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L'Unione informa
 
    29 aprile 2010 - 15 Iyar 5770  
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Moked - il portale dell´ebraismo italiano
alef/tav    
  alfonso arbib Alfonso
Arbib,

rabbino capo
di Milano
In un passo del capitolo 3 di Avot che abbiamo letto questa settimana, Rav Chaninà ben Dossà sostiene che il timore del peccato deve precedere la sapienza. Nella Tradizione ebraica c'è una grande considerazione per la chokhmà: diventare chakhàm è la massima aspirazione a cui si possa ambire. Però, secondo i nostri Maestri, anche la sapienza può contenere delle trappole perché può servire a giustificare qualunque azione anche la più deprecabile. Quest'uso corrotto dell'intelligenza e della sapienza può essere contrastato solo da quello che la tradizione ebraica chiama timore del peccato.
Da oltre un anno ho avuto l'onore e il piacere di collaborare a questo spazio quotidiano (per me settimanale). La formula editoriale si apre con due brevi interventi, una voce proveniente dai maestri del rabbinato italiano, e una voce proveniente dalle file dei laici (nel senso etimologico di "non persone di culto"). Per giusta e riconosciuta deferenza, la voce dei secolari è la seconda, e per accedervi – sullo schermo – bisogna transitare attraverso la prima. Cosí, l'ordine verticale dell'impaginazione offre il vantaggio di una prima lettura sempre interessante, profonda e istruttiva. E tuttavia, nel corso di queste riflessioni quotidiane, insorge un piccolo dubbio e si fa luce una modesta richiesta. E' usuale che i maestri citino altri maestri che li hanno preceduti. Chi legge questo notiziario nota che quasi sempre queste voci dell'eterna saggezza ebraica appartengono a rabbini che sono vissuti in piccoli villaggi della Galizia, in cittadine del Marocco, in provincie semi-rurali dell'Ungheria o della Bielorussia, in paesotti della Valle del Reno. A volte una potente voce riemerge dall'Andalusia, o dalla Genizàh del Cairo. E, con grande autorità, dall'antica Terra d'Israele. Ma mai, o quasi mai, dall'Italia. Ma è possibile che la binàh (intelligenza) e la chokhmàh (saggezza) abbiano saltato a pié pari la Penisola? Non sarebbe possibile, magari con qualche sforzo di archeologia e di archivistica, far riudire le voci, che pure ci debbono essere state, di qualche maestro dell'Ebraismo italiano? Sergio
Della Pergola,

Università Ebraica di Gerusalemme
sergio della pergola  
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                               Un rabbino grande un secolovignetta riboldi



































Il rav Elio Toaff compie in questi giorni 95 anni. Su Pagine Ebraiche di maggio articoli, memorie testimonianze e documenti rendono omaggio alla sua straordinaria figura. In una lunga intervista il rabbino che ha retto per oltre mezzo secolo le sorti della Comunità Ebraica di Roma parla del nostro futuro, della crisi del rabbinato e delle sue soluzioni, delle speranze per il futuro, della necessità di intensificare lo studio e la generosità verso i più deboli. Al Rav, a tutti i suoi cari e a tutti i suoi amici gli auguri più affettuosi della redazione. Ad mea ve 
esrim!


Moked - Al via la grande convention di primavera
Il grande ritorno dei marrani

“Marrani di ieri e di oggi”. Questo il tema del Moked di primavera, la tradizionale convention dell’ebraismo italiano, dedicata quest’anno al suggestivo tema dei conversos. I casi di singoli, di famiglie o di intere comunità che chiedono di entrare a far parte del popolo ebraico si vanno infatti facendo frequenti. In molti casi pare si tratti di discendenti di marrani, che nel corso dei secoli hanno mantenuto una qualche segreta fedeltà all’ebraismo. È il motivo per cui la questione marrana, quanto mai peculiare dell’esperienza storica ebraica, torna a farsi attuale e merita quindi attenzione e analisi approfondite, nell’intento di coglierne il significato e i riflessi sull’ebraismo contemporaneo. Al tempo stesso il marranesimo potrebbe rivelarsi una preziosa pietra di paragone, se messo a confronto con forme di nascondimento e di dissimulazione dell’identità sempre più frequenti. L’argomento, di particolare interesse nel cinquecentenario della cacciata degli ebrei dal Sud Italia, sarà affrontato sia dal punto di vista storico sia da quello rabbi nico. Tra i relatori, Piera Ferrara (Università di Tor Vergata), David Meghnagi (Università Roma Tre), Sergio Della Pergola (Università di Gerusalemme) e rav Eliahu Birnbaum di Shavei Israel, l’organizzazione israeliana fondata dal giornalista Michael Freund che lavora al recupero degli ebrei perduti: i Bne’ Menashe in India, gli ebrei cinesi di Kaifeng, gli ebrei inca, i discendenti degli ebrei polacchi e, appunto, i conversos di Spagna, Portogallo, America latina e forse tra poco anche d’Italia.

roberto della roccaA prima vista sembra uno di quegli argomenti riservati agli storici o alle ricerche erudite. Ricco di fascino e mistero ma ben poco pregnante per il presente e soprattutto per il futuro. Parlare di marrani e del marranesimo vuol dire invece mettere sul tavolo le mille contraddizioni intrinseche al mondo ebraico, toccarne con mano le radici e affrontare il tema per eccellenza: quello dell’identità. Rav Roberto Della Rocca, direttore del Dec - Dipartimento educazione e cultura UCEI non si nasconde la complessità della questione ma è ben convinto che ragionare dei conversos sia ragionare degli ebrei di oggi
e del domani. Per questo ha voluto dedicare al marranesimo il Moked di primavera che, accanto alle consuete occasioni di svago e convivialità, proporrà sull’argomento un programma d’approfondimento di grande interesse.
“Vi sono più ordini di motivi che mihanno spinto a questa scelta - spiega - Da un lato è in atto una riscoperta del Sud d’Italia: a cinquecento anni dalla cacciata degli ebrei da quelle terre, nel 1510, stiamo approfondendo studi, ricerche e progetti sul Meridione con risultati notevoli dal punto di vista storico e antropologico. E proprio in questo contesto stanno emergendo tracce importanti del fenomeno dei conversos”. Gli studiosi che si addentrano in questo mondo si confrontano con famiglie in cui da secoli sopravvivono reminescenze, ricordi lontanissimi, pratiche di cui si è scordata da tempo l’origine: l’usanza di accendere
le candele al venerdì sera o di cuocere il pane azzimo a Pasqua, un certo modo di fare cucina, taluni gesti.
Sono abitudini che, dice rav Della Rocca, vanno indagate con cura per capire se racchiudono davvero una specificità ebraica. Ma certo inoltrarsi in quest’universo ancora velato di segretezza, fare i conti con quanti s’interrogano sulle loro radici lontane e su ciò che significano per il presente e per il futuro risulta tanto più suggestivo oggi, in tempi contrassegnati da identità in bilico. Ed è questo il secondo grande motivo per cui nella convention di primavera si parlerà di marranesimo. “Viviamo un momento in cui è fortissima la dissimulazione dell’identità ebraica - afferma il rav Roberto Della Rocca - Sono sempre più frequenti le forme di nascondimento mentre avanza il fenomeno dei cosiddetti ebrei invisibili che in molti modi celano la loro identità e la loro origine. Si tratta di una situazione per molti versi speculare a quella dei discendenti dei marranos che invece cercano di dare visibilità a un ebraismo sommerso e vogliono entrare a far
parte del mondo ebraico. Ed estremizzando il ragionamento si potrebbe anche affermare che esiste il pericolo di un marranesimo al contrario: ebrei esteriormente e qualcos’altro nella propria intimità. Riflettere su questi diversi aspetti è dunque molto intrigante”. A rendere la cosa ancor più stimolante concorre il fatto che il tema dei conversos dal mondo ebraico è sempre stato vissuto in modo conflittuale. Il marrano gioca infatti su una doppiezza tra pubblico e privato, è ebreo dentro casa e cattolico fuori. Costretto da un travagliato destino, considerato spesso un impostore e un eretico dai cristiani, e un traditore della sua gente. Ma se si tiene conto della forte costrizione esercitata su di lui e sui suoi familiari lo si può vedere invece come una persona forzata ad abiurare con la violenza e la minaccia: un uomo o una donna da comprendere e non da condannare.
“L’approccio ai conversos - spiega il rav Della Rocca - suscita da tempo una forte dialettica nelle coscienze ebraiche e sul tema c’è da sempre un dibattito all’interno dello stesso rabbinato. Nella scelta tra morte e conversione i marrani hanno risposto con una soluzione alternativa che ha assunto una portata collettiva, vivendo il paradigma di una doppia identità.
Una dimensione che ci rimanda alla Bibbia, alle figure per noi così importanti di Mosè e di Ester”. Figlio di una madre ebrea e cresciuto a palazzo come un egiziano, Mosè è il paradigma di un’identità doppia che si risolverà nel riconoscimento dell’essere ebreo. Proprio come accade a Ester, che vive in segreto il suo essere ebrea finché gli eventi la inducono a manifestarsi a protezione del suo popolo. Al di là delle suggestioni bibliche confrontarsi con i marrani comporta una serie di problematiche non da poco.
“La riammissione all’ebraismo non può affatto essere automatica - sottolinea infatti il rav - Si deve valutare la veridicità delle origini ebraiche, cosa non facile vista la distanza storica dalla conversione. E si deve poi capire se l’abiura è avvenuta sotto costrizione e minaccia della vita. La legge rabbinica prevede, in linea teorica, anche l’obbligo di mettere a disposizione la propria vita pur di non infrangere il divieto d’idolatria. Ma certo il caso dei conversos è del tutto sui generis”.
A confermarlo la preghiera, presente solo nel rito italiano, in cui si auspica che gli anusim (termine ebraico che alla lettera significa violentati e che indica i marranos) possano fare ritorno. Il rabbino la pronuncia al sabato mattina, dopo aver benedetto la comunità, prima di riporre il Sefer Torah nell’Aron HaKodesh. E’ un invito a chi ha dovuto allontanarsi e al tempo stesso un monito che rimanda a una riflessione sulla secolare storia ebraica.

Daniela Gross, Pagine Ebraiche, maggio 2010


Moked - Il risveglio di San Nicandro

mokedLa notte del 10 agosto 1930, nel piccolo centro pugliese di San Nicandro, Donato Manduzio, professione bracciante, fece uno strano sogno, che lo spinse a mettersi a leggere la Bibbia (una Bibbia protestante, l’unica che riuscì a reperire). Fu così che scoprì e cominciò a praticare l’ebraismo, senza sapere nemmeno che al mondo degli ebrei esistevano ancora. Ebbe inizio in questo modo una delle pagine più incredibili della storia dell’ebraismo italiano novecentesco.
Il popolo ebraico è considerato un esempio straordinario, per molti aspetti unico, di cultura e coesione mantenute intatte per millenni. Il trascorrere del tempo, la dispersione e le persecuzioni, a prima vista non sembrano aver danneggiato la vita e la vitalità degli ebrei nel mondo. Non altrettanto si può affermare a livello demografico. Quanti sono gli uomini e le donne ebree che si sono allontanati nel corso dei secoli? Impossibile saperlo. Ma è accaduto anche, e sempre più spesso si ripete oggi, che persone del tutto estranee all’ebraismo, magari animate da antichi ricordi di un’appartenenza perduta da generazioni, all’ebraismo vogliano ricongiungersi. Un fenomeno sempre più frequente per esempio nei territori dell’Ex Unione sovietica, per ragioni geopolitiche, ma che si ripete costantemente anche in quelli che nel XV secolo erano domini spagnoli, dove gli ebrei furono espulsi o costretti a convertirsi. E dove in molti casi scelsero di mantenere in segreto le proprie tradizioni, dando vita al fenomeno del marranesimo. Proprio di queste storie di identità perdute e ritrovate si parla nel Moked primaverile 5770, che prende oggi il via.
Sarà proprio “Marrani di ieri e di oggi” il filo conduttore di incontri e dibattiti che animeranno le giornate dei partecipanti all’appuntamento annuale del DEC.
Nelle regioni meridionali della nostra penisola oggi la riscoperta dell’ebraismo perduto è fortissima, come ha testimoniato il successo di Negba, il primo festival della cultura ebraica in Puglia organizzato a settembre dall’UCEI.
Sono tante le storie nate all’ombra Gargano. Quella di San Nicandro la racconta oggi un film-documentario presentato per la prima volta nel novembre 2009 al festival Transiti d’Oriente, “San Nicandro, Zefat. Il viaggio di Eti”, diretto da Vincenzo Condorelli.
Nel giro di pochi anni dopo la visione di Donato Manduzio, il gruppo di ebrei sannicandresi era arrivato a contare più di una ventina di persone. Erano stati avviati contatti con la Comunità ebraica di Roma per un processo di conversione riconosciuto. Ma per gli ebrei in Italia i tempi si facevano cupi. Con le leggi razziali, il rabbino capo di Roma cercò di dissuadere Donato Manduzio e i suoi dal proseguire nell’intento, loro che potevano scampare alla persecuzione. La risposta fu indignata. Il gruppo si considerava e voleva essere considerato ebreo a tutti gli effetti, pronto a sopportare anche le conseguenze più negative. La conversione vera e propria arrivò nel 1946, e nel giro di pochi anni la maggioranza degli ebrei di San Nicandro si trasferì in Israele.
Oggi nel paese vivono alcune decine di ebrei, tra i quali Grazia Gualano, ricercatrice di Storia dell'Ebraismo sannicandrese e Presidente del gruppo San Nicandro. Sarà lei a commentare il documentario, in cui compare proprio nel suo ruolo di studiosa che aiuta il protagonista Eti a ricostruire la sua storia familiare.
La comunità di San Nicandro, nonostante le difficoltà che deve affrontare legate all’esiguità dei numeri, e alla scarsa disponibilità di prodotti kasher, continua a rappresentare, a distanza di tanti anni dalla sua nascita, uno straordinario esempio di vitalità ebraica, contro una storia che secoli fa sembrava aver messo per sempre la parola fine all’ebraismo italiano del meridione.

Rossella Tercatin


Moked - Il viaggio di Eti

San NicandroS’intitola “San Nicandro, Sefat. Il viaggio di Eti”, il film sulla comunità ebraica di San Nicandro garganico che sarà protagonista della prima serata del Moked e che era stato proiettato in anteprima nazionale l'estate scorsa, nelle intense giornate di Negba, il festival della cultura ebraica in Puglia. Alla proiezione della pellicola seguirà un dibattito con  Grazia Gualano, studiosa della storia dell'ebraismo di San Nicandro e fautrice della rinascita della comunità locale.
Il viaggio di Eti è un'opera del cineasta Vincenzo Condorelli, coprodotta dall'Apulia film commission, l'Associazione culturale Antonello Branca e Medinet audiodivuals, con il patrocinio dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane. Narra del viaggio che Eti, Yossi e Miriam, rappresentanti di tre generazioni dell'ebraismo sannicandrese compiono alla riscoperta delle loro origini pugliesi e delle tracce che ancora oggi sono presenti dal Gargano al Salento della fiorente presenza ebraica. I protagonisti sono discendenti degli ebrei che, all'epoca della seconda guerra mondiale emigrarono dall'Italia meridionale in Galilea.
Eti è una giovane laureanda presso l'Istituto di cinematografia di Gerusalemme. Come tesi sta preparando un film sulla vicenda dei suoi nonni Eliezer ed Esther Tritto, i quali da bambini dovettero trasferirsi da San Nicandro a Sefat insieme alla loro comunità. Yossi è un affermato filmaker con cui Eti avrà modo di confrontarsi durante il viaggio, Miriam è la sua anziana madre che lotta contro il morbo di Alzheimer. I rapporti che si instaurano tra i tre protagonisti sono lo specchio di quelli intergenerazionali tra gli ebrei pugliesi. Storia, memoria e costruzione  dell'identità sono le tematiche che, attraverso l'esperienza dei tre viaggiatori, Condorelli si propone di affrontare.
Il 2010 è il cinquecentesimo anniversario della cacciata degli ebrei dell'Italia del sud. Proprio in questo ultimi anni si è registrato un crescente desiderio di recuperare tradizioni e sentimenti ebraici rimasti sommersi per molti decenni, in alcuni casi per secoli. Il film sulla comunità sannicandrese inaugura i lavori di un Moked dedicato al marranesimo, che s'interroga sulle possibilità e sulle modalità di recupero e di valorizzazione di queste tradizioni dimenticate, su come rinsaldare i legami con i cosiddetti ebrei invisibili.

Manuel Disegni


Qui Firenze - Perché bisogna ricordare

LocandinaNon una mera celebrazione ma una grande opportunità per riflettere in modo critico e costruttivo sulla Memoria. Nasce con queste premesse Perché ricordare: Un incontro sulla Memoria, iniziativa organizzata dalla Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Firenze (Unifi) in collaborazione con la Regione Toscana. L’appuntamento è a partire dalle 15.45 di oggi pomeriggio nella Sala Comparetti della medesima Facoltà (la sede è in Piazza Brunelleschi 4).
Ida Zatelli, docente di Lingua e Letteratura Ebraica e organizzatrice dell’evento odierno, svela il filo conduttore del meeting: “Al centro del dibattito ci sarà il concetto di raggiustamento del mondo dopo la Shoah che fu così ben trattato da Emil Ludwig Fackenheim nel suo libro Mend The World. Ci chiederemo cosa possiamo fare attivamente e non solo cosa dobbiamo celebrare. Lo faremo senza retorica. Rifletteremo inoltre su quale sia il modo migliore per trasmettere la Memoria alle nuove generazioni, che spesso non conoscono o sono comunque poco interessate ai fatti”.
La professoressa sottolinea un aspetto di non poco conto: “Questa iniziativa dimostra l’impegno preso, almeno in Toscana, di fare Memoria tutto l’anno e non solo in una data istituzionalizzata”.
La scaletta dell’incontro prevede i saluti di Michele Papa, prorettore vicario dell’Università di Firenze, e quello di Franca Pecchioli Daddi, preside della Facoltà di Lettere. Toccherà poi a Ugo Caffaz, direttore generale delle Politiche Formative, Beni e Attività Culturali della Regione Toscana, introdurre ospiti e temi che verranno trattati nelle ore successive. Il primo a parlare sarà Daniel Vogelmann, direttore della Casa Editrice Giuntina e figlio di Shulim, uno degli oltre mille ebrei salvati da Oskar Schindler, il Giusto tra le Nazioni a cui Steven Spielberg ha dedicato il suo film più celebre e amato. Seguiranno gli interventi della professoressa Zatelli, una riflessione sul tema biblico della sofferenza del giusto, e quello dello studioso (e collaboratore di Pagine Ebraiche) Alberto Cavaglion, che cercherà di definire il concetto di zona grigia introdotto da Primo Levi. Concluderà la giornata Massimo Giuliani, docente dell’Università di Trento, che approfondirà il tema filo conduttore del pomeriggio: riparare il mondo dopo Auschwitz.

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  riccardo di segniUna strana coppia

La "strana coppia" del giorno, americana, è quella di Gary Krupp, magnate ebreo con la mission di riconciliare gli ebrei con la buona memoria di Pio XII, e Shmuley Boteach, rabbino ortodosso, grande comunicatore mediatico, già amico e consigliere di Michael Jackson e autore di best-seller come Kosher Sex, Kosher Adultery, The Kosher Sutra. Boteach non condivide l'opinione di Krupp su Pio XII e su questo argomento insieme si sono esibiti l'altro mese a New York in un dibattito pubblico (a pagamento, adult ticket 25 $). Ieri i due sono riapparsi insieme, con ampia delegazione, nell'udienza generale del mercoledì a S. Pietro. Le agenzie riferiscono che era per manifestare solidarietà ebraica alla Chiesa sotto accusa. Boteach racconta di aver regalato al papa un orologio con doppio orario (Roma-Gerusalemme), e di avergli parlato della minaccia iraniania e della necessità che le due religioni collaborino in iniziative per il rafforzamento dell'istituto familiare, con l'idea particolare di passare il Venerdì sera in casa con i figli (perché poi anche i cristiani debbano farlo il Venerdì non è chiaro). Fin qui niente di eccezionale né di disdicevole. Quello che non si capisce è che bisogno ci sia stato di manifestare e chiedere amicizia al papa proprio "nella delegazione guidata" dal principale supporter della beatificazione di Pio XII. Chissà se dopo Kosher Sex vedremo anche Kosher Pope.

Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma




tizio della seraLa sensibilità

Da un certo numero di anni la Germania sta facendo i conti con il suo passato nazista. Vi sono musei e importanti segni nella nuova architettura urbana, esistono dipartimenti universitari che si occupano della fenomenologia della catastrofe ebraica. C'è una pubblicistica che va dalla narrativa, alla saggistica, all'indagine giornalistica. Infine ci sono atti di amicizia verso Israele da parte del governo nazionale. Ma a ben guardare, esiste una sottile linea di silenzio su come fossero i tedeschi in quegli anni. Una barriera invisibile impedisce l'accesso al loro interno umano. Non sappiamo cosa in quegli anni orridi la gente avesse dentro. Ed esiste un silenzio ancora maggiore  su cosa sentano oggi i tedeschi di questo  passato genocida. Ad uno scrittore che si informava con operatori culturali tedeschi circa la possibilità di realizzare una fiction satirica sul nazismo, è stato spiegato che questo potrebbe avvenire solo con una piccola produzione e con personale artistico prettamente ebraico: attori e regista, ad esempio. I canali generalisti tedeschi, è stato spiegato educatamente a bassa voce, non si impegnerebbero mai in una satira televisiva sul nazismo. La motivazione risiede nel fatto che la nazione si offenderebbe. A riguardo, c'è molta sensibilità. E questo,  commuove. 

Il Tizio della Sera
 
 
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Il riarmo di Hezbollah dalla Siria accende la miccia al Medioriente
I segnali che preannunciano l'imminenza di una nuovo aggressione di Hezbollah libanese contro Israele sono sempre più inquietanti e inequivocabili. 11 ministro della difesa americano Robert Gates ha infatti dichiarato pubblicamente che la Siria e l'Iran stanno consegnando missili sempre più sofisticati agli Hezbollah in Libano: «Siamo arrivati al punto dove gli Hezbollah sono in possesso di un arsenale di razzi e missili più poderoso di molti governi del mondo». Questa autorevolissima accusa di sabotare l'accordo di tregua che chiuse la guerra del 2006, lanciata contro Hezbollah, il governo libanese, la Siria e l'Iran, non proviene - si badi - da un oltranzista, ma dal ministro a cui Barack Obama ha consegnato il controllo del Pentagono. Dunque, la più alta autorità politico militare del pianeta, avalla totalmente - anzi le incrementa - le denunce di Israele circa la totale violazione dei presupposti e del senso della missione Unifil in Libano e conferma la recente denuncia di Simon Peres, che si è detto certo che la Siria abbia consegnato a Hezbollah pericolosissimi missili Scud. Un quadro talmente grave, che Obama ha inviato ieri in Libano il suo Consigliere per la sicurezza nazionale John Brennan, che è anche responsabile per l'antiterrorismo, per verificare in loco la consistenza del fenomeno (soprattutto per cercare di comprendere se Hezbollah abbia o meno ricevuto gli Scud). [...]
Carlo Panella, Libero, 29 aprile 2010

Un'antica tribù torna a casa
Dopo quasi tre millenni di esilio diventa realtà il ritorno in Israele di un gruppo, chiamato Bnei Menashe, che si ritiene discendente di Manasse, una delle dieci tribù perdute degli ebrei. Quelle che furono cacciate dagli Assiri 2.700 anni fa, mentre gli occupanti permisero soltanto a due di esse (Beniamino e Giuda) di restare nella Terra Promessa. Circa 1.700 membri di Bnei Menashe sono migrati in Israele dall'india: esattamente dallo stato di Manipur nel Nordest del paese asiatico. Dopo l'esilio avvenuto nell'ottavo secolo avanti Cristo, questo gruppo, almeno stando alla tradizione, raggiunse dapprima l'Afghanistan e il Tibet, quindi la Cina: qui fu nuovamente perseguitato ed espulso intorno al 100 dopo Cristo. Da lì, in piccoli gruppi, i Bnei Menashe se ne andarono verso il Sudest asiatico e l'india, dove rimasero fino ai giorni nostri. A scoprirli furono i missionari cristiani alla fine del diciannovesimo secolo. Essi furono sorpresi nel constatare che alcuni abitanti del luogo conoscevano già qualcosa della narrazione biblica. Molti Bnei Menashe si convertirono al cristianesimo, ma negli ultimi decenni sono nuovamente passati alla fede giudaica. Soltanto con la creazione dello stato di Israele, avvenuta nel 1948, alcuni cominciarono a credere di essere discendenti degli antichi Israeliti cominciando a sognare il ritorno verso la loro terra. […]
Massimo Galli, Italia Oggi, 29 aprile 2010 

 
 
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Genocidio armeno, dibattito alla Knesset        
Gerusalemme, 28 apr -
Alla Knesset si discute sull'eventuale riconoscimento del “genocidio” degli armeni, per mano della Turchia, durante la Prima guerra mondiale. E' stato il leader del partito Meretz, Haim Oron, a proporre l'argomento. “La Knesset ha l'obbligo morale di riconoscere la grande tragedia nazionale degli armeni", ha affermato Oron e il parlamento israeliano ha deciso di rinviare a una della sue commissioni la discussione. La Turchia nega che gli armeni siano state vittime di un genocidio e si oppone a qualunque riconoscimento in questo senso. 

 
 
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