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    26 aprile 2010 - 12 Iyar 5770  
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  Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma Riccardo
Di Segni,

rabbino capo
di Roma
La parashà letta questo Sabato istituisce il rito di Kippur iniziando con le parole acharè mot, "dopo la morte" dei figli di Aharon, è un discorso rivolto a dei sopravvissuti. Gli antichi romani schernivano quei culti in cui i fedeli pregavano per la propria sopravvivenza, per essere superstiti. Di qui il termine "superstizione" che ha poi assunto ulteriori connotati negativi. Fino a 50 anni fa, l'ebreo che si battezzava doveva abiurare la sua originaria judaicam superstitionem. Noi siamo un popolo di sopravvissuti, malgrado i Romani e la Chiesa e tutti gli altri, celebriamo il doveroso ricordo dei nostri martiri e preghiamo per la nostra sopravvivenza. Questo non vuol dire certo che la nostra religione sia una superstizione, ma il rischio di deriva superstiziosa da parte di singoli e di gruppi è sempre presente. Per fare un esempio recente, portare dei ragazzi in pellegrinaggio ad Auschwitz di Shabbat, mostrando poco rispetto per la propria tradizione (considerata solo una superstizione superata) e sostituendola con nuovi riti di memoria e sopravvivenza può essere una superstizione. 
Liberazione. Una parola molto carica, diversa da quella altrettanto forte di “libertà”, che può anche caratterizzare uno stato di quiete e di immobilità. La liberazione è  un movimento: uscita da una storia di schiavitù e travaglio, conquista della libertà. Per noi ebrei è l’'esodo dall'’Egitto. Il 25 aprile fu per gli ebrei che vivevano al Nord, nella parte d'’Italia ancora sotto il tallone  dell'’occupazione nazista, possibilità di uscire all’'aria aperta, di abbandonare i nomi falsi che coprivano l'’appartenenza proibita alla “razza ebraica”, di non temere rastrellamenti,  deportazioni, morte. Per gli altri,  almeno per quelli che non avevano sostenuto il regime di Salò, la liberazione fu riappropriazione di sé stessi e del proprio libero arbitrio, sollievo all’'idea che la guerra fosse finita, e anche desiderio di ricostruire la patria in rovina, di riprendere le responsabilità perdute. Mancò  quella vergogna, quel ritegno che avevano accompagnato la liberazione dei campi, come ce lo ha raccontato, per sempre, Primo Levi. La folla riempì gioiosa le strade, nella confusione, quel 25 aprile di sessantacinque anni fa.
Anna Foa,
storica
Anna Foa, storica  
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  Riviste di cultura, il punto con Valdo Spini

Valdo SpiniIl panorama delle riviste di cultura in Italia è decisamente vasto: più di 400 pubblicazioni che si occupano di discipline quali la letteratura, la politica, l’arte, la filosofia. Un universo culturale da sempre focalizzato più sulla qualità del prodotto che sulle logiche di mercato e che per questo combatte da anni con tirature limitate, vendite ridotte all’osso e limitati ricavi pubblicitari. Di questo e d’altro abbiamo parlato con l’onorevole Valdo Spini, presidente della commissione affari istituzionali del Comune di Firenze e neo presidente del Cric, Coordinamento riviste italiane di cultura.
C’è un imperativo impellente nel campo dell’editoria italiana: cercare nuovi lettori, aprirsi a nuove fasce di utenza. Come pensa sia possibile realizzare un tale obiettivo?
Il primo elemento è la formazione di lettori nuovi e cioè la trasformazione in lettori di cittadini che non sono ancora lettori. Il sistema editoria in questo caso è una variabile che interagisce con i sistemi della formazione e dell’informazione. E’ necessario investire e non disinvestire nei settori della scuola, dell’università e della ricerca. Fra queste esigenze, vi è anche quella di informare adeguatamente i lettori di libri e giornali sull’offerta delle riviste di cultura. Poi bisogna promuovere la lettura, e cioè utilizzare l’insieme dei canali, dalle fiere editoriali ai festival culturali, dando impulso a iniziative diffuse su tutto il territorio nazionale, senza trascurare le zone di periferia e la provincia. Vi dovrebbe essere molta più attenzione a coinvolgere attivamente la popolazione e a rispondere a una gamma di esigenze molto ampia e differenziata. In questo senso le riviste possono avere un ruolo strategico se si mettono in dialettica con i libri, sviluppando un ruolo di collegamento tra il divenire delle idee e degli avvenimenti e i libri stessi: dobbiamo dare una vera e propria battaglia non solo politico-culturale o, forse, politica tout court, in questo senso. Fra le prime cose di cui ci occuperemo vi sarà la sollecitazione nei confronti delle rubriche culturali della Rai e delle altre reti televisive ad occuparsi delle riviste.
Le riviste culturali sono state al centro dei movimenti culturali più innovativi del Novecento. Cosa rappresentano oggi le riviste nella società italiana e quale ruolo secondo Lei potranno avere in futuro?
Il libro è l’opera, in genere, di un singolo autore. Le riviste sono invece l’espressione di un luogo di confronto, di stimolo reciproco tra persone e ambienti. Un elemento insostituibile del processo di rinnovamento culturale. Le riviste culturali e i gruppi intellettuali che le esprimono hanno ancora oggi il ruolo di produrre idee, studi e linguaggi che abbiano la capacità di sviluppare conoscenze e anticipare tendenze, introducendo le innovazioni nell’ambito della sfera pubblica. Ovviamente ci sono altri mezzi d’informazione che gli stessi autori delle riviste possono utilizzare, raggiungendo una platea molto più vasta. Ma le riviste sono tutt’ora officine culturali e atelier di democrazia, come lo sono state in altre stagioni del Novecento e sono anche un antidoto contro la decomposizione delle culture, fenomeno oggi quanto mai attuale.
In Francia riviste come le Magazine littèraire vendono in edicola decine di migliaia di copie per non parlare delle decine di migliaia in abbonamento. In Italia anche le riviste culturali di maggior spessore vendono molto meno sia in termini di abbonamenti che di vendite in libreria. Questo dato, secondo lei, è connesso al modo in cui si veicola il messaggio culturale in Italia?
Queste riviste francesi costituiscono certamente un esempio a cui guardare. Peraltro, anche in paesi come la Francia, dove esistono un pubblico molto più attento e una tradizione molto più favorevole alle riviste di cultura, queste pubblicazioni stanno vivendo da alcuni anni problematiche che rendono più difficile la loro gestione e la loro diffusione. Oltre alle nostre insufficienze, alla difficoltà di veicolare il messaggio culturale, la situazione in Italia è complicata anche dal fatto che i periodici culturali sono seguiti da un pubblico molto più ristretto. L’assenza di politiche dello Stato per il settore ha contribuito poi a esacerbare ulteriormente la situazione. Per ultima e fra le più gravi difficoltà, l’abolizione delle tariffe postali agevolate, che colpisce a morte un settore i cui prodotti sono distribuiti per l’80 per cento tramite la spedizione in abbonamento postale.
Con l’avvento di internet si era paventata la scomparsa delle riviste, considerate un po’ l’anello debole dell’editoria, mentre invece pubblicazioni come “Micromega” sono riuscite a sfruttare la rete per ampliare il dibattito culturale. Come giudica questo risultato?
Al contrario di quanto è stato pronosticato anche fra critici e opinionisti assai illustri, l’avvento di internet non ha avuto come effetto la scomparsa delle riviste. Naturalmente quello di internet non è ancora uno spazio acquisito e consolidato. Il Cric ha dato impulso fin dalla sua fondazione alla sperimentazione di nuove iniziative sulla rete, aggregando e coordinando la comunicazione e l’offerta delle riviste, sia per la sottoscrizione di abbonamenti online, sia per l’accesso ai loro contenuti digitalizzati. In altre parole si possono comprare singoli articoli di numeri arretrati da una piattaforma digitale in modo molto più agevole. Certamente il collegamento tra stampato e digitale è il punto cruciale per assicurare una nuova vita alle riviste di cultura.
Uno dei problemi più rilevanti per le riviste di cultura è la distribuzione. Quali soluzioni di intervento sta vagliando o ha già sviluppato il Cric in merito a questo problematica?
È ormai sempre più difficile per i periodici di cultura entrare o restare nel circuito della distribuzione nelle librerie. Condizione preliminare per il trattamento del prodotto rivista nel commercio librario (sia nella rete delle librerie sia da parte delle librerie virtuali) è la creazione di una anagrafica aggiornata delle riviste o, almeno, l’assegnazione alla rivista del codice ISBN, che consentirebbe ai periodici aventi determinate caratteristiche di essere individuati tra i libri in commercio. Il Cric sta esaminando la possibilità di estendere  l’attribuzione del codice ISBN alle pubblicazioni periodiche e di stipulare convenzioni e accordi per promuovere la presenza di periodici culturali nelle librerie indipendenti, nelle principali catene di distribuzione libraria e nelle principali librerie virtuali. Si pensava inoltre alla creazione di “rivisterie” nelle principali città italiane. Se ci presentiamo a questi appuntamenti più forti, perché uniti nel nostro coordinamento, anche il problema di una efficace distribuzione potrebbe  essere affrontato positivamente.
In un sua recente dichiarazione parla della sostanziale riduzione del fondo per i contributi alle riviste di cultura. Cosa mi può dire in merito?
Il Cric si è fatto portavoce degli Editori e Direttori delle Riviste italiane di cultura, presso il Governo e il Parlamento, relativamente all’istanza di ripristinare il fondo annuale di circa due milioni di euro originariamente destinato ai contributi alle pubblicazioni periodiche di elevato valore culturale. Questi contributi sono stati istituiti dalla riforma dell’editoria nel 1981 e, non soltanto non sono stati mai rivalutati da allora, ma a partire dal 2005 sono stati progressivamente ridotti e sono stati dimezzati per l’anno in corso. Dopo essere stato eletto Presidente del Cric, ho scritto subito all’onorevole Sandro Bondi - Ministro per i Beni e le Attività Culturali - e al dottor Gian Arturo Ferrari, recentemente nominato alla guida del Centro per il Libro e la Lettura, per esaminare con loro le soluzioni del problema.
Come ogni anno il Cric organizzerà uno spazio espositivo collettivo dedicato ai periodici culturali nell’ambito della Fiera internazionale del libro di Torino. Che valore assume la vostra presenza a manifestazioni di tale portata?
La presenza del Cric e della pubblicistica culturale nel principale appuntamento nazionale dedicato all’editoria deve connotare in modo ancora più forte che nel passato il contributo che queste pubblicazioni danno alla cultura italiana e alla stessa editoria libraria, aiutando nell’individuazione di nuovi autori e di nuovi argomenti che potranno contribuire all’arricchimento e al rinnovamento dei cataloghi e delle collane editoriali. Giovedì 13 maggio, alle ore 12 al Salone del libro di Torino, si terrà un incontro promosso dal Cric che analizzerà come le riviste culturali hanno affrontato il tema dell’evoluzione delle dinamiche urbane e del governo delle metropoli.

Michael Calimani


Qui Firenze - Il nuovo Consiglio tra continuità e cambiamento

Consiglio di Firenze“Dare continuità a quello che di buono è stato fatto negli anni precedenti ma rivedere criticamente alcuni aspetti che si possono migliorare”. Guidobaldo Passigli, neo presidente della Comunità ebraica di Firenze, si presenta così. Parole di un uomo che nonostante l’età non proprio tenerissima (71 primavere alle spalle) rappresenta una new entry da queste parti: la sua unica esperienza in Consiglio risale agli anni Ottanta. A lui il difficile compito di succedere a Daniela Misul (nominata vicepresidente insieme a Franco Ventura), che negli ultimi quattro anni è riuscita a consolidare ulteriormente i rapporti con il mondo delle istituzioni e con la società civile (le oltre 2000 persone presenti alla cerimonia che un paio di settimane fa ha restituito agli ebrei fiorentini e alla cittadinanza un Tempio finalmente restaurato e illuminato parlano chiaro).
Imprenditore stimato anche a livello nazionale, Passigli ha dedicato la sua vita a diffondere cultura ebraica: lo ha fatto in qualità di direttore della gloriosa Tipografia Giuntina, azienda di famiglia in cui era entrato oltre mezzo secolo fa. Adesso che la tipografia ha cessato l’attività di produzione grafica e gli impegni professionali si sono fatti meno pressanti, lavorare full time per la collettività ebraica fiorentina è diventata una possibilità concreta. “Nel passato mi era già stato chiesto di presentare la mia candidatura - racconta - ma per via dei numerosi impegni avevo sempre rifiutato”. Ora la grande occasione che con tutta probabilità sognava da tempo: gioia e orgoglio di essere il rappresentante degli ebrei fiorentini glieli si leggono negli occhi che brillano di sobria felicità.
Il suo primo pensiero è per i risultati elettorali della scorsa settimana: “L’alta percentuale di votanti (il 47,34% degli iscritti si è recato alle urne) è un segnale di vitalità che è importante cogliere”. Ecco come spiega il risultato del voto: “Tra gli iscritti c’era un forte desiderio di rinnovamento”. La prova? “I tre candidati che hanno ottenuto il maggior numero di consensi sono volti nuovi rispetto allo scorso mandato”. Voglia di rinnovamento dunque, ma anche volontà di proseguire con quanto di buono è stato fatto negli ultimi anni. Passigli sottolinea che nonostante il cambio al vertice “non è stata una votazione contro il Consiglio uscente”. E cita la riconferma di tre vecchi consiglieri (Misul, Coen e Bandinelli) che definisce “pilastri” a supporto della sua constatazione. Ha poi parole di grande stima e apprezzamento per la presidente uscente: “Daniela ha fatto un bel lavoro”.
Il neo presidente è decisamente ottimista per il futuro: “Siamo una bella squadra, penso proprio che faremo bene”. Al momento la maggioranza delle deleghe è stata assegnata ma alcuni incarichi restano ancora in sospeso. Come la gestione dei cosiddetti Grandi Eventi (Giornata Europea della Cultura Ebraica e Giorno della Memoria) e altri compiti di alto profilo e grande responsabilità. In attesa che tutti i nodi vengano sciolti (si attende la prossima riunione del Consiglio prevista per giovedì) Passigli annuncia che sarà un presidente comprensivo ma rigoroso. Lo aveva già anticipato in campagna elettorale e lo ribadisce nuovamente: “Voglio più austerità”. Austerità che vuol dire “attenzione nelle spese, nelle scelte, nei comportamenti, nei risultati e nei messaggi rivolti alla società esterna”. Fa un esempio per chiarire il suo concetto di rigore: "Meglio partecipare ad un numero minore di manifestazioni non organizzate dalla Comunità se questo vuol dire evitare di trascurare qualcosa di più prettamente nostro”. Poi elenca due tra gli obiettivi principali del nuovo Consiglio: risanamento economico e finanziario della Comunità e maggiore coinvolgimento dei giovani. Si sofferma sull’ultimo punto: “I tanti giovani che sono venuti a votare rappresentano un motivo di felicità e un segnale positivo per il futuro”. Ma se quella dei giovani e le altre sfide da affrontare saranno vinte molto dipenderà dal funzionamento efficiente e collegiale degli organi comunitari. C’è una importante novità in tal senso: Passigli ha voluto che la Giunta (di cui fanno parte lui e i due vicepresidenti) non svolgesse un ruolo autonomo dal Consiglio. La principale differenza con il passato? “Da adesso in poi la Giunta si occuperà di adottare i provvedimenti decisi di volta in volta dal Consiglio e lavorerà sugli argomenti da proporre alle riunioni successive”. In questo modo “la Segreteria sarà in costante movimento e i risultati ottenuti migliori”.
  
Il nuovo Consiglio della Comunità ebraica di Firenze (deleghe finora assegnate)
Guidobaldo Passigli (presidente): ufficio rabbinico, rapporti con l’UCEI
Daniela Misul (vicepresidente): rapporti con esterno, istituzioni, scuole, enti locali.
Franco Ventura (vicepresidente): personale, segreteria, organizzazione del lavoro, sicurezza sul lavoro, vigilanza della casa di riposo
Renzo Bandinelli:  cimitero, gestione posti, eventi culturali
Gadiel Liscia: culto, tempio, giovani
Silvia Bemporad: educazione, scuola, Talmud Torà, mensa
David Fargion: pratiche legali, assicurative, patrimonio immobiliare, anagrafe e contributi
Daniele Coen: bilancio e finanze, rapporti bancari, economato
Mauro Di Castro: Comunità di Siena, rapporti altre realtà ebraiche, sicurezza.
 
Adam Smulevich

 
 
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  Le responsabilità negate

donatella di cesareMussolini non era Hitler e il fascismo non era il nazismo. Questa tesi così apparentemente innocua, così distrattamente condivisibile, viene ribadita in alcuni quotidiani di questi giorni (ad esempio nel “Giornale” del 25 aprile). D’altronde come paragonare l’efferato nazista con qualche servizievole fascista che ha ceduto al volere delle SS solo alla fine (magari dal ’44)? Così si distingue tra il fascismo “normale” e quello “servile”. L’argomento è questo: il fascismo “normale” - cioè quello consueto, abituale, quasi accettabile - si sarebbe deteriorato occasionalmente dando luogo a isolati episodi di servilismo (molto italiano!) alla volontà (tutta tedesca). Ma quel che conta, si sa, è la volontà.
Questa tesi girava già nell’immediato dopoguerra. Era un modo per far ricadere tutte le colpe dei crimini sui tedeschi, per sollevarsi da ogni responsabilità. Girava però bisbigliata e mormorata. Che oggi venga urlata e rivendicata è preoccupante. Vuol dire che in Italia la continuità con il fascismo degli anni venti non è stata spezzata. Vuol dire che si deve ancora riflettere, e bene, sul fascismo delle leggi razziste, della guerra di Etiopia, quello che si è conquistato il consenso attraverso un uso arbitrario e disonesto dei mezzi di comunicazione, che non ammetteva altro all’infuori dello “stato assoluto”.

Donatella Di Cesare, filosofa
 
 
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Ferrara, nell'ex carcere il museo della Shoah
Da ex carcere a sede del Meis, il museo nazionale dell'ebraismo haliano e della Shoah. A Ferrara è partito il conto alla rovescia per dare vita al principale centro dedicato alla memoria, storia, cultura e religione ebraica. L'iniziativa è della direzione Emilia Romagna del ministero dei Beni culturali, che ha lanciato il concorso di progettazione per trasforrnare il complesso delle ex carceri, dismesse nel 1992. 
L' aspetto interessante del bando oltre al montepremi di 160mila euro sta nella possibilità di intervenire profondamente e con ampia libertà sul complesso. «Abbiamo lasciato liberi i progettisti di abbattere e trasformare significativamente ampie porzioni del complesso». sottolinea Carla Di Francesco, direttore regionale per i Beni culturali dell'Emilia Romagna. Dopo una verifica dell'interesse culturale dello stabile, è stata individuata un'unica porzione da tutelare il corpo a pianta rettangolare in posizione centrale che ospitava il carcere maschile mentre il resto (il complesso a corte del carcere femminile) potrà anche essere abbattuto. [...]
Massimo Frontera, Sole 24 Ore Progetti e Concorsi, 26 aprile 2010

Il cartone choc di Hamas: bara col soldato israeliano
A coloro che spesso suggeriscono che bisogna parlare con Hamas, che l'organizzazione palestinese essendo stata eletta dal popolo ha una sua legittimità, che Gaza è ingiustamente bloccata, suggeriamo innanzitutto di dare un'occhiata al cartone animato messo in circolazione ieri da Hamas: a quasi quattro anni dal sequestro, parla del soldato di leva Gilad Shalit. Hamas immagina, dopo aver mostrato il tragico peregrinare del padre Noam da un presidente all'altro con la foto del figlio in mano, che Gilad gli sia riconsegnato, sì, ma in una bara coperta dalla bandiera israeiana. Noam, tradito e disperato grida «no!» quando si vede recapitare il suo feretro. Il cartone dura tre minuti, la colonna sonora è la voce vera di Gilad, piana e sommessa come la si sentì durante il video che alcuni mesi fa lo mostrava vivo dopo il sequestro. Il cartone vuole essere un'arma di pressione dopo lo stallo della trattativa in cui si ipotizzava la consegna di mille prigionieri circa in cambio di Shalit.[...]
Fiamma Nirenstein, Il Giornale, 26 aprile 2010

Pioggia di ortaggi e insulti su Polverini e Zingaretti
[...] Un singolare «primato» delle celebrazioni romane diierilo sottolinea Riccardo Pacifici, della comunità ebraica romana. «Per la prima volta i fascisti hanno partecipato alla manifestazione del 25 aprile - spiega Pacifici -perché coloro che impediscono alle istituzioni democratiche di essere presenti sono i veri fascisti». comunità ebraica di Roma: «Oggi abbiamo visto all'opera dei veri fascisti»
Pier Francesco Borgia, Il Giornale, 26 aprile 2010

 
 
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MO: Scienziato iraniano diretto in Israele, stampa scettica         Tel Aviv, 25 apr -
Secondo il viceministro israeliano Ayub Kara (Likud) uno scienziato iraniano avrebbe deciso di chiedere asilo in Israele ed attenderebbe ora in uno Stato vicino l'autorizzazione del governo di Benyamin Netanyahu al suo ingresso. Lo ha reso noto con toni scettici alla stampa israeliana. Kara, in una conferenza, ha riferito che lo scienziato in questione ha manifestato la settimana scorsa ad una israeliana di origine iraniana l'intenzione di raggiungere Israele. La donna, a sua volta, ha subito contattato il viceministro. Il diffuso quotidiano Yediot Ahronot è riuscito ad identificare la donna e dubita adesso che la storia abbia fondamento. "Potrebbe trattarsi solo di una invenzione nata su internet", scrive il giornale. Kara, un esponente della minoranza drusa che si esprime in arabo e che spesso visita Paesi mediorientali, ha assicurato comunque che continuerà a prodigarsi per "rimuovere la minaccia nucleare iraniana".

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