se non visualizzi correttamente questo messaggio, fai  click qui

12 febbraio 2012 - 19 Shevat 5772
l'Unione informa
ucei 
moked è il portale dell'ebraismo italiano
alef/tav
Benedetto Carucci Viterbi Benedetto
Carucci
Viterbi,
rabbino

"Chi ripete il suo studio cento volte non è come chi lo ripete cento e uno" (Tb Chagigah 9b). Ma quale è il vantaggio se ripete il suo studio ancora una volta? Colui che ripete il suo studio cento volte prende l'Uno, cioè Dio, Egli sia benedetto, come suo aiuto. E grazie a questo ha un grande profitto. (Rebbe di Kotzk)


David
Bidussa,
storico sociale delle idee


David Bidussa
La foto che ha che ha vinto il World Press Photo 2012, rappresenta una sintesi pregnante di questo nostro tempo: una donna di cui non si vede il volto tiene in braccio un giovane uomo bianco ferito, di cui non si intuiscono i tratti somatici. Dietro di loro s’indovina il fumo, ma non si vede una scritta, non c’è un segno architettonico che possa far dire dove siamo e chi siano i protagonisti di quest’immagine.
Qualcuno ha detto che è estetica. Non ne sono convinto. Questa foto è come il milite ignoto. Non ha un nome, ma parla del dolore di tutti coloro che subiscono violenza. In una condizione dove tutti esaltano la propria specificità, dove ognuno mette prima il proprio io davanti e prima di ogni cosa, a me non sembra una scelta estetica, bensì universalistica. Una dimensione a cui non siamo più abituati da tempo.

banner
davar
Calcio - L'importanza di chiamarsi Hakoah
Ron Glickman coltivava da alcuni anni il sogno di fondare una squadra di calcio. Non per ricavarne chissà quale gloria o risultato tangibile, piuttosto per riannodare il filo con un passato che lo intrigava e commuoveva. L’obiettivo era quello legarsi a un nome, tenere alto un vessillo, far rivivere una storia speciale annientata dal vortice nero del Male. Dopo alcuni anni di elaborazione il tentativo è andato a buon fine e oggi l’Hakoah Bergen County, team che veleggia con qualche difficoltà nelle acque placide della North Jersey Soccer League, è una realtà a suo modo straordinaria. Stella di Davide in bella mostra sulla casacca, colori sociali bianco e blu, questo gruppo multietnico – che annovera atleti da Israele e dal Ghana, ma anche da Russia, Francia e Liberia, oltre ad un ex calciatore di prima divisione norvegese – rende infatti omaggio agli eroi dell’Hakoah, la gloriosa polisportiva della Comunità ebraica di Vienna. Un nome che ad alcuni potrebbe anche dir poco, ma che agli albori del calcio professionistico, quando i padroni del pallone erano inglesi, austroungarici e (perché no) italiani, fece più volte palpitare il cuore di milioni di appassionati in tutto il mondo prima di essere rimosso per “giudaicità” con l’invasione tedesca dell’Austria. Un titolo nazionale, una memorabile vittoria per 5 a 0 sul terreno del West Ham, in casa di quei britannici orgogliosi inventori del football e fino a quel momento mai violati sul sacro suolo patrio da compagini di Oltremanica. Affermazioni a ripetizione, record bruciati, perfino una esaltante tournee americana seguita da decine di migliaia di spettatori ad ogni pubblico incontro. L’Hakoah è stato un mito, un modello per l’equilibrio riuscito tra coraggio, forza e identità. Una leggenda che solo Hitler e il nazismo riuscirono ad arrestare pur non cancellandone l’aura di magia. “Ho scoperto questa vicenda incredibile una decina di anni fa passeggiando per le sale del Museo della Diaspora a Tel Aviv” racconta Glickman al giornale americano The Jewish Standard. Da allora, prosegue, l’idea di rievocare il nome e i fasti dell’Hakoah negli Stati Uniti “è diventata un’ossessione”. Ron, un discreto trascorso in maglietta e calzoncini al Teaneck High School, inizia a lavorarci su in maniera artigianale: contatta alcuni vecchi amici e pubblica volantini a tappeto nello Stato del New Jersey. All’inizio è molto dura. Negli States il calcio, nonostante la cura massiccia a base di Beckham, Henry & C., non ha ancora l’appeal auspicato. Però la tenacia è una qualità che non difetta e così, pur attraversando non poche insidie, il nostro riesce comunque a formare un nucleo di venti effettivi, grazie anche alla complicità del fratello Dov, singolare figura di giocatore-manager, e dello sponsor, la compagnia aerea israeliana El Al. Dalla federazione, dulcis in fundo, arrivano poi le autorizzazioni necessarie per l’iscrizione al campionato. L’impresa può così dirsi riuscita. Dopo Svezia, Francia, ovviamente Austria, paesi in cui – perlopiù a livelli semiamatoriali – si pronuncia ancora la parola Hakoah nel fazzoletto verde, è il momento degli Stati Uniti. Con un carico simbolico particolare. “La cosa forse più bella è che pur essendo una squadra a suo modo ‘ebraica’ – spiega Ron – solo metà dei suoi componenti ha un legame con questa identità. Da noi convivono uomini con culture e religioni diverse, ciascuno orgoglioso di rievocare una storia così grande e allo stesso tempo così dolorosa”.  I traguardi agonistici sono certo un’altra cosa rispetto agli allori della “vera” Hakoah. Il Bergen County, al suo esordio, ha collezionato infatti quattro sconfitte su cinque match disputati. Ci si augura che possa invertire la rotta e migliorare. “Ma l’importante – giura Glickman – è esserci. Il resto conta poco”.

Adam Smulevich (Pagine Ebraiche febbraio 2012)

pilpul
Davar acher - Sionismo
Ugo VolliE' bene che si sia ricominciato a discutere di sionismo nel mondo ebraico italiano, com'è testimoniato da un paio di iniziative tenute a Roma nella scorsa settimana. Da sempre infatti vi è un certo grado di ambiguità o confusione intorno al termine e al movimento reale che ne è definito. Vale la pena di ricordare qui alcuni dati basilari. Il sionismo non è genericamente amore del popolo ebraico, o volontà di tutelare i suoi valori, ma molto più precisamente il movimento che ha inteso risolvere i suoi problemi, e innanzitutto il suo stato millenario di subordinazione, persecuzione, insicurezza fisica e morale, per mezzo della costruzione di uno Stato, nel territorio della patria storica dell'ebraismo, Eretz Israel. Essendo un movimento laico, il sionismo incontrò l'opposizione di buona parte del mondo religioso più tradizionale, che pensava l'esilio come una punizione religiosa che avrebbe potuta essere terminata solo da un atto divino esplicito. Essendo un movimento nazionale, che considerava l'ebraismo come popolo e non solo come religione, il sionismo fu anche combattuto da tutte le èlites dell'emancipazione, che volevano descriversi solo come una confessione religiosa e aborrivano ogni sospetto di doppia lealtà: ciò accadde negli Stati Uniti, in Germania e anche nella maggioranza dell'ebraismo italiano. Per la stessa ragione - essere un movimento nazionale e pensare alla liberazione dell'ebraismo come un  popolo particolare - al sionismo si contrappose ogni forma di movimento socialista, dai bolscevichi ai bundisti (i socialisti yiddish) ai socialdemocratici occidentali, spesso con sovra-toni antisemiti. Dove il comunismo andò al potere, poi, il sospetto di sionismo fu motivo di persecuzione antiebraica più o meno generalizzata.
Anche per chi si sentiva dentro il movimento sionista, il suo obiettivo semplice e diretto definito da Herzl - la costruzione di uno Stato ebraico nel territorio tradizionale di Eretz Israel - fu oggetto di cautele, di dilazioni e di riserve da parte di molti, dai sionisti culturali di Achad Haam, che proponevano di costruire prima un nuovo uomo ebreo con una nuova cultura, al laburismo integrale, che l'uomo nuovo lo voleva costruire col lavoro nei campi e voleva il socialismo prima dello Stato, ai pacifisti alla Buber che pensavano necessario l'accordo con gli arabi a costo di fermare l'immigrazione (anche durante al Shoah), prima di provare a costruire lo stato. Per fortuna dell'ebraismo non solo i nemici esterni ma anche i temporizzatori interni furono sconfitti dall'azione di Ben Gurion che riuscì a preparare la maggioranza del movimento sionista e a cogliere il momento unico per la costituzione dello Stato. Se Israele esiste oggi è merito di questo coraggio.
Oggi i nemici esterni del sionismo nel mondo ebraico sono diminuiti: i più estremisti dei religiosi tradizionali (una buona fetta degli charedim), alcuni comunisti/pacifisti estremi, con una fetta minoritaria ma non indifferente di mondo accademico e intellettuale che parla della costruzione dello Stato come "peccato originale" di Israele. Il successo del sionismo è misurato dal fatto che costoro preferiscano non chiamarsi anti-sionisti ma post-sionisti, non contro ma dopo. C'è però in Israele e nella diaspora uno schieramento di quelli che io chiamo ironicamente "diversamente sionisti", quella sinistra ebraica che ha abbandonato la strada di Ben Gurion e Golda Meir, dimostra una fiducia incrollabile nella volontà di pace degli arabi nonostante decenni di sanguinose delusioni, crede che "la pace" sia un obiettivo indipendente o superiore alla sicurezza, diffida soprattutto e odia istericamente i "coloni", cioè coloro che non accettano di cedere agli arabi senza condizione la proprietà delle terre dissodate e dei luoghi biblici dell'ebraismo, cerca di delegittimare la maggioranza elettorale che rifiuta la loro strada e i politici che essa esprime, appellandosi all'appoggio politico e magari al denaro straniero. Anche i "diversamente sionisti" talvolta ammettono di essere "postsionisti", ma spesso rivendicano quello che chiamano "tough love", amore "tosto" o "severo" per Israele. Tutto il suo quadro strategico, l'idea che gli arabi cerchino la pace con Israele e che sia responsabilità di Israele fare le "concessioni" necessarie per questa volontà di pace, appare irrealistico e pericoloso a uno sguardo spassionato.
Come per Herzl, come per Ben Gurion, essere sionisti oggi vuol dire guardare con grande realismo ai rapporti di forza, non farsi illusioni sulla buona volontà altrui, sapere che uno Stato ebraico deve difenderci da nemici storici e odi millenari; ma anche essere sufficientemente utopisti per continuare a credere alla grande speranza sionista, alla necessità di uno Stato ebraico, per non abbattersi di fronte alla guerra della propaganda e della politica internazionale, come non ci si è lasciati abbattere dalla guerra delle armi e del terrore.

Ugo Volli

ucei
notizieflash   rassegna stampa
Sorgente di Vita - Stereotipi,
insulti e liste di proscrizione
  Leggi la rassegna

E' incentrato sui contenuti razzisti e antisemiti che corrono sul web il primo servizio della puntata di Sorgente di Vita di domenica 12 febbraio. Tra stereotipi e liste di proscrizione, insulti contro gli ebrei e attacchi ai rom e agli immigrati, negazione della Shoah e musica fascio-rock, due esperti analizzano il pregiudizio che si diffonde online e i modi per combatterlo.














 
L'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli utenti che fossero interessati a offrire un proprio contributo possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it  Avete ricevuto questo messaggio perché avete trasmesso a Ucei l'autorizzazione a comunicare con voi. Se non desiderate ricevere ulteriori comunicazioni o se volete comunicare un nuovo indirizzo e-mail, scrivete a: desk@ucei.it indicando nell'oggetto del messaggio “cancella” o “modifica”. © UCEI - Tutti i diritti riservati - I testi possono essere riprodotti solo dopo aver ottenuto l'autorizzazione scritta della Direzione. l'Unione informa - notiziario quotidiano dell'ebraismo italiano - Reg. Tribunale di Roma 199/2009 - direttore responsabile: Guido Vitale.