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28 ottobre 2010 - 20 Cheshvan 5771
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Riccardo Di Segni
Riccardo
Di Segni,
rabbino capo
di Roma

Quattrocento sicli di argento - una cifra considerevole per l'epoca - è il prezzo che Abramo paga senza battere ciglio per acquistare la grotta per seppellire Sarà e i suoi discendenti. E' l'esordio del brano (Genesi 23:16) che, con caparbia ostinazione giudaica teologico-biblica, leggeremo questo Shabbat. Bisogna capire come mai la Torah si dilunghi tanto sui dettagli dell'acquisto. Una possibile risposta la dette R. Yudan figlio di R. Simon, un Maestro vissuto in terra d'Israele nel terzo secolo: "Questo è uno dei tre luoghi per i quali le nazioni del mondo non possono tormentare Israele accusandoli di averli rubati" (Bereshit Rabba 79:7). Perché sull'acquisto di questi luoghi c'è una precisa informazione biblica. Oltre alla grotta acquistata da Abramo, l'area del Santuario (1 Cron. 21:25) e la tomba di Giuseppe (Genesi 33:19). Almeno su questi tre luoghi, dice R. Yudan, ci dovrebbero lasciare in pace. Eppure, sentendo le dichiarazioni dei reverendi Padri Sinodali (che, almeno per l'abito che indossano, nella Bibbia ci dovrebbero credere), R. Yudan sembra un incorreggibile ottimista.
Sergio
Della Pergola
Università Ebraica
di Gerusalemme

Della Pergola
Con un certo imbarazzo si fanno strada i pensieri e le parole di commento al rozzo e aggressivo documento del Sinodo dei vescovi cattolici mediorientali. Ci si poteva aspettare toni simili da un documento degli Imam, e di fatto la Chiesa cattolica in Medio Oriente dimostra di essere un consesso di nazionalisti arabi. Ma questo non serve: le comunità dei fedeli cristiani sono in fuga lo stesso, eccettuata una, quella che vive nello stato d'Israele. Quella del Sinodo è una Chiesa impaurita, perdente, mendace. Nell'analisi di Benedetto XVI, la Chiesa che nega le sue radici nell'Antico Testamento finisce col dissolvere se stessa. Ma la retorica satura di pregiudizio, di dottrina alienata, di negazione dell'altro del documento sinodale ricorda da vicino l'epoca pre-conciliare, ci riporta ai tempi di Pio XII. Vengono in mente gli scontri verbali e politici che da ragazzi avevamo con Don Giussani. La delusione è per chi aveva creduto nel dialogo, non certo per gli scettici. Restano sul terreno le vittime del ciclone, le persone che credevamo amiche come Monsignor Pizzaballa. Ma evidentemente se uno il coraggio non ce l'ha, non se lo può dare.

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davar
Qui Lucca - Comics and Jews su Pagine Ebraiche
logo luccaLo sapevate che, per disegnare Batman, Bob Kane e Bill Finger si sono ispirati al Golem? O che Superman può essere letto come la proiezione in calzamaglia di Mosè e Sansone? E vi è mai capitato di soffermarvi sul legame tra le avventure degli X-Men e la tragedia della Shoah? I nessi tra i protagonisti dei comics e il mondo ebraico sono molteplici e riguardano al tempo stesso la matrice culturale degli autori, il profilo dei personaggi e i contenuti delle storie.
Il nuovo numero di Pagine Ebraiche, presto in distribuzione, dedica un ampio dossier al tema. Intitolato Comics and Jews, il dossier sarà presentato insieme al giornale ebraico per bambini Daf Daf questo venerdì, 29 ottobre, alle 11.30 nella Sala Incontri della Camera di Commercio di Lucca in occasione di Lucca Comics, la più importante rassegna nazionale dedicata al fumetto e alla fantasia in tutte le sue possibili declinazioni.
All’incontro con il coordinatore dei dipartimenti Informazione e Cultura dell’UCEI Guido Vitale, parteciperanno grandi autori del disegno italiano e internazionale, alcune firme che illustrano Pagine Ebraiche e Daf Daf (ai giornali collaborano fra gli altri Giorgio Albertini, Enea Riboldi, Vanessa Belardo, Paolo Bacilieri, Maurizio Rosenzweig e Viola Sgarbi e il critico Andrea Grilli). Ha annunciato la sua presenza anche il Consigliere dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane con delega alla Cultura Victor Magiar.

“A spasso per Lucca con Eisner e altri miti”

fumettoLucca Comics 2010 sta per aprire i battenti e per Vittorio Giardino, il grande maestro del fumetto italiano che ha dato vita a eroi ebrei indimenticabili come Max Fridman e Jonas Fink, è il momento di aprire il cassetto dei ricordi. Dal suo tavolo da disegno a Bologna ha ricostruito meticolosamente luoghi e incontri strettamente legati all’Europa ebraica, ora tornano alla luce alcune delle esperienze più significative della sua carriera, come il primo faccia a faccia con il mitico Will Eisner.
Giardino, che rapporto ha con Lucca Comics?
Ottimo. Ho tanti e splendidi ricordi relativi a questa rassegna, la più importante in assoluto su scala nazionale. La prima volta che partecipai ero agli inizi del mestiere. Avevo ambizione di fare fumetti professionali ma non avevo idea di come si facesse. Fu una rivelazione straordinaria vedere miti del fumetto in carne e ossa passeggiare per le strade di Lucca: all’epoca entrare in quella ristretta cerchia di professionisti mi sembrava un sogno irrealizzabile. Tanto che quando nel 1982 ricevetti lo Yellow Kid (il maggior riconoscimento del fumetto) al Teatro del Giglio il premio arrivò totalmente inaspettato. Le telecamere possono provare che ero seduto nelle ultime file del loggione. Quando arrivò l’annuncio impiegai una eternità per salire sul palcoscenico. Mi tremavano le gambe, anche perché nella giuria sedevano mostri sacri come Preccia e Pratt. Ricordo con emozione la cornice meravigliosa del Teatro del Giglio, un vero peccato che le premiazioni non si svolgano più al suo interno perché è un luogo pieno di suggestione.
Altri ricordi?
Qualche anno dopo ricevetti il mio primo premio da autore professionista. In quell’occasione veniva omaggiato anche il grande Will Eisner, a cui la giuria aveva assegnato un premio alla carriera. Eisner benché bravo a dissimulare mi parve comunque molto emozionato e quando lo incontrai in seguito a Bologna gli chiesi se la mia impressione fosse stata corretta. Lui mi rispose di sì aggiungendo sarcasticamente che avrebbe preferito ricevere un premio all’opera prima piuttosto che un premio alla carriera. Adesso che inizio ad avere una certa età, capisco appieno quella battuta, che non era solo spiritosa, ma anche molto realistica.
Qual è il suo padiglione preferito?
Ho una passione per il padiglione delle autoproduzioni, dove si trovano tanti ragazzi di talento che faticano a trovare un editore ma che sfruttando i moderni mezzi tecnologici riescono comunque a produrre in proprio. Lì è facile trovare lavori imperfetti, ma dotati di una grande carica di originalità, che spesso è maggiore rispetto a quella che si può riscontrare in situazioni più consolidate. Altra mia passione sono le mostre, anche se in realtà cerco di ficcare il naso dappertutto. Dopo un periodo di eclissi, non saprei dire se per colpa mia o per colpa del programma proposto, ho ripreso a frequentare la manifestazione e sono rimasto piacevolmente sorpreso dalla straordinaria affluenza di pubblico. Il rinnovato interesse dei lettori è indice della buona salute del settore dopo anni di crisi.
In che direzione sta andando il fumetto?
Per motivi generazionali sono legato a un modo di fare fumetti all’antica e non sono sempre al corrente delle ultime novità. Sintetizzando al massimo direi che dopo un primo momento in cui sembrava che i mezzi digitali avessero messo in crisi il fumetto, adesso ho la sensazione che vi sia una sorta di scambio osmotico di influenze reciproche. Il momento è senz’altro vivace ma un punto resta inderogabile: l’immaginazione visuale degli artisti fa sempre premio su tutto. Non c’è mezzo tecnologico che tenga, per quanto raffinato resta sempre un mezzo.
Come evolve la realtà italiana?
Mi sembra che ci sia la tendenza al formarsi di tribù stilistiche che hanno pochi contatti tra loro. Faccio un esempio: da una parte ci sono i disegnatori bonelliani che hanno evidenti vincoli stilistici, dall’altra giovani disegnatori che si rifanno al linguaggio graffiante dell’underground americano. Sono ambienti molto diversi, figli delle scuole di fumetto che tendono a settorializzare gli allievi, ma sarebbe bello se comunicassero perché ne verrebbero fuori delle belle.
E il fumetto d’autore invece come sta?
Nel panorama europeo ci sono paesi che sviluppano grande attenzione culturale e importanti volumi di vendita come Francia, Belgio e Germania oltre ad alcune realtà di recente vivacità tra cui cito volentieri la Spagna, ma ci sono anche noti dolenti come quelle che arrivano dal nostro paese, dove la situazione è assai complessa e arretrata. Ciò è in parte dovuto all’assurdo ostracismo e snobismo mostrato da chi si occupa di critica letteraria. In genere i critici non digeriscono il fatto che possano esistere fumetti con alto valore culturale. Così non li leggono. E se per caso gli capita di leggerne uno si guardano bene dal dirlo in giro quasi se ne vergognassero. Per i critici è come se i fumettisti d’autore non esistessero. La conseguenza è che i lettori spesso si stupiscono quando scoprono che abito a Bologna: sembra impensabile che uno viva in Italia e faccia delle cose buone in ambito fumettistico! Lo stesso discorso vale per Sergio Toppi e per altri grandi autori a cui raramente capita di essere profeti in patria. È un vero peccato che esistano barriere di questo tipo perché il fumetto d’autore conquista sempre più consensi tra uomini di cultura e semiologi, con l’esempio più noto di Umberto Eco che è stato il primo a portarlo nelle aule universitarie.
In conclusione, ottimista o pessimista sul futuro del fumetto italiano?
Direi ottimista, visto che il numero di lettori e dei giovani che provano a fare del fumetto il mestiere di una vita è in crescita. Il fatto che siano scelte maturate non per tornaconto economico ma per passione è un segnale importante. Sono tanti anni che disegno ma questa straordinaria propulsione dei giovani a disegnare per soddisfare un bisogno interiore è rimasta la stessa di quando ho iniziato.

Adam Smulevich


Dossier - I falsi dell'odio
Dal Golem a Jean Luc Godard la bugia è sul grande schermo

vignettaL’ antisemitismo d’ispirazione cristiana, largamente diffuso nella società europea, ha influenzato fortemente la rappresentazione degli ebrei nella letteratura e le arti visive. Neanche il cineasta Jean Renoir, le grande humaniste, riuscì a evitare stereotipi antisemiti quando mise in scena personaggi ebrei. In La Grande Illusion il tenente Rosenthal, interpretato da Marcel Dalio, è un ricco ebreo, proveniente da una famiglia di banchieri di origini straniere, mentre il party decadente de La Règle du Jeu è organizzato dall’ebreo Robert de La Chesnaye.
L’ebreo ricco, straniero, immorale, decadente. Sono solo alcuni degli stereotipi dell’antisemitismo tradizionale dell’Europa cristiana che saranno poi ripresi e amplificati dalla propaganda nazista.
Il Golem del 1920 è una rappresentazione ambivalente degli ebrei visti, nello stesso tempo, come vittime e oppressori. Ispirandosi alla nota leggenda del rabbino Loew di Praga e della creazione del Golem, il regista Paul Wegener raffigura gli ebrei come una minoranza senza diritti, vittima di un potere autoritario ma, anche, come outsider pericolosi, capaci di trasformarsi e nascondersi tra i gentili e corromperne la purezza. In seguito, Paul Wegener lavorò in film di propaganda nazista e non a caso troviamo somiglianze tematiche e strutturali tra Il Golem e il tristemente famoso Suss l’Ebreo, il film paradigma del cinema nazista, nel quale tutte le potenzialità antisemite de Il Golem furono realizzate.
Centrale, nel Suss di Veit Harlan, è l’idea dell’ebreo capace di camuffarsi in un non ebreo mantenendo intatta la sua essenza ebraica: è l’ossessione nazista per l’ebreo assimilato, impossibile da distinguere dagli altri. Insieme a questo tema, il film propone altri stereotipi: il cosmopolita senza patria, il parassita, il depravato che corrompe le donne gentili e rappresenta un pericolo per la purezza della razza, lo sfruttatore/capitalista che succhia il sangue delle classi popolari, il rivoluzionario, l’anarchico e il cospiratore. Il film ebbe un grandissimo successo e fu proiettato per preparare la popolazione alle deportazioni dei concittadini ebrei. Speciali proiezioni furono organizzate per i soldati incaricati dei rastrellamenti e delle deportazioni. Suss l’Ebreo fu un potente mezzo di trasmissione di costrutti antisemiti alle masse.
Questi stereotipi continueranno, seppure in maniera più sottile, a essere usati nel cinema europeo: un esempio è La Terra della Grande Promessa del 1974. Qui, il regista Polacco Andrzej Wajda introducendo il personaggio della tentatrice ebrea, insaziabile di cibo e denaro, che porta alla rovina gli uomini che incontra, all’interno di una storia di nobili polacchi decaduti e un gruppo di ebrei stranieri arricchiti, perpetua stereotipi antisemiti.
Assistiamo a una sorta di cortocircuito quando il cinema, usato in Europa per attaccare gli ebrei, è, negli Stati Uniti, a sua volta, attaccato perché in mano agli ebrei. Hollywood, creata da immigrati europei chiamati Goldwyn, Fox, Mayer, Warner, ispirati dalla tradizione del teatro Yiddish, fu, infatti, oggetto di attacchi virulenti da parte degli antisemiti. Già negli anni che precedettero la Grande Depressione, rappresentazioni dell’ebreo ispirate a Shylock o Giuda, (l’antico pregiudizio usato per esprimere una crescente antipatia verso gli immigrati) e storie di cospirazioni ebraiche (alimentate dalla diffusa paura per i cambiamenti sociali causati dalla modernità) iniziarono a comparire sui giornali e nella letteratura americani.
In un libro per ragazzi, Tom Swift and His Talking Pictures (Tom Swift e i suoi film) scritto da Victor Appleton nel 1928, il giovane protagonista Tom Swift deve confrontarsi con un gruppo di magnati del cinema ebrei e il loro anarchico agente Jacob Greenbaum, per il controllo di una favolosa invenzione: la televisione. Nel 1941 il celebre aviatore e isolazionista Charles Lindbergh (lo stesso Lindbergh che Philip Roth immagina presidente di un’America sempre più ostile verso gli ebrei ne Il Complotto contro l’America) dichiarò: “il più grande pericolo per questa Nazione (gli USA) risiede nella grande influenza e controllo che gli ebrei hanno sul cinema”.
Dopo la guerra e la scoperta dei campi di concentramento nazisti, s’iniziarono a registrare delle reazioni all’antisemitismo della società americana. Il 1947 è l’anno di due film molto diversi tra loro: Barriera Invisibile e Oliver Twist. Elia Kazan, firmando la regia di Barriera Invisibile, mette in scena la storia di Philip Green, un affermato giornalista, che, incaricato di scrivere un reportage sull’antisemitismo nella società americana, si finge ebreo sperimentando, così, in prima persona il diffuso pregiudizio antiebraico. Nel film l’ebreo Green, essendo in verità non ebreo, manca dei manierismi dello stereotipoantisemita, ma è odiato lo stesso per la sua presunta identità. Prodotto da Daryl Zanuck, Barriera Invisibile è un film interessante: la discriminazione antiebraica è denunciata perché ingiusta in quanto nega l’uguaglianza tra gli uomini, ma la condanna arriva nel momento in cui a soffrirne è un non ebreo, al quale lo status di eguale non può essere negato. Fresco del successo ottenuto in Inghilterra, l’Oliver Twist di David Lean, fu oggetto di pesanti polemiche che ritardarono la sua distribuzione negli Stati Uniti. Il Consiglio rabbinico di Manhattan e l’Anti Defamation League esercitarono pressioni sul governo americano affinché il film fosse vietato. Albert Deutsch, in un editoriale del New York Star, dichiarò che il film avrebbe provocato ondate di antisemitismo. Se alcuni videro dietro queste proteste un sentimento antibritannico che rifletteva la critica dell’opinione pubblica ebraica alle politiche messe in atto dal governo di Londra nella Palestina del Mandato, è vero che il Fagin interpretato da Alec Guiness, ripugnante e malvagio, col grosso naso, ricalcava quegli elementi dell’antisemitismo tradizionale utilizzati più volte dai nazisti soltanto qualche anno prima. Una versione tagliata e rimontata di Oliver Twist fu distribuita negli Stati Uniti solamente nel 1951, mentre in Israele il film non fu ammesso.
Oggi l’antisemitismo si diffonde, senza resistenze, mascherato da antisionismo. Gli attacchi al diritto di esistere di Israele sono attacchi contro gli ebrei. Horsemen without a Horse è una serie televisiva egiziana che narra i tentativi di un gruppo di ebrei di nascondere l’esistenza dei Protocolli dei savi di Sion, mentre la serie Siriana Al - Shattat racconta la storia degli ebrei come una storia orientata dalla brama di controllo del pianeta. L’antisemitismo arabo fa uso degli stessi stereotipi e immagini dell’antisemitismo europeo cristiano metodicamente utilizzati dai nazisti. Jean- Luc Godard in Ici et ailleurs (Qui e altrove, 1976) montava in sequenza un ritratto di Hitler, una foto di Golda Meir e l’immagine del cadavere carbonizzato di un palestinese. In Notre musique (2004) Godard narra una storia in cui gli ebrei sono usciti dai campi di concentramento per cacciare i palestinesi dalla loro terra. Il film mescolando riflessioni sul cinema, la Shoah, Israele, la Palestina, il genocidio degli indiani d’America e la guerra in Bosnia, utilizza il pregiudizio antisemita per mettere in scena un presunto senso di colpa ebraico verso Israele e allontanare così i fantasmi delle persecuzioni. Dopo tanti film usati per attaccare gli ebrei, ecco un film intellettualistico, che equipara vittime e aggressori e, ancora una volta, scarica le colpe dell’Occidente sugli ebrei.

Rocco Giansante


La mappa (a fumetti) della menzogna

Nel 2005 Eisner produsse un lavoro totalmente differente dagli altri. Il titolo è emblematico: Il complotto. La storia segreta dei protocolli di Sion. Nello stesso anno l’editore italiano Einaudi lo pubblica nella collana Stile Libero. Come racconta Eisner nell’introduzione “per la prima volta non ho usato il fumetto per raccontare una storia inventata. Stavolta ho tentato di impiegare questo potente mezzo di comunicazione per affrontare un tema che ha un’importanza fondamentale nella mia vita”.
Già, perché se le altre graphic novel raccontavano storie sicuramente ispirate dall’esperienza e dalla creatività, questo fumetto è una ricostruzione storica della creazione di questo falso che, con enorme ipocrisia, viene ancora pubblicato e passato per vero o “in dubbio e quindi ve lo proponiamo così potete valutare” (espressione ormai diffusa nel neonazismo o neofascismo per proseguire nelle sue attività criminali).
Il fumetto non è certamente paragonabile al valore delle altre opere di Eisner e dubito che, distribuito solo nelle librerie, possa ottenere quel risultato che Eisner spera, almeno in Italia, raggiungendo nuovi lettori e diffondendo la falsità dei Protocolli dei savi di Sion. L’opera è comunque ben costruita ed estremamente chiara nel disegnare la mappa di questa menzogna. Prima di tutto il lavoro è estremamente documentato e particolare anche nel far emergere una serie di personaggi minori, responsabilità spesso incrociate, ma anche aspetti culturali e sociali che potrebbero sfuggire a una trattazione troppo attenta solo al falso in sé dei Protocolli. Così la vita di Golovinskij o di Joly sono sicuramente utili per dare un contorno storico più preciso e senza dubbio più credibile, che semplicemente affermare “Golovinskij copiò da un’opera do Joly”. Eisner inoltre evita il rischio di diventare pedante. Il percorso storico disegnato parte dalle origini del libro da cui Mathieu Golovinskij si ispirò, anzi da cui copiò, per scrivere l’infamia dei Protocolli di Sion. A quel primo volume che spinse lo zar Nicola II a sostenere i pogrom e scacciare i politici illuminati di cui si era circondato, seguono le varie ristampe, idee, ispirazioni che hanno mantenuto viva l’esistenza di questo falso. Spesso il racconto deve gestire fatti storici sviluppatisi in circa cent’anni di storia, ma Eisner riesce a maneggiarli bene e a darci un quadro decisamente “isterico”. Viene da chiedersi se l’autore sia ottimista sperando che prima o poi si possa porre fine della diffusione dei Protocolli. Eisner oscilla tra speranza e pessimismo in base soprattutto al fatto che ancora oggi questo falso continua a venire pubblicato da chi vuole sostenere e diffondere l’odio.

Andrea Grilli


ECJC: nuovo corso, dimissioni a catena
immagineDimissioni per i consiglieri italiani dell’European Council of Jewish Communities. Una decisione assunta per protestare contro l’inattesa svolta dell’organizzazione. Da trent’anni l’ECJC, ong ombrello che raccoglie le comunità e le associazioni ebraiche di tutta Europa, si occupa di rafforzare la vita ebraica nel vecchio continente, lavorando sull’educazione, sulla cultura (suo l’impulso per la Giornata europea della cultura ebraica) e sull’assistenza nei confronti delle comunità in difficoltà. Riconosciuta come interlocutore dal Consiglio d’Europa e dall’Unione Europea, l’organizzazione ha finora sempre mantenuto una linea precisa: tenersi lontana dalle vicende politiche. Ma con l’ultima convention, le cose sono cambiate, come spiega Arturo Tedeschi, membro dimissionario del consiglio dell’ECJC, presente all’incontro di Berlino che si è tenuto a inizio settimana. “Quella di Berlino era stata programmata come una conferenza per i presidenti delle comunità che fanno parte dell’ECJC - sottolinea - Invece, al posto dei consueti seminari riguardanti i profili organizzativi della vita comunitaria, ci siamo trovati di fronte a un’agenda improntata a contenuti politici, e a una presenza israeliana insolitamente numerosa e importante. Fino al momento in cui, con una procedura assolutamente illegittima e antidemocratica, senza il necessario passaggio per l’assemblea dell’ECJC, è stato nominato un nuovo presidente Igor Kolomoisky, oligarca ucraino dal profilo discutibile” (nella foto, il secondo da sinistra, insieme all’ex presidente Jonathan Joseph, e ai vicepresidenti Tomer Orni e Vadim Rabinovich). Oltre a questo, nel comunicato stampa conclusivo della conferenza, si legge che “l’ECJC ha deciso che la linea artificiale che separa gli affari che riguardano le Comunità dalle vicende politiche, che costantemente ne influenzano la vita, verrà immediatamente a cessare”. Una virata totale dunque, rispetto alla linea apolitica mantenuta dall’ECJC sin dalla sua fondazione. Per protesta, oltre ad Arturo Tedeschi, hanno rassegnato le dimissioni anche gli altri rappresentanti italiani all’ECJC, Claudia De Benedetti e Annie Sacerdoti.
Per ora sembra difficile che la situazione si sblocchi, nonostante la prospettiva di mediazione dell’ex presidente Jonathan Joseph, che manterrà la carica di vice presidente. “Da alcuni anni l’ECJC si trova in carenza di fondi - analizza Arturo Tedeschi - Questo ha favorito finanziamenti da parte di personaggi discutibili, provenienti dall’Est Europa, che sono alla ricerca di una posizione pubblica. In questo quadro si inserisce anche il desiderio dei leader israeliani di costruire legami più stretti e diretti con le comunità ebraiche europee. Ma l’idea che davanti al probelma dei finanziamenti si possa forzare il processo democratico è assolutamente inaccettabile”.

Rossella Tercatin

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Lesso
immagineEcco i giorni in cui cessano le ragioni del contenzioso. Fra Israele e Palestina, la memorabile pace. Pace per trattative sui confini giunte a buon fine, pace per uno schianto militare di Teheran, pace perché Bin Laden sceglie la contemplazione in un monastero tibetano - ma poi, la pace. Per israeliani e palestinesi è festa. Mentre non è affatto festa per i gruppi dei delusi, sottoposti a implosione nel cuore d'Europa. Per loro è alle porte un futuro non amfetaminico, ma diciamo così, lesso. Niente cortei, niente offese sui forum, stop perfino agli sputi. Le bottiglie molotov tornano a essere bottiglie, con la benzina si va in macchina e ogni gita al mare, ai laghi, è vita che va in frantumi. Il tempo sereno, la campagna che luccica, e per cosa? Sai dove me la metto la campagna che luccica. Nella nuova vita, c'è per esempio questa domenica di pace, una gita ai colli. L'antisionista siede sul plaid, in riva al torrente. Mastica la frittata di pasta preparata dalla moglie. E' buona la frittata di pasta coi pezzi di scamorza, ma a che pro? Ai suoi piedi, l'acqua scorre argentea e c'è il guizzo di una trota - anche questo, a che pro? Sai dove se lo mette il guizzo (in ogni caso noi l'abbiamo intuito). I figli piccoli Roberto Ismaele Abù e Antonietta Fatima Gina giocano a palla a mano e mandano gridolini di gioia - e con questo? In giro, non una formica assale il ciambellone - beh, che si vuole dimostrare? Non è neanche buonissimo, il ciambellone. Un momento, un breve sorriso si distende sulle sue  labbra micragnose. Adesso lui sa che farà, appena torna a casa dopo l'ingorgo. Quando è buio, va allo stadio con la bomboletta e scrive il suo pensiero libero con tutto il rosso che ha nella bomboletta. Scriverà tutto quello che tiene chiuso nel cuore. La verità, bella gigante: "Inter ladri".
La controinformazione non deve morire.

Il Tizio della Sera

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Museo nazionale della Shoah
la nuova finanziaria taglia i fondi

Roma, 27 ottobre
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Ridotti del 30 per cento i fondi destinati al Museo nazionale dell'ebraismo italiano e della Shoah di Ferrara, unica istituzione museale italiana che si occupi di coltivare e trasmettere la memoria degli ebrei italiani e del prezzo che pagarono alla Shoah. “Un'autentica vergogna. Si tratta di un altro bel regalo della logica tremontiana dei tagli lineari, che colpisce indiscriminatamente senza badare all'utilità sociale e culturale dei diversi destinatari di finanziamenti pubblici", con queste parole il senatore del PD Roberto Della Seta ha denunciato la situazione. 
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Punire per legge chi nega l'Olocausto.
Può servire, tuttavia non basta

Sara Peggion  e Cristina Colli,
Donna Moderna, 28 ottobre 2010

Ippolito deve ripassare
la storia della teologia

Giorgio Israel, Il Riformista,
28 ottobre 2010

What Bible is Vatican reading?
Michael Freund, The Jerusalem Post,
28 ottobre 2010  
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