il fascismo squadrista delle origini? Per quanto si scavi tra le radici profonde che non gelano è davvero difficile trovare qualcosa che non faccia raggelare.
La frase in sé non ha niente di particolarmente terribile, anzi, se interpretata in un certo modo potrebbe persino essere condivisibile; potrebbe addirittura apparire particolarmente adatta a noi ebrei che abbiamo radici profonde quasi quattro millenni. E in teoria potrebbe anche non essere un problema il fatto che sia attribuita a Mussolini: non è detto che una frase di Mussolini non possa mai essere condivisibile (per esempio io personalmente sono assolutamente d’accordo con lui quando afferma che l’ebraismo è un nemico irreconciliabile del fascismo). Il problema è che la frase viene citata proprio perché è (o si ritiene che sia) di Mussolini, come a rivendicarne l’eredità.
Di fronte a queste origini non rinnegate ma, anzi, esaltate e rivendicate con orgoglio non posso fare a meno di domandarmi quale significato possano avere le condanne delle leggi razziali o le affermazioni sulla gravità della Shoah. Dante diceva giustamente che né pentere e volere insieme puossi per la contraddizion che nol consente; anche condannare e insieme celebrare mi sembra decisamente contraddittorio.
Per curiosità vale la pena di notare che la frase è anche una citazione dal Signore degli anelli di Tolkien. Anzi, su internet Tolkien salta fuori prima di Mussolini. Saranno di più i lettori di Tolkien o i nostalgici del fascismo? Proprio non saprei dirlo. Ma dato che appartengo alla prima categoria e non alla seconda, e che probabilmente il mio computer lo sa, devo fare attenzione alle lusinghe dell’algoritmo e non posso dare per scontato che il primato di Tolkien valga per qualunque navigatore. Tra parentesi, nel romanzo la frase è riferita a una famiglia che da qualche millennio vaga raminga anche per rimediare al gravissimo errore commesso da un antenato: chi vuole rivendicare le proprie radici deve assumersi la responsabilità di ciò che comportano e dei guai che hanno provocato, perché non è affatto scontato né obbligatorio essere orgogliosi dei propri padri sempre e comunque indipendentemente dalle loro azioni e dalle loro opinioni.

Anna Segre

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