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31 gennaio 2010 - 26 Shevat 5771
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Riccardo Di Segni
Riccardo
Di Segni,
rabbino capo
di Roma

E' di oggi la notizia che il Talmud sarebbe ricercatissimo in Cina come guida e portafortuna per avere successo negli affari. Viste le dimensioni del Talmud bisogna vedere che cosa fisicamente si portano appresso i cercatori cinesi di fortuna. Viene in mente la barzelletta un po' razzista contro i genovesi che commentano la scomparsa del comm. Parodi, che, se è morto, ci avrà trovato sicuramente la sua convenienza. Così se gli ebrei studiano tanto il Talmud è evidente che qualche vantaggio debbano ricavarne, in senso economico. E allora vediamo che cosa è questo misterioso Talmud. Già, perché se è misterioso o se fa fare buoni affari, qualcuno si deciderà finalmente a studiarlo. La Kabalà già attira molto per questo (il primo motivo, il mistero). Un modo come un altro per cominciare. I Maestri dicono "mittòkh shelo lishmà ba lishmà", anche se non l'ha fatto per uno scopo ideale, alla fine realizzerà lo scopo ideale. Ma si sa che i Maestri sono inguaribili ottimisti.

Gadi
Luzzatto
Voghera,
storico

   
Gadi Luzzatto Voghera
Qualche anno fa lo storico Anthony Molho ha pubblicato i dati del censimento degli italiani all'estero effettuato nel 1871, dal quale risultavano 6947 cittadini italiani ebrei così suddivisi: Algeria 64, Tunisia 1133, Tripoli 99, Alessandria d'Egitto 1476, Cairo 871, Costantinopoli 709, Smirne 377, Beirut e Aleppo 307, Canea 38, Corfù 32, Salonicco 427, Rutsciuk 26, Trieste 976, resto Austria 25, Marsiglia 140, resto Francia 111, altri luoghi 136. A questi andavano aggiunti i numerosi ebrei italiani di altre comunità come Rodi, Ragusa (Dubrovnik), Fiume, Abbazia e Spalato. Nella maggioranza dei casi questi nuclei erano vere e proprie comunità autonome, raccolte attorno a sinagoghe attive in cui dominavano il rito italiano (quando non sopravvivevano quello siciliano o pugliese). I contatti fra queste comunità e quelle della Penisola erano strutturali, fondati in gran parte su intensi rapporti famigliari, ma a volte anche sostanziati da rapporti istituzionali e culturali di rilievo. A Corfù fra gli anni ’70 e ’80 dell’Ottocento venne pubblicata una rivista ebraica in italiano – “Il Mosè, antologia israelitica” – che non aveva nulla da invidiare ai più diffusi Corriere (di Trieste) e Vessillo Israelitico (di Casale Monferrato). I rabbini che andavano a guidare le comunità ebraiche italiane del Mediterraneo erano spesso formati proprio in Italia, a Padova o a Livorno o a Firenze. Forse la più importante di tutte, quella di Alessandria d’Egitto, ebbe come rabbino Pacifico Modena, formato al Collegio rabbinico di Padova. Nel 1923 era addirittura il presidente del Consorzio delle Comunità israelitiche italiane Angelo Sereni a interpellare l’allora rabbino di Verona Dario Disegni per sondare la sua disponibilità a ricoprire la cattedra di Alessandria d'Egitto. Disegni declinò l’invito, ma pochi anni più tardi fu la volta di David Prato. Si trattava certo di una strategia nazionale – diplomatica e culturale nel contempo – che anche l’Italia provava ad attuare per estendere la sua influenza politica sul bacino del Mediterraneo, assecondata in questo dagli ebrei italiani, fedeli e ferventi patrioti. Per la cronaca, negli stessi anni anche la Francia seguiva un analogo disegno servendosi dell’Alliance Israélite Universelle. In seguito, nel giro di pochi anni sono venuti lo sconvolgimento nazista, la guerra, la nascita di Israele con l’espulsione degli ebrei da gran parte dei paesi arabi e il processo di decolonizzazione, tutti eventi che hanno radicalmente trasformato il volto del Mediterraneo e delle sue comunità ebraiche. Ed è finita tristemente così: oggi, di fronte a quel che accade in Tunisia, in Algeria, in Egitto, le nostre uniche fonti di conoscenza sono le cronache giornalistiche, che mescolano le corrispondenze sulle rivolte popolari alle dubbie parole di esponenti della politica che confondono giovani prostitute marocchine con parenti di presidenti egiziani. Direi che siamo tutti più ignoranti e più poveri.

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davar
Pagine Ebraiche di febbraio - Fra Memoria e futuro
cover Pagine EbraicheNon c’è futuro senza Memoria. Con questa verità radicata nella coscienza l’ebraismo italiano costruisce la propria identità e la propria azione. Pagine Ebraiche di febbraio attualmente in distribuzione afferma nel suo titolo di testa la necessaria consapevolezza che deve essere altrettanto vero anche il contrario, che non si può mantenere vivo il passato senza uno sguardo costante rivolto al futuro. Da questa consapevolezza prende le mosse il nuovo numero del giornale dell'ebraismo italiano: “Non c’è Memoria senza futuro”. È proprio questo binomio, coniugato in entrambe le direzioni, il passato per il futuro, il futuro per il passato, che rappresenta il filo conduttore di questo giornale che arriva nelle case nel periodo in cui l’attenzione è ancora rivolta al Giorno della Memoria.
Un binomio che vive nel nuovo progetto, nel quadro del Portale dell'ebraismo italiano www.moked.it di Torath Chajim, in memoria di rav Menachem Emanuele Artom, per decenni animatore dell’omonima, prestigiosa rivista di studi ebraici. Si tratta di un nuovo sito dedicato alla Legge ebraica, presentato a pagina 2, che verrà lanciato il 20 febbraio in occasione di un convegno a Torino, città di cui rav Artom è stato rabbino capo.
Un binomio, quello tra passato e futuro, meravigliosamente rappresentato anche dalla piccola Tiferet, che sorride nella fotonotizia in copertina, cucciolo di quattro generazioni di familiari: i genitori, quattro nonni, otto bisnonni e una trisavola.
Sono ancora molti, nel giornale, i contenuti dedicati all’appuntamento del 27 gennaio. Uno speciale sulla Memoria occupa le pagine 32-36, con interviste a Marcello Pezzetti, direttore del futuro Museo della Shoah di Roma, a Elvira Di Cave, organizzatrice della manifestazione al Tempio Maggiore con la partecipazione dei sopravvissuti e a Leah Roshkowsky, responsabile per l’educazione scolastica della Scuola internazionale per gli studi sulla Shoah, tutor assegnato da Yad Vashem all’Italia. Una doppia è poi dedicata alle “pietre d’inciampo”: dopo le prime 50 dello scorso anno, nelle vie della capitale continua l’apposizione dei sanpietrini che ricordano il nome e la storia di un deportato.
Nelle pagine degli editoriali la riflessione sulla Memoria si ripropone sotto diverse sfaccettature negli interventi di David Bidussa, Alberto Cavaglion, Sergio Minerbi. Il diplomatico israeliano affronta la questione dei bambini ebrei che durante la Shoah trovarono rifugio nelle famiglie o enti cattolici che poi in molti casi, dopo averli battezzati, si rifiutarono di restituirli. Un tema, quello delle conversioni forzate, affrontato anche da Anna Foa nel suo intervento in apertura del giornale. Tante le storie dolorose che l’ebraismo italiano ha vissuto per queste pratiche, tra cui quella del piccolo Edgardo Mortara, che riecheggia nella storia di Raffaella Mortara cui è dedicata la rubrica Donne da vicino.
Il dibattito intorno al Giorno della Memoria si fa particolarmente delicato quando si concentra sul rapporto tra il ricordo delle persecuzioni nei confronti degli ebrei, e quello degli altri gruppi perseguitati, che scatena spesso “un’inutile battaglia tra poveri” come ricorda Alberto Cavaglion. Un tema che sta particolarmente a cuore allo scrittore Boris Pahor, triestino di lingua slovena considerato uno dei massimi testimoni del Novecento, vittima delle persecuzioni nazi-fasciste e sopravvissuto a numerosi lager. L’autore di “Necropoli” racconta a Pagine Ebraiche la sua battaglia contro i totalitarismi nell’intervista alle pagine 6 e 7 firmata da Daniela Gross. Ma proprio dalle parole del novantasettenne Pahor arriva uno spunto di riflessione proposto dal direttore Guido Vitale, che in un editoriale in prima pagina, torna su quella Memoria che deve essere capace di guardare al futuro: di recente hanno infatti suscitato scalpore le dichiarazioni di disapprovazione che lo scrittore ha rilasciato a proposito dell’elezione di un sindaco di origine africana, nella cittadina istriana di Pirano.
Tuttavia la Memoria che guarda al futuro è fatta anche di immagini positive, come quella della vignetta che Enea Riboldi dona al lettore, dedicata questo mese al grande Gino Bartali e alle sue pedalate per salvare vite umane, raccontate a Pagine Ebraiche dal figlio Andrea alle pagine 2 e 3, oppure come i progetti del concorso “I giovani ricordano la Shoah”, che ogni anno coinvolge studenti delle scuole di ogni ordine e grado. E a una grande testimone e insegnante, recentemente scomparsa, Giuliana Fiorentino Tedeschi, sopravvissuta ad Auschwitz, è dedicato anche il Ritratto di Sonia Brunetti Luzzati a pagina 38.
Se quello che è accaduto meno di settant’anni fa deve rappresentare un monito alla vigilanza perché mai più accadano simili tragedie, particolarmente interessante è la sezione Orizzonti (a pagina 12), in cui viene denunciato l’aumento degli episodi di antisemitismo nei paesi nordici, e soprattutto l’indifferenza con cui reagiscono le autorità e la società civile. Ma anche una nuova tendenza, sempre più diffusa “l’antisemitismo part time”, che da una parte commemora le vittime della Shoah, e dall’altra definisce Israele uno stato nazista, spiegata a Pagine Ebraiche dal presidente del Jerusalem Center for Public Affairs, Manfred Gerstfeld. Sul fenomeno della percezione di Israele come qualcosa di anomalo, in un’ottica di due pesi e due misure, si concentra l’intervento di Sergio Della Pergola. E di Israele parla anche Daniel Haviv, con un’amara riflessione sul perché lo Stato di cui è diventato cittadino negli anni Settanta non si dimostri all’altezza delle sue aspettative di ragazzo.
Quello raccontato dagli editorialisti è un paese dai mille volti, positivi e negativi. Una delle questioni più spinose che Israele deve affrontare è quella legata all’immigrazione, che non coinvolge più solo gli ebrei della Diaspora, e che crea i presupposti per un’identità nazionale sempre più complessa, come spiega il professor Andrea Yakov Lattes in risposta alla domanda di un lettore. Un tema, quello dell’evoluzione dell’identità ebraica, che non è estraneo all’ebraismo italiano, e che viene trattato anche alle pagine 4-5.
Il problema dell’immigrazione tuttavia in Israele è sempre più penoso soprattutto in relazione all’intensificarsi del flusso di disperati che fuggono dalle guerre e dalle persecuzioni del Nord Africa sperando di trovarvi rifugio. Una situazione da cui trae vantaggio Hamas, che in collaborazione con i Fratelli Musulmani, fornisce supporto ai trafficanti di uomini. Una situazione denunciata dalla ong italiana EveryOne cui è dedicata la sezione di Eretz (pagina 8-9), in cui trovano spazio anche un’intervista a Paola Cariddi, autrice del libro “Hamas”, le rubriche di Kol Ha-Italkim e Rothschild Boulevard, e il commento di Federico Steinhaus.
All’etica medica è dedicato il dossier a cura di Adam Smulevich. Otto pagine in cui viene approfondita la visione ebraica dei temi fondamentali della bioetica, ascoltando le voci dei rabbini Riccardo Di Segni e Gianfranco Di Segni, di Giorgio Mortara, presidente dell’Associazione medica ebraica, di Cesare Efrati, autore del libro “Aspetti di bioetica medica alla luce della tradizione ebraica”, del presidente del consiglio d’amministrazione dell’Ospedale israelitico Bruno Piperno, con uno sguardo ai punti più attuali: l’inizio e il fine-vita, l’utilizzo di cellule staminali ed embrioni per la ricerca, la donazione degli organi, il rapporto medico-paziente. Temi sui quali l’ebraismo ha molto da dire in un’ottica di valori ed esperienza da mettere a disposizione della società.
Parlando di ricette ebraiche che potrebbero offrire un contributo alla soluzione di problemi della società tutta, da non trascurare è l’approfondimento delle pagine di Economia dedicato all’etica del business nella tradizione ebraica, e in particolare nel Talmud, che sembra capace di offrire quella agognata alternativa al modello del profitto a ogni costo, e la certezza di alcuni capisaldi da rispettare, come spiega nel suo intervento Aviram Levy.
Una diversa faccia della medaglia dell’attrazione fatale che esercita la saggezza dei testi ebraici è sicuramente rappresentata dalla Kabbalah, sempre più popolare in contesti profani come il mondo della musica e del cinema in una versione superficiale ed edulcorata. E allora il miglior rimedio a questa banalizzazione è sicuramente rappresentato da un ritorno alle fonti e alla tradizione autentica, come ricorda Ugo Volli nelle pagine di Cultura con un lungo approfondimento sul maestro Gershom Sholem. Pagine di Cultura che in apertura portano la presentazione dell’epistolario di Saul Bellow, padre del romanzo ebraico americano, e che proseguono con la storia di un manoscritto di musica sinagogale scoperto nella comunità ebraica di Mantova che porta il segno di Giuseppe Verdi.
In Cultura ebraica (pagina 26) Alfredo Mordechai Rabello parla del rapporto di D-o con il popolo ebraico e dell’evoluzione di questo rapporto partendo dalla Sua apparizione ai patriarchi. Vengono poi approfonditi il significato del mese di Adar e della parola Berakhà e l’atteggiamento da tenere nei confronti del peccatore, con contributi del rav Gianfranco Di Segni e del rav Roberto Colombo.
In chiusura del numero di febbraio, il lettore trova il Portfolio a cura di Susanna Scafuri, dedicato al fotografo Adi Nes, le cui opere sono in mostra al Museo nazionale Alinari della fotografia di Firenze fino al 6 marzo 2011, e la pagina di sport dove Renzo Ulivieri, presidente dell’Associazione italiana allenatori di calcio parla di razzismo negli stadi e della lotta da condurre perché certi vergognosi episodi non accadano più.

Rossella Tercatin

Egitto, vigilia di tempesta
Sergio MinerbiLa situazione in Egitto sembra oggi meno pericolosa di ieri, ma dobbiamo tenere in considerazione che potrebbe essere la calma prima della tempesta poiché per domani, martedì, è previsto lo sciopero generale e una manifestazione gigantesca di un milione di persone. Mubarak spera forse che i manifestanti si stanchino, ma per il momento non ci sono segnali in questo senso. Ci si domanda chi mostrerà per primo la sua debolezza, Mubarak o i manifestanti. La decisione di Mubarak di nominare un vicepresidente, Omar Suleiman, ha chiarito da un lato che il figlio Gamal non è più l’erede designato alla presidenza, ma d’altra parte nessuno si illude sulla capacità di Suleiman di costituire una seria alternativa a Mubarak.
La componente islamica esiste tra i manifestanti ma non è per ora dominante. Intanto l’Arabia Saudita sta organizzando la navetta verso il Cairo di alcune decine di grossi aerei passeggeri, per trasferire i sauditi che vogliono tornare a casa. Al Cairo si è costituito il nuovo governo, diretto dal premier Ahmed Shafik, che ha ricevuto l’ordine da Mubark di aprire una serie di consultazioni con l’opposizione.
Israele non è al centro delle manifestazioni per quanto siano apparsi alcuni manifesti con il Maghen David sovrapposto al ritratto di Mubarak. Numerose invece le critiche agli Stati Uniti da parte dell’opposizione, che considera tardive e poco chiare le dichiarazioni del governo americano.
L’esercito ha mostrato la sua presenza, ma spesso è finito tutto a tarallucci e vino, cioè con abbracci reciproci fra manifestanti e soldati. Insomma piazza Tahrir (della Liberazione) al Cairo, è ben lontana da piazza Tiananmen a Pechino.
Un ruolo importante ha giocato la rete televisiva del Qatar, Al Jezeera che nonostante le restrizioni ai suoi uffici del Cairo, continua la sua linea contro Mubarak. Anche l’attore cinematografico Omar Sharif, ha detto che Mubarak ha fallito nell’intento di alzare il livello di vita del ceto medio, ma nello stesso tempo Omar non è interessato che arrivino al potere i Fratelli Mussulmani.
Molto interessante l’intervista rilasciata dal presidente siriano Bashar Assad al Wall Street Journal che comincia col dire “dove c’è acqua stagnante, avrete infezioni e microbi”. Decisamente Assad non dimentica di essere medico.

Sergio Minerbi, diplomatico 

Qui Firenze - Nathan Cassuto, un ricordo commosso
Nathan CassutoÈ stato un convegno solenne ma anche un abbraccio collettivo, un incontro scandito da molte rievocazioni affettive in ricordo di una persona speciale il cui insegnamento è ancora oggi fonte di continua ispirazione. Nei giorni della Memoria, la Comunità ebraica di Firenze ha scelto di dedicare al suo grande maestro Nathan Cassuto una densa giornata di studi e riflessione. Una giornata declinata in due sessioni, la prima dedicata alla vicenda personale di Cassuto e alle persecuzioni nazifasciste a Firenze, la seconda invece al forte nesso esistente tra ebraismo e medicina, mondi che Nathan abbraccia con passione nella sua duplice veste di rabbino e medico oculista.
Al microfono si alternano leader ebraici italiani e rabbanim, storici e psicologi, e sul finire di mattinata anche David e Susanna Cassuto, eredi di un padre condannato alla deportazione dalla soffiata di un vigliacco vendutosi al nemico e di Anna, madre tenace e coraggiosa che sarebbe sopravvissuta al lager ma che avrebbe poi tragicamente perso la vita per mano araba tra le colline di Gerusalemme nei giorni che precedevano la nascita dello Stato di Israele. Rabbino capo di Firenze nei mesi più aspri del nazifascismo e allo stesso tempo animatore di una rete clandestina della Delasem che mette in salvo centinaia di correligionari dalla deportazione nei campi di sterminio, Nathan Cassuto continua a emozionare con l’immenso calore umano della sua storia. La tragica fine nella Marcia della Morte che costa la vita a oltre 15mila internati di Auschwitz rappresenta infatti la conclusione di un’esistenza spesa infaticabilmente per il prossimo. Sempre col sorriso sulle labbra e con una forza d’animo intaccabile anche nell’inferno del lager dove infonde preziosi minuti di speranza a chi ne cattura un dialogo o un segno di amicizia.
Nelle parole di David e Susanna scorrono frammenti di ricordi, vissuti personalmente ma anche raccolti successivamente attraverso testimonianze indirette, che rievocano la bontà d’animo, la statura morale, la semplicità di rav Cassuto. Il loro è il bilancio di una vita appassionante, legata indissolubilmente alla tragedia della doppia perdita familiare ma comunque foriera di soddisfazioni nonostante il peso opprimente e devastante di quel passato. Si commuovono e con loro si commuove anche il numeroso pubblico presente in sala. “Ricordo bellissime passeggiate insieme a papà con la mia mano piccolina che scompariva nella sua. Ricordo le sere del Seder pasquale con i suoi grandi occhiali e il suo splendido sorriso”, dice Susanna, che a quei giorni, alla figura del padre e alla sua nuova vita in Israele ha recentemente dedicato un libro dal titolo I figli non fanno domande. Scorrono i flash dell’incubo della deportazione, le strade dei genitori che si dividono dalle loro. Susanna che trova rifugio in un convento, David e suo fratello Daniele che vengono ospitati da coraggiose famiglie fiorentine che li porteranno ad assumere nuova identità e nuova consapevolezza. Una domanda fanciullescamente ingenua tormenta la mente di David: “Perché i miei genitori non mi vogliono vedere? Che cosa ho fatto loro di male?”. Segue il buio di un abbraccio che non tornerà più, il dramma di un affetto negato per sempre, una madre bellissima che le privazioni del lager rendono irriconoscibile nel fisico e nella mente. E la riscoperta, anno dopo anno, di quel padre meraviglioso che vivrà per sempre nel ricordo di chi lo ha conosciuto e di chi gli deve la vita. David rievoca storie incredibili, storie in cui il nome di Nathan Cassuto suona come una benedizione. Da New York al Belgio, da Bene Berak a Bergamo, taccuini da moel e archivi di biblioteche sono indizi che portano a ripercorrere passo dopo passo la luce lasciata in vita dal genitore. Sul finire di convegno una signora si alza dal fondo platea, si dirige verso il microfono e scandisce commossa: “Sono qua grazie a rav Cassuto”. È Daniela Belgrado, figlia di un altro immenso rabbino italiano, quel Fernando Belgrado straordinario cantore e Maestro che fu membro attivo della rete di soccorso della Delasem fino al giorno in cui Cassuto gli intimò di andarsene a causa dei troppi pericoli legati all’attività clandestina. “Quell’intimazione lo avrebbe salvato. Voglio che si sappia che Nathan Cassuto mi ha dato la possibilità di avere una vita, una famiglia e un marito splendido”, conclude la signora Belgrado.

Adam Smulevich

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È indispensabile una legge contro il negazionismo
Donatella Di CesareIl negazionismo si contrasta con i mezzi dell’educazione e della cultura. Ma questa via non è alternativa a quella giuridica. Perché è allora indispensabile una legge che - come quella tedesca o quella francese - dichiari il negazionismo un crimine?
La questione del negazionismo non deve essere circoscritta al dibattito storico. I negatori perseguono una strategia precisa: amplificano un particolare, si appellano all’assenza di una parola, sottolineano la mancanza di una prova minima. Lo fanno per negare l’innegabile delle camere a gas. La loro non è né una tesi né una opinione. Il negazionismo nullifica la realtà condivisa nel dialogo da cui scaturisce la comunità democratica. In tal senso pregiudica il fondamento e il legame della comunità.
L’argomento della libertà di opinione, sollevato da chi in Italia si è dichiarato contrario alla legge, perde qui valore. Vorrebbe dire inscrivere il negazionismo nella razionalità del discorso democratico. È venuto però il momento di riconoscere che il negazionismo è un totalitarismo del pensiero perseguito in una salda continuità con il totalitarismo del passato. L’opinione dei negazionisti è la «verità» di Hitler. C’è complicità tra l’annientamento e la negazione, tra i nazisti di ieri e gli odierni «assassini della memoria» . Questo giustifica e motiva la richiesta di una legge anche in Italia, come ha sostenuto con forza Riccardo Pacifici, presidente della Comunità ebraica di Roma.
Dinanzi alla negazione della Shoah la libertà di opinione deve trovare un limite se si vuole salvaguardare la democrazia. Il negazionismo non rientra nell’ordine del pensiero. Non c’è quindi intrusione della legge. Per contro è necessario che la legge sanzioni coloro che oggi fanno apologia del crimine negandone l’esistenza e che così intendono offrire a Hitler una vittoria postuma. Chi parla di «menzogna su Auschwitz» deve essere passibile di condanna anche in Italia.

Donatella Di Cesare, filosofa

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Memoria: Giovani ebrei italiani
in visita al Campo di Fossoli
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Giovani ebrei da tutta Italia e giovani musulmani assieme per ricordare le vittime della Shoah. In occasione del Giorno della Memoria, infatti, l’Ugei ha organizzato la visita al campo di concentramento di Fossoli (Modena), iniziativa a cui hanno preso parte anche alcuni rappresentati della Coreis (Comunità Religiosa Islamica Italiana). Assieme a rav Giuseppe Laras, i ragazzi hanno prima percorso le tredici sale del Museo del Deportato di Carpi e, dopo aver visitato la sinagoga della città, si sono recati al campo di concentramento. Emblema della responsabilità italiana nella Shoah, da Fossoli transitarono nella Seconda Guerra Mondiale verso i campi di sterminio nazisti 2845 ebrei. 
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