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13 dicembre 2011 - 17 Kislev 5772 |
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Roberto
Della Rocca,
rabbino
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Chi è
questo misterioso “ISH”, descritto come un uomo, e alla fine
come "PENUEL", angelo, che spunta dal più profondo della
notte impegnando Yaakòv in una lotta silenziosa che
durerà fino all’alba? La maggior parte degli esegeti
sostengono si tratti dell’angelo di Esàv, quello che nelle
alte sfere gli è destinato personalmente, il suo
spirito ispiratore e protettore. Alcuni invece dicono
che sia l’angelo di Yaakòv. Personalmente, preferisco quest’ultima
ipotesi: Yaakòv assalito dal suo proprio custode. La Torah sottolinea
che questa lotta si svolge quando Yaakòv resta solo. Sembra trattarsi
di un conflitto interno. Yaakòv che lotta con se stesso. Una specie di
"Io" sdoppiato di Yaakòv. L’Io che in lui dubita della sua missione,
del suo futuro e della sua stessa ragione di essere. Quello
che in lui non si sente adeguato ai suoi antenati e ai suoi
discendenti. A questo punto assistiamo allo scontro tra Yaakòv e
Yaakòv, ma i due Giacobbe in quella notte si ricongiungono. Il
sognatore eroico e il pavido fuggitivo, l’uomo scialbo e
ingannatore e il fondatore di una nazione la cui elezione non è solo
privilegio ma soprattutto lotta e impegno e quindi
dignità. Yaakòv aveva vissuto talmente a lungo nell’ambiguità
che non riesce più a distinguere il protettore di Esàv dal
proprio. Ma quando l’alba spunta diviene Israel, dovrà passare la
notte, arrivare fino in fondo al confronto, alla solitudine e
all’angoscia per essere degno di questo nome. La chiave del successo di
ogni battaglia sta nel coraggio di affrontare la lotta dentro
noi stessi.
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Dario
Calimani,
anglista
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Una
volta c’erano i fascisti. Ora invece, o perché sono amici di Israele o
perché sono amici degli ebrei, o perché sono gentili con noi, i
fascisti non ci sono più. E gli ebrei legano con fascisti vecchi e
nuovi che sono sempre uguali a se stessi. E sono fascisti per pensiero,
per amicizie, per ideologia e politica, e per il vizio mai smesso
dell’abito discriminatorio. Solo rari di loro hanno rinnegato l’infame
passato, e siamo fiduciosi che sia stato un ripensamento onesto e
profondo. Ma è disgustoso vedersi tanto amati, tanto difesi, tanto
abbracciati, e tanto usati come garanti della loro ricostruita
verginità, da coloro che ci hanno dato la caccia di casa in casa, che
ci hanno perseguitato, torturato, deportato. Benissimo il loro
‘pentimento’, ma la nostra dignità vorrebbe che il loro
riposizionamento lo accettassimo con il dovuto distacco. Noi non
dobbiamo nulla ai fascisti. E dai fascisti non possiamo pretendere
nulla. Ma dignità vorrebbe che le nostre strade rimanessero distinte e
distanti. Perché ai miei deportati, mai più ritornati, non saprei come
spiegare il percorso vergognoso di un ebraismo italiano che si è
dimenticato di sé nell’abbraccio mortale con gli eredi politici del
fascismo storico.
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Qui Roma - Rav Sacks:
“Uniti per dare un futuro all’Europa”
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“Per mezzo secolo
ebrei e cristiani si sono focalizzati su di in un modo di dialogare che
definirei face-to-face, faccia a faccia. È arrivato il momento di
passare a una nuova fase di questo rapporto ovvero camminare fianco a
fianco”. Cambiare la prospettiva, non più un confronto frontale ma
lavorare insieme per dare un nuovo impulso alla società. Questo uno dei
capisaldi del pensiero di rav Jonathan Sacks, rabbino capo del
Commonwealth, che ieri, dopo aver incontrato in un’udienza privata papa
Benedetto XVI, ha tenuto una lectio magistralis nella gremita aula
magna della Pontificia università gregoriana. Una riflessione che si è
mossa sui binari del titolo della conferenza: “L’Europa ha perso la sua
anima?”.
Il consumismo, la celebrazione paranoica dell’oggetto, l’individualismo
sono il sintomo, secondo Sacks, del declino di un’Europa soffocata
dalla crisi economica. Crisi imputabile in particolare alla perdita di
una visione etica degli affari, ad un senso di responsabilità nei
confronti dell’altro. “La nostra civiltà è in pericolo – sostiene il
rav, considerato una delle voci più autorevoli dell’ebraismo moderno –
le persone perdono progressivamente la fiducia nel futuro”. E il
compito dell’ebraismo, del cristianesimo come dell’islam è ridare
all’uomo questa fiducia, restituire la dignità personale che secondo
Sacks si è persa nei meandri del consumismo sfrenato e nel
disequilibrio sociale. “Un impegno che il papa, come mi ha confermato
privatamente, condivide debba essere portato avanti insieme”, ricorda
il capo rabbino del Commonwealth, rispondendo a una domanda di un
giornalista della Bbc durante la conferenza stampa.
Nel passo d’apertura del discorso del rav risiede la risposta alla
domanda della conferenza: “Per il bene dei nostri figli e dei loro
figli non ancora venuti al mondo, noi, cristiani ed ebrei, fianco a
fianco, dobbiamo rinnovare la nostra fede e la sua voce profetica.
Dobbiamo aiutare l’Europa a recuperare la sua fede”.
d.r.
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Qui Torino - A scuola
di Memoria
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Una presenza sentita,
partecipe, evidente nello smarrimento che si coglie fra i partecipanti,
alla fine della prima sessione del seminario. Questo forse è il senso
più profondo degli intense momenti di studio che hanno luogo in queste
ore a Torino. Il seminario, intitolato "Riflettere e riconsiderare la
trasmissione della Memoria della Shoah", conta su tre relatori di
rilievo: gli storici Georges Bensoussan e Gian Enrico Rusconi e il
rabbino Roberto Della Rocca. La prima giornata è cominciata con la
lezione "Memoria e identità ebraica", tenuta dal rav Della Rocca, che
ha presentato concetti impegnativi, complessi, come il rapporto fra
paura e apprendimento, fra timore e Torah. La lezione successiva,
tenuta dal professor Bensoussan, verteva su “Nazismo e antisemitismo
nei paesi arabi durante la seconda guerra mondiale. Excursus storico e
tematico”. Ed esattamente questo è stato: una galoppata fra fatti
storici e analisi, inframmezzata dal professore che si scusava se non
poteva approfondire, per mancanza di tempo, e con la traduttrice che si
scusava per la velocità a cui parlava, dovuta alla quantità e
concentrazione di date, informazioni, concetti contenuti in neppure due
ore di lezione. Lo stesso professore commentava poi con i partecipanti,
intenti a cercare di elaborare quanto appena ascoltato, come questa di
Torino sia stata solo la seconda volta in cui ha presentato
l’argomento, per cui a specifica preoccupata domanda non ha potuto dire
come venga accolto dal pubblico.
La sessione di oggi si è
aperta nuovamente con una lezione dello storico francese dal titolo
“L’onnipresenza della Shoah nella coscienza contemporanea. I rischi
della banalizzazione”, in cui ha ricordato come la Shoah sia un
avvenimento talmente enorme da schiacciare una tradizione millenaria e
nascondere gli avvenimenti storici fondamentali per una comprensione
della storia ebraica. In corso ora una lezione del professor Gian
Enrico Rusconi, intitolata “Germania: la memoria ricostruita, la
nazione ritrovata”. A seguire un dibattito e ancora una lezione del
professor Bensoussan: “La Shoah e lo Stato d’Israele: casualità,
legittimità e identità”.
E in tutto questo la forza del gruppo docenti, che a lezioni finite non
si disperde immediatamente, ma si ferma a discutere, a confrontare
altre occasioni di approfondimento in cui questa o quell’idea sono già
state affrontate. Ora ci si ripromette di recuperare le registrazioni
del seminario, renderle fruibili e andare a cercare negli archivi il
materiale citato dagli insegnanti in questi giorni, materiale che
evidenzia una voglia di studiare e approfondire che va ben al di là
degli obblighi scolastici: far sì che tutto questo non resti solo
un’idea di scuola.
Ada Treves
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Se niente importa
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A Napoli echeggiava nei
giorni scorsi la domanda «Esiste un modo ebraico di fare politica?».
Più volte si è sfiorato il tema della Shechità, che mi appassiona
particolarmente; nel corso di un convegno organizzato alcune settimane
fa, i rabbini hanno posto una domanda a mio giudizio cruciale: perché
ci si preoccupa dei pochi secondi in cui l’animale viene ucciso – lo
stordimento della bestia ridurrebbe, forse, di venti/trenta secondi la
sua sofferenza – e non di tutta l’esistenza infame che gli facciamo
fare?
Del tutto casualmente ho concluso in questi giorni «Se niente importa.
Perché mangiamo gli animali?», un libro, a metà tra giornalismo e
letteratura, di Jonathan Safran Foer. L’autore, un ebreo americano, si
occupa del consumo di carne e ragiona sul nostro tempo partendo da
questo argomento. Il quadro è sconvolgente: gli allevamenti intensivi
inquinano più delle automobili; gli animali, al di là delle condizioni
oscene in cui sono tenuti, vengono modificati geneticamente e imbottiti
di farmaci; polli e maiali sono i responsabili della quasi totalità
delle nostre influenze e malattie, e veicoleranno le prossime pandemie
(previste a breve dall’Organizzazione mondiale della sanità); noi tutti
siamo contemporaneamente ignari e complici di questo massacro, e
l’industria zootecnica lavora attivamente perché questi campi di
sterminio (50 miliardi di polli ammazzati ogni anno) e i loro danni
collaterali siano assolutamente invisibili. Il rigore di questa ricerca
mi ha ricordato «Gli scomparsi» di Daniel Mendelsohn, uno straordinario
libro sulla Shoah. In questo atteggiamento acribioso c’è molto della
tradizione esegetica ebraica. Ma in questa cura c’è anche l’etica della
parola e dell’importanza di preservarla, il valore della precisione e
quello della partecipazione, la condanna di chi si volta dall’altra
parte. Su questa tensione etica è bene che si innesti un agire
politico. Non riflettere su quello che siamo diventati è colpevole.
Siamo la civiltà nella storia che mangia più carne e che la paga di
meno, perché non ci importa nulla del futuro del pianeta e neanche del
nostro, ma solo di consumare il più possibile. Mi piacerebbe che su
questa questione si levassero molte più voci ebraiche. Sarebbe un modo
molto ebraico, e molto etico, di fare politica.
Tobia Zevi, Associazione Hans
Jonas
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notizie
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rassegna
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Israele
- Investimenti in Grecia e Cile
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Leggi la rassegna |
Grecia e Cile come nuove
risorse per il mercato dell’energia israeliano. Se da una parte la
compagnia israeliana Delek sta progettando di effettuare a sud di Creta
delle prospezioni alla ricerca di petrolio e di gas naturale,
dall’altra la Israel Corporation ha acquisito la compagnia elettrica
cilena Central Tierra Amarilla, di cui deterrà il 75%, attraverso
un’iniezione di capitale pari a 15 milioni di dollari. L'iniziativa
della Delek potrebbe garantire un sostanziale allargamento del mercato
energetico israeliano mentre per la Israel Corporation si tratta di
un'iniziativa che permetterà di estendere ulteriormente le attività
della compagnia oltre i confini israeliani.
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La notizia che ci emoziona
di più, oggi, è la visita a Gilad Shalit del presidente della Comunità
ebraica romana, Riccardo Pacifici e dal sindaco della capitale, Gianni
Alemanno, primi due non israeliani a visitare il soldato rapito da
Hamas dopo la sua liberazione. .
Ugo
Volli
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è il giornale dell'ebraismo
italiano |
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Dafdaf
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