se non visualizzi correttamente questo messaggio, fai  click qui

26 giugno 2011 - 24 Sivan 5771
linea
l'Unione informa
ucei 
moked è il portale dell'ebraismo italiano
 
alef/tav
linea
Benedetto Carucci Viterbi Benedetto
Carucci
Viterbi,
rabbino

Il conflitto, seppur costitutivo di una realtà frammentata come quella in cui viviamo, è una modalità di relazione percepita dalla Torah come estremamente negativa. Rashi lo segnala quando nota che, inghiottiti dalla terra, non finirono solamente i contestatori di Mosè e di Aron ma anche le loro famiglie, poppanti compresi: unico caso in cui questa ultima categoria subisce una punizione. Ramban, per spiegare questa anomalia, indirettamente afferma che chi nasce in un ambiente conflittuale non riuscirà a sottrarsi da conflitti ulteriori.

David
Bidussa,
storico sociale delle idee


David Bidussa
Il rifiuto del compromesso non è solo l’effetto di un attaccamento alle proprie convinzioni o del risentimento, o dell’idea che venir meno ai propri principi o al proprio progetto originario sia un modo per tradire i propri antenati o non garantire un futuro dignitoso a chi ci seguirà. Quella ostinazione è anche conseguente a come ci rappresentiamo il mondo. Il mondo materiale reale si basa sulla scarsità. Per questo implica la necessità di arrivare a qualche forma di compromesso. Il mondo spirituale della pura ragione è caratterizzato, invece, dall’abbondanza e siccome non prevede limiti non richiede alcun compromesso. E’ anche per questo che l’idea e la determinazione di arrivare a qualche risoluzione non trovano una loro strada, o, almeno, si fanno spazio con molta difficoltà e al prezzo di un enorme dispendio di energie. Vale su molte cose: su quelle che riguardano milioni di vite, sulla qualità sostenibile della vita quotidiana di ciascuno di noi e su cosa e come riuscire ancora a proporre e a rappresentare un ‘idea di comunità.

torna su ˄
davar
Avraham Zecchillo, lo sciamano di Trani
Ritratto ZecchilloCaro Avraham Zecchillo di Trani, mai avrei pensato di scrivere su di te; io parlavo sempre “con” te.
Eri lo shammash, termine impercettibile da queste parti alle orecchie dei non ebrei, quante volte le scuole ti chiamavano al telefono per visitare Scolanova e cercavano Zecchillo lo “sciamano”…a te piaceva essere chiamato shammash, con quella prosopopea che ti rendeva simpatico; custode, guardiano di Scolanova che era un po' casa tua. Ancora oggi son pochi coloro che arrivando a Trani si accorgono che sul campanile non c’è più la croce di quella che fu chiesa di Santa Maria di Scolanova; c’è il Maghen David che l’amico fabbro forgiò in tempo record e tu di notte (per non dare nell’occhio) montasti arrampicandoti come un gatto sul tetto della sinagoga. Come me, sei nato nelle nazioni e tornato al tuo popolo e da Nicola diventasti Avraham; eppure eri sempre Nicola innamorato di Trani che raccontava di strani pidjon haben fatti da preti marrani in Sant’Anna (la ex Sinagoga Scolagrande) o anziane che all’Eucarestia uscivano di chiesa e facevano la challà e accendevano le candele la sera del venerdì...
Eri Nicola e Avraham perché ognuno di noi è Jaakov e insieme Israel, ebreo nel senso più profondo ossia colui (cito la libera traduzione di un rav) che litiga persino con D–o e tu litigavi eccome; ma eri buono di cuore, alzavi la voce ma non urlavi perché, a modo tuo, eri un vero gentiluomo. Eri un pozzo di sapere, di cultura vastissima, forse disordinata ma solida, frutto di quintali di libri divorati piuttosto che di studi accademici; ti ho più volte spronato a scrivere ma la scrittura non era il tuo forte, preferivi citare date, nomi, sconosciuti chachamim che si perdono nella notte dei tempi, lontane città dei Balcani dove si trovano ancora siddurim del minhag tranese…sembravi Gurdjeff, lo scrittore di Alessandropoli che citava a memoria opere di 4 mila anni fa. Non avevi un carattere facile, Avraham; ma eri l’uomo più generoso che avessi mai conosciuto. Soltanto lo Shabbath ci fermava quando per mesi scorazzammo per la Puglia alla ricerca di ebrei lontani, che mangiavano taref o sposati con non ebree, che di Kippur andavano a cogliere l’uva o disperati perché a Pesach non avevano matzot e haggadah, che avevano perduto la madre ebrea e volevano tumularla ma di sabato… A costoro abbiamo dato la possibilità di mangiare kasher, di digiunare a Kippur, recitare l’hashkavah e seppellire con rito ebraico. Abbiam dato loro una valida ragione per tornare a vivere ebraicamente in questa regione che odora degli stessi ulivi di Eretz e oggi tanti ebrei pugliesi possono dire di aver fatto Rosh HaShanah, acceso le luci di Hanukkah, mangiato le matzot a Pesach, festeggiato Purim grazie anche a te. Consentire agli ebrei di fare le mitzvot è una grande mitzvah.
Abbiamo sbagliato in qualcosa? Forse siamo stati troppo ospitali con chi non meritava tanta cordialità tutta meridionale e a malincuore debbo darti ragione, Avraham: ci hanno abbandonati. Ma noi abbiamo riaperto Scolanova perché l’ebraismo cammina anche sulle pietre; a Trani ci sono più pietre ebraiche che ebrei in carne e ossa ma, se è vero che un giorno tutti i tabernacoli della Diaspora torneranno in Eretz, allora è giusto che torni anche il tabernacolo tranese.
Una sera eravamo sul porto assieme a un nutrito gruppo di ebrei francesi che desideravano fare minchà e arvit in Scolanova e, passando per i vicoli che danno su via La Giudea, vedendo tante kippoth qualcuno ci salutò dicendo non “benvenuti” ma “bentornati”. Fu allora che comprendemmo la nostra missione; far sì che gli ebrei tornassero a pregare alla sinagoga più antica d’Europa nel paese del Mabit, il chacham di Trani che riposa a Safed. Mi ricordavi spesso che ebreo non è già chi nasce da madre ebrea ma chi avrà il proprio nipote seduto a fianco in sinagoga il giorno di Kippur. È incredibile; sei ebreo oggi non per ciò che sei stato ieri ma per quel che sarai domani. Dicevi che noi abbiamo lo stesso fuoco di Abramo nostro padre, primo gher e primo ebreo ed è vero, ma noi abbiamo avuto un altro asso nella manica: Mino, ossia Shalom Bahbout, il più visionario dei rabbini italiani che, passo dopo passo, ci ha guidati all’impresa di riportare l’ebraismo laddove fu estirpato con la forza brutale 480 anni fa. Scolanova è nostra, nessuno potrà più portarcela via come fecero nel 1541, a Trani siamo stati i primi a muoverci in questo Mezzogiorno che conta ebrei da Sannicandro a Siracusa; passando per sognatori…eppure oggi Scolanova è lì, bella come una bomboniera, decorata di arazzi e parochet come l’hai lasciata il giorno che sei partito da Trani senza sapere che non saresti più tornato.
Non è andato tutto bene tra noi, Avraham; negli ultimi tempi una presenza malvagia si è infiltrata nella nostra piccola comunità dividendoci inesorabilmente l’un l’altro.
Mi hanno riferito che mi stavi cercando, forse volevi parlarmi ancora una volta ma l’ho saputo troppo tardi; non ha più importanza, amico mio, anch’io un giorno o l’altro andrò via da qui, il mio lavoro pianistico mi chiama altrove. Non so se avremo ancora un bel minian in Scolanova, se faremo ancora una di quelle incantevoli tefilloth che ci sobbalzava il cuore dall’emozione; quante cose volevamo fare insieme (centro di studi ebraici, ristorantino kasher) ma non tocca più a noi bensì a chi prenderà le redini e farà camminare al trotto questo cavallo ebraico purosangue dall’accento tranese. Son riuscito a non usare la parola per la quale oggi scrivo su queste pagine perché, se noi chiamamo persino i cimiteri “case della vita”, evidentemente noi alla morte proprio non crediamo. Un’ultima preghiera, shammash; prima di tornare da nostro padre Abramo passa per l’ultima volta da Trani, dà un pò un’occhiata a Scolanova, imbandisci la tevah, impila i siddurim, apri le grosse finestre e controlla che il ner tamid sia acceso. Scusami se ti do quest’ultima incombenza, in fondo sei o non sei lo shammash di Trani, anzi lo “sciamano” come ti chiamavano al telefono, stregone buono e barbuto come Gandalf del Signore degli Anelli o Mago Merlino che ruppe l’incantesimo e dalla bianca pietra tranese estrasse la spada più bella; Scolanova, la sinagoga del paese del Mabit!
Non ti dimenticherò mai, Avraham. Tuo sempre amico, Francesco Israel Lotoro, ebreo di Trani.

Francesco Lotoro, Pagine Ebraiche, luglio 2011


Scalanova, un gioiello antico che chiude il cerchio col passato

Scalanova“Un campanile su cui svetta un discreto ma evidente Maghen David, l’emblema più éclatante del risveglio dell’ebraismo in atto nel Mezzogiorno d’Italia.” Queste le parole usate da Daniela Gross per descrivere la sinagoga Scolanova di Trani nel pezzo che chiude il dossier dedicato all’affascinante percorso di rinascita dell’ebraismo meridionale sul primo numero di Pagine Ebraiche.
La storia della Scolanova, di cui Avraham Zecchillo era apprezzato shammash, è in effetti piuttosto singolare. Immerso nel cuore di Trani vecchia, in un intrico di meravigliosi vicoli pieni di storia e vitalità, l’edificio nasce nel tredicesimo secolo come sinagoga ma, dopo la cacciata degli ebrei del Meridione, viene trasformato in chiesa per divenire in tempi più ravvicinati centro culturale. Fino al 2007, anno in cui il rinato gruppo ebraico tranese ottiene dall’amministrazione comunale la restituzione del Tempio al suo uso originale. Grandi emozioni per gli ebrei tranesi e la convinzione di un cerchio che finalmente si chiude, di un luogo che non potrà più essere espropriato dalle vergogne della storia. Da allora la sfida, dal sapore più dolce, è quella di garantire il minian per celebrare la funzione religiosa, di dare continuità a una vita comunitaria. “Siamo stati i primi, passando per sognatori, a muoverci in questo Mezzogiorno che conta ebrei da Sannicandro a Siracusa. Eppure oggi Scolanova è lì, bella come una bomboniera, decorata di arazzi e parochet come l’hai lasciata il giorno che sei partito da Trani senza sapere che non saresti più tornato” scrive Francesco Lotoro in questa pagina ricordando il compagno d’avventura Zecchillo e la sua centralità nella commovente ripartenza dell’ebraismo tranese. Una ripartenza ufficialmente sancita dalla riapertura di questo gioiello architettonico in pietra calcarea, simbolo di un risveglio a cui l’ebraismo italiano guarda oggi con crescente interesse.

Pagine Ebraiche, luglio 2011

torna su ˄
pilpul
Gli antisemiti e i loro ostaggi
Ugo VolliCome i lettori di questo sito certamente sanno, si sono compiuti oggi i cinque anni del rapimento di Gilad Shalit. Del carattere illegale e inumano di questa prigionia si è detto tutto e non vale la pena di diffondersi su questo. Rapito in territorio israeliano, Shalit non è mai stato visitato da parenti o da organizzazioni umanitarie, non ha avuto nessun processo, non gode dei diritti né dei carcerati né dei prigionieri di guerra, anche perché nessuno si è preso la biga di incolparlo personalmente di alcunché. E' trattenuto come un ostaggio nel tentativo di scambiare la sua vita con la liberazione 1000 detenuti nelle carceri israeliani regolarmente processati, condannati, garantiti dalla legge, buona parte di loro rei confessi di omicidi. Nel frattempo viene preso in giro e umiliato con beffe odiose allo scopo di esercitare pressione sul pubblico israeliano. Chi lo ha rapito ha fatto l'anno scorso un cartone animato per mostrare l'inutile dolore della famiglia, un paio di settimane fa ha diffuso un appello per "trovargli una moglie" (cioè rapire una soldatessa), proprio ieri ha diffuso dei fotomontaggi che lo raffigurano da vecchio, sempre prigioniero e infelice.
Si tratta di crimini odiosi contro l'umanità, che anche i peggiori criminali non compiono con tanto accanimento. Quando i banditi calabresi rapirono Paul Getty, gli staccarono un orecchio per dimostrare che l'ostaggio era in mano loro, ma senza prendere in giro il dolore della famiglia. Quando presero Cesare Casella, dovettero tollerare che la madre andasse a incatenarsi nelle loro terre per chiedere la liberazione del figlio. La posizione di Hamas è infinitamente peggiore. E non si tratta affatto di un caso isolato. Hezbollah ha ottenuto uno scambio del genere, di dimensione molto minori. Per riconsegnare le salme dei soldati Ehud Goldwasser e Eldav Rehev hanno ottenuto nel luglio 2008 la liberazione di cinque terroristi condannati, fa cui Samir Quntar, pluriassassino, colpevole fra l'altro di aver ammazzato una bimba di quattro anni a mani nude - naturalmente accolto al suo rientro da grandi feste palestinesi, libanesi, siriane e anche da un party offerto dalla redazione di Al Jazeera. Anche gli italiani in Iraq, Daniel Pearl in Pakistan, colpevole di essere ebreo e tanti altri sono stati trattati come meri oggetti, merci di scambio e poi ammazzati e buttati via come spazzatura dagli islamisti. Fra questi, molti che stavano dalla loro parte, come le "due Simone", membre dell'organizzazione "Un ponte per" che partecipa oggi alla flottiglia, per loro fortuna non uccise ma solo rapite e liberate in cambio di soldi e di recente il grande amico di Hamas, Vittorio Arrigoni (fatto fuori da membri della "sicurezza" di Hamas, il cui interrogatorio è stato tenuto accuratamente segreto).
Sia pur con alcune rilevanti eccezioni a sinistra (non ricordo dichiarazioni su Shalit di D'Alema, Bindi, De Magistris ecc. ecc.) il sistema politico ha reagito in maniera verbalmente accettabile al crimine di Hamas. Hanno condannato ancora di recente la Francia e la Germania, alcuni comuni italiani fra cui Roma, Torino e Milano (l'amministrazione precedente, non Pisapia, però, che è stato da quel che ne so silenzioso in questi giorni sul tema, comme d'habitude).
E però bisogna ammettere che l'immaginario collettivo europeo e occidentale non ha capito la connaturata dimensione criminale, l'inumanità della "lotta" palestinese di cui il caso Shalit è un esempio, ma di recente lo sono stati lo sparo di un razzo contro uno scuolabus e la strage della famiglia Fogel a Itamar (per cui, ricordiamolo, uno dei due assassini ha raccontato che stava per andarsene dopo aver ammazzato genitori e figli grandi, ma sulla porta ha sentito piangere la bebè di otto mesi e allora è tornato indietro e ha tagliato il collo anche a lei...). Quelli che "ammazzano i bambini" nel sentire comune sono i militari israeliani che pure si sforzano di evitare il più possibile le vittime civili combattendo contro terroristi che si infrattano in mezzo alla popolazione usando donne e bambini come scudi umani. La foto della bufala dell'uccisione di Al Dura ha fatto il giro del mondo, quelle dei Fogel, sia pure rilasciate a fatica dal governo israeliano, non si sono viste. Nel ricordo della flottiglia dell'anno scorso, le vittime non sono i soldati israeliani scesi sulla Mavi Marmara quasi disarmati a compiere il dovere legale di assumerne il controllo e assaliti da una folla omicida, ma i loro tentati omicidi che sono stati colpiti con le armi personali nella reazione dei soldati quasi sopraffatti.
Bisogna riflettere su questa reazione distorta. Perché non è vero che Israele non faccia comunicazione. Semplicemente i fatti che mostrano il buon diritto di Israele non passano. Bisogna chiedersi il perché. E la prima risposta indica la colpa della stampa, in particolare di quella "di qualità", che sistematicamente prende posizione contro Israele sposando le versioni palestinesi. Basta pensare alla storia della flottiglia, o di recente al tentativo di violare il confine israeliano organizzato dalla Siria. I giornalisti svolgono la funzione di gatekeepers (custodi dei cancelli) dell'informazione, spiega la teoria delle comunicazioni di massa e decidono quali notizie far passare e quali no. Ma non lo fanno arbitrariamente. Devono compiacere i pregiudizi della propria audience, che confluisce sempre sui media che confermano le loro idee. Insomma il pregiudizio anti-israeliano non è solo dei giornali, ma anche del loro pubblico. In Italia forse meno che in Europa, ma pur sempre presente. Bisogna chiedersi il perché di questo atteggiamento negativo. E la risposta purtroppo è chiarissima: contro Israele agisce un pregiudizio antisemita, che si è esteso dalla destra e dalla sinistra estrema di un tempo anche alla sinistra "moderata" e oltre - anche fra una parte del mondo ebraico. L'ebreo, che una volta era il deicida e il perfido e poi lo sfruttatore economico e la razza inferiore, oggi è diventato lo Stato oppressore, il pericolo per la pace, il carnefice dei palestinesi. Che questi e non "gli ebrei" ammazzino bambini con le loro mani e scherniscano orribilmente le vittime dei loro rapimenti, che tirino razzi scontro scuole e asili quasi ogni giorno non conta. Perché anche nell'informazione, purtroppo, la fantasia e il desiderio contano più della realtà e dei fatti.

Ugo Volli

Per favore, no
Angelica Calò LivneKibbutz Sasa, Alta Galilea a tre minuti dal Libano. "Giovani ebrei e giovani musulmani verso una rottura?". Per favore no!
Visito il sito dei Giovani Musulmani d'Italia e mentre lo cerco penso: "Fammi trovare delle similitudini mio D-o!". Appare l'home page: leggo, una preghiera per Arslan, un ragazzo investito a Mantova da un pirata della strada, l'appello di Sara, una ragazza musulmana che è nata in Italia e vive con serenità  la sua doppia cultura e chiede il diritto di voto, e un video di youtube che potrebbe essere quello di un ragazzo ebreo della diaspora..."alla ricerca di risposte, alla ricerca di uno spazio!". E' un sito di ragazzi che provano a migliorare la loro vita e la vita della propria comunità... proprio come i Giovani Ebrei d'Italia.
Nura e Yassine, come Jonathan o David, bei volti, bei sorrisi, studenti di architettura, di filosofia, di fisica. Tra le righe e le immagini traspare un grande senso di responsabilità verso la propria gente e verso l'umanità, la voglia di cambiare e migliorare, il bisogno profondo di essere rispettati per ciò che si è e di risvegliare negli altri simpatia e empatia per la propria cultura.
Omar Jibril e Daniele Regard, la vita è fatta di scelte, avete un grande compito: siete il futuro. Il nostro futuro, quello dei vostri figli che l'amore vorrà darvi, siete responsabili del mondo che troveranno al loro arrivo. Voi siete i responsabili. Voi, insieme ai giovani che guidate.
Per favore: incontratevi! Sfidate chi vi invita alla rottura. Incontratevi e guardatevi negli occhi. Mettete da parte le offese, le ingiurie, i pregiudizi. Mettete da parte chi vi ricorda solo il volto negativo dell'altro. Il vostro cuore è  in Oriente ma voi siete nati e cresciuti in un Paese senza guerre. Voi, voi, voi potete cambiare il futuro! Voi che siete venuti alla luce dopo le lunghe guerre vissute dai vostri nonni... perché ricominciare a combattere, ad odiare, ad accusare, ad oscurare? Perché tornare indietro? Incontratevi! Quando vi parlerete scoprirete di nuovo che avete tanto in comune, che ognuno di voi è giustamente orgoglioso della propria Fede, delle proprie tradizioni, ma che al mondo c'è posto per tutta questa abbondanza di bellezza, che non c'è bisogno di annullare l'altro.
Se veramente vi importa di noi, del nostro destino, che è anche il vostro, trovate un modo per sconfiggere l'astio, il rancore. Siete nati in un Paese dove la guerra è ormai un ricordo. Avete la possibilità di cercare soluzioni per inventare il seguito della nostra storia, senza lottare continuamente per la vostra sopravvivenza. Forse proprio voi, Omar e Daniele, siete stati scelti per questo incontro straordinario. Forse per merito vostro, da lì, dall'Italia, terra benedetta di rugiada divina, scaturirà quella scintilla che farà si che "si trasformino le lance in vomeri d'aratro...e non si farà più la guerra".
Stupite tutti! Incontratevi. Vorrei essere lì con voi, ragazzi, in quel momento. Magari insieme alla mia amica Dounia Ettayeb.
Con affetto

Angelica Edna Calò Livne, da Israele


torna su ˄
notizieflash   rassegna stampa
Continua la raccolta fondi degli Italkim
Serata di gala nell'ambasciata italiana
  Leggi la rassegna

L'ambasciatore italiano in Israele, Luigi Mattiolo, ha aperto le porte della sua residenza di Ramat Gan alla Comunità degli italiani in Israele, dove è stata organizzata una serata incentrata sulla creatività del nostro Paese, dalla musica d'opera, all'arte pittorica contemporanea, a quella culinaria, culminata in un'asta silenziosa di 45 opere d'arte. Obiettivo della serata era quello di contribuire allo sforzo in corso da parte degli Italkim (gli Italiani in Israele) per il riscatto e l'acquisto definitivo dell'edificio di via Hillel 27 a Gerusalemme, dove hanno la loro storica sede la sinagoga di rito italiano di Conegliano Veneto e il Museo di arte ebraica italiana Umberto Nahon. Da oltre sessant'anni, l'imponente edificio tardo ottocentesco costituisce il centro spirituale e culturale della presenza italiana in Israele. Una recente delibera delle autorità statali e municipali, che hanno gestito fino a oggi la proprietà, impone ora agli Italkim di rilevarla in proprio, e questo ha determinato l'inizio di una campagna di raccolta fondi fra i membri stessi della Comunità, oltre a enti e istituzioni in Israele, in Italia e in altri paesi dove vi è grande interesse per la cultura italiana ed ebraica. 



 
torna su ˄
linee
Pagine Ebraiche 
è il giornale dell'ebraismo italiano
ucei
linee
Dafdaf
Dafdaf
  è il giornale ebraico per bambini
L'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli utenti che fossero interessati a offrire un proprio contributo possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it  Avete ricevuto questo messaggio perché avete trasmesso a Ucei l'autorizzazione a comunicare con voi. Se non desiderate ricevere ulteriori comunicazioni o se volete comunicare un nuovo indirizzo e-mail, scrivete a: desk@ucei.it indicando nell'oggetto del messaggio “cancella” o “modifica”. © UCEI - Tutti i diritti riservati - I testi possono essere riprodotti solo dopo aver ottenuto l'autorizzazione scritta della Direzione. l'Unione informa - notiziario quotidiano dell'ebraismo italiano - Reg. Tribunale di Roma 199/2009 - direttore responsabile: Guido Vitale.