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    21 aprile 2010 - 7 Iyar 5770  
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Moked - il portale dell´ebraismo italiano
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  Adolfo Locci, rabbino capo di Padova Adolfo
Locci,
rabbino capo
di Padova
“Siate santi, perché Io, l’Eterno vostro D-o,  sono Santo...” (Vaiqrà 19:2). Rav Zvi Yehudà Kook (1891-1982) spiega che questo verso può essere compreso in due modi: da una parte indicherebbe un insegnamento da seguire, quello “di diventare/essere santi”, dall’altra costituirebbe un assunto indiscutibile, noi siamo santi! Ma attenzione, questo assunto ha delle condizioni. Il popolo ebraico deve saper riconoscere, attraverso la “Kedushà” dell’anima e del corpo, la “Kedushà” che si diffonde da “Kadosh Baruch Hu” nel mondo da Lui creato. Acquisita questa consapevolezza, bisogna sapere come tradurla in concreto.  Questo è uno dei concetti fondamentali espresso a motivazione delle mitzwoth. Una parte di esse, enunciate nella parashà di Kedoshim che leggeremo il prossimo Shabbat, ci insegna che la “Santità” non è un titolo nominale che per averlo bisogna compiere eventi soprannaturali, ma è uno “status”, che si acquisisce con il vivere adempiendo quegli insegnamenti divini che sono “semplici” azioni umane volte a creare armonia tra individui diversi.
Elie Wiesel ha scritto "Jerusalem", una lettera-manifesto sul legame fra il popolo ebraico e la città di Gerusalemme. L'ha pubblicata acquistando intere pagine a pagamento sui maggiori giornali nazionali. Non è indirizzata a nessuno in particolare. Ma tutti conoscono il reale destinatario; Barack Obama.   Maurizio
Molinari,
giornalista
Maurizio Molinari  
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  Qui Ferrara - Gadi Luzzatto Voghera
racconta la mostra Origini del Libro ebraico in Italia


Libri'Origini del Libro ebraico in Italia' è la mostra curata da Gadi Luzzatto Voghera in esposizione nella sala d'onore del Comune di Ferrara inaugurata in occasione della Festa del Libro ebraico in Italia, che resterà aperta al pubblico fino al 30 aprile. Si tratta di una rassegna che rende accessibili 22 esemplari dell'editoria ebraica fra cui incunaboli, cinquecentine ed edizioni rare per lo più appartenenti al Collegio Rabbinico Italiano e conservate nel Centro Bibliografico Ucei.
La mostra è stata realizzata con il patrocinio della Regione Emilia Romagna, del Comune di Ferrara e dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e grazie al contributo del Ministero per i Beni e le Attività Culturali.
La 'stampa' ebraica in Italia ha un'antica tradizione, a partire dalla seconda metà del '400 ebbe inizio un'importante produzione di libri ebraici realizzati con matrici di lettere o parole appositamente prodotte da artigiani locali sia in metallo che in legno. Iniziato a Soncino nell'ultimo ventennio del '400, l'esercizio dell'arte tipografica da parte di imprenditori ebrei si diffuse in tutta Italia: Reggio Calabria, Napoli, Roma, Piove di Sacco, Bologna, Brescia, Mantova, Ferrara, Riva di Trento, Padova, Cremona. Ma fu a Venezia che l'attività tipografica assunse nel XVI secolo le caratteristiche di una vera e propria industria.
Abbiamo chiesto a Gadi Luzzatto Voghera di darci qualche cenno sulle opere in esposizione.
Gadi con quale criterio hai scelto i libri esposti nella mostra?
Ho dovuto privilegiare il criterio didattico perché avevamo poco spazio e poche risorse e quindi ho dovuto presentare diverse categorie di volumi. Certamente dovevamo dedicare uno spazio agli incunaboli...
Quali sono i volumi esposti nella mostra?
Il Talmud nella sua impaginazione impostata da Daniel Bomberg nel 1520 e accanto ad esso alcuni esempi di classici commentari alla Halakha, il Mishlé Torà di Maimonide e l'Arbà Turim, che sono le due fonti classiche della Halakhà. Quello che è interessante dire è che sono le due copie protagoniste della guerra di due stampatori cristiani. Vi è un volume del Pahad Itzhak che è un tributo alla città di Ferrara perché è stato scritto da Isaac Lampronti e un'opera linguistica, un dizionario per l'esattezza Zemach David e non poteva mancare la Bibbia nella sua versione classica e marrana. Da segnalare in più lo Zoar. Tutte queste opere vogliono dare un'idea della centralità dell'Italia nella stampa delle opere. Per fare qualche esempio la prima impresa tipografica ebraica fu avviata dalla famiglia dei Da Spira, ebrei tedeschi trasferiti nella cittadina di Soncino e che da essa trassero il nome. Fra il 1483 e il 1490 i Soncino pubblicarono 30 libri fra cui la prima edizione della Bibbia completa in ebraico, una serie di trattati del Talmúd, il Machazòr . Il maggiore fra gli stampatori Soncino fu Ghershom, unico stampatore ebreo in Italia a cavallo tra Quattro e Cinquecento.
Quale fra le opere esposte ti ha suscitato più emozione?
C'è un'opera pubblicata a Venezia nel 1609, si tratta di un esemplare unico al mondo, un'edizione di stampa precoce dell'Aggadà di Pesach con delle illustrazioni bellissime, viene da una collezione privata e dà un senso di come gli ebrei vivevano i libri: è sporco, scarabocchiato, ma bellissimo.
Che cosa hai provato nel curare una mostra di questo tipo, nel selezionare volumi così antichi rari e pregiati?
Io ho molto a che fare con i libri antichi dal momento che dirigo la Biblioteca ebraica di Venezia ed è una delle mie grandi gioie. Secondo me sarebbe però importante preservare questi volumi avviando una scansione. Una mostra di questo tipo è anche un modo per attivare una riflessione su che cosa si può e si deve fare per la loro conservazione.

Lucilla Efrati


Qui Ferrara - Dal pensiero filosofico alla Shoah

LibriDensa l'agenda degli incontri nel terzo giorno della Festa del Libro ebraico in Italia, che si è svolta in questi giorni a Ferrara e chiuderà i battenti questa sera al termine di un Convegno sulla cultura rabbinica in Italia cui parteciperanno il rabbino capo di Roma, rav Riccardo Di Segni, il rabbino capo di Ferrara, Luciano Caro, il rav Roberto Della Rocca direttore del Dipartimento educazione e cultura dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, il rav Benedetto Carucci Viterbi, preside delle Scuole ebraiche di Roma e il professor Dario Calimani dell'Università Ca' Foscari di Venezia.
La sala Agnelli delle biblioteca Ariostea ha aperto la mattinata ospitando il dibattito filosofico “Tra Atene e Gerusalemme (via Auschwitz)” patrocinato dalla Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Ferrara cui hanno partecipato il professor Mino Chamla della Scuola ebraica di Milano, la professoressa Irene Kajon dell'Università La Sapienza di Roma, la professoressa Orietta Ombrosi dell'Università di Bologna e il professor Giuliano Sansonetti dell'Università di Ferrara. A moderare l'incontro Massimo Giuliani dell'Università di Trento, che fa parte anche del Comitato scientifico del Meis. Il confronto fra i filosofi è partito dal confronto fra giudaismo e filosofia il cui rapporto è antichissimo e non sempre pacifico. Rifacendosi al pensiero di Salomon Munk, filosofo ebreo del XIX secolo che fu tra i primi a tradurre la Guida ai perplessi di Maimonide e che nel 1848 conia il termine di 'filosofia ebraica' Irene Kajon sostiene che il termine di filosofia ebraica vale solo per la filosofia medievale. La professoressa segue un lungo percorso che da Filone d'Alessandria iniziatore dell'intreccio fra filosofia e religione, intreccio che influenza i padri della Chiesa cattolica fino a Tommaso d'Aquino, passando per Spinoza che rifiuterà l'affiancamento fra filosofia e religione e Moses Mendelssohn secondo cui l'ebraismo non deve essere considerato una religione rivelata quanto una legge rivelata, giunge fino a Edmund Husserl e Hermann Cohen filosofo filosofo tedesco esponente del Neokantismo che ha vissuto fino al primo ventennio del'900.
Parte da dove si ferma quella della Kajon, la riflessione del professor Chamla che si concentra sul pensiero ebraico del primo trentennio del 'Novecento, con la tragica censura della Shoah. Dopo la Shoah, dice Chamla, la riflessione spesso non è originalissima, si tenta di spiegare ciò che è accaduto, ma è un pensiero che non produce nulla di nuovo. Con l'intervento della professoressa Ombrosi si torna a concentrarsi sul confronto fra Gerusalemme e Atene, mentre la riflessione del professor Sansonetti si concentra su Emmanuel Levinas, pensatore di punta in Francia verso la metà del '900, che intraprende uno studio prolungato sulla Bibbia e sul Talmud, attraverso il quale evidenzierà le peculiarità dell'ebraismo, come la separazione tra uomo e Dio, il libero arbitrio, la capacità di cogliere il comando divino.
L'assolata giornata ferrarese è proseguita con i due incontri pomeridiani che si sono svolti nel ridotto del teatro Comunale.
Obiettivo puntato sulla Shoah in Italia nel primo incontro, che ha ospitato gli interventi di Simon Levis Sullam dell'Università di Oxford, la storica Liliana Picciotto, Valentina Pisanty dell'Università di Bergamo, Marcella Ravenna dell'Università di Ferrara e Antonella Salomoni dell'Università della Calabria.
E' partita dall'intreccio fra la dimensione della Storia e della Memoria, intreccio che negli ultimi anni ha visto il prevalere della Memoria sulla Storia, la riflessione degli storici intervenuti, che hanno portato alcune preziose testimonianze frutto degli studi da loro compiuti, come alcuni aspetti organizzativi del campo di Fossoli (Liliana Picciotto), o alcuni risvolti inediti della Shoah in Unione Sovietica ( Antonella Salomoni) per arrivare agli aspetti psicologici della Shoah nelle menti dei carnefici, il loro tentativo di 'umanizzazione' della Shoah (Marcella Ravenna).
«Gli italiani riempivano Fossoli, i tedeschi lo svuotavano», ha detto Liliana Picciotto riassumendo i risultati di un suo lavoro che ha dato vita al libro 'L'alba ci colse come un tradimento', storia del campo di Fossoli nei mesi tragici fra il novembre 1943 e la fine della Guerra, che individua e denuncia le responsabilità italiane nella morte di tanti innocenti: “A scortare il treno per Auschwitz c'erano carabinieri - ha osservato la Picciotto – come erano italiane le forze dell'ordine che dal novembre 1943 alla fine della guerra hanno dato la caccia agli ebrei in tutte le città del Nord”.
A parlare del rapporto fra identità nazionale e identità ebraica tema scelto per il secondo incontro, sono stati invece Francesca Sofia dell'Università di Bologna, Mario Miegge dell'Università di Ferrara Gadi Luzzatto Voghera della Boston University di Padova e Roberto Finzi dell'Università di Bologna nel doppio ruolo di moderatore e di relatore.
Parte dall'opera di Moses Hess, 'Rom und Jerusalem', Roma e Gerusalemme. L'ultima questione nazionale, la riflessione della professoressa Francesca Sofia. Il libro primo scritto sionista a inserire la questione del nazionalismo ebraico nel contesto del nazionalismo europeo sostiene il ritorno degli ebrei nella Terra di Israele proponendo uno Stato socialista in cui gli ebrei si sarebbero ruralizzati attraverso un processo di "redenzione del suolo".
“E' lecito parlare di identità ebraica nel momento dell'Emancipazione?” si domanda invece Gadi Luzzatto Voghera? Lo storico ritiene che non si possa parlare di una sola identità ebraica (neppure per l'Italia) in assoluto nel corso di 3000 anni di storia, e tanto più in riferimento all'epoca dell'Emancipazione. “Al più – dice Luzzatto Voghera riprendendo una espressione usata da David Bidussa, possiamo parlare di 'percorsi di identità' costruiti nel tempo”.
“Che cosa cambia allora con l'emancipazione?” - Si domanda allora Luzzatto Voghera -
“Cambia che gli ebrei tornano protagonisti come singoli e come gruppo nella Storia e che ricominciano dopo secoli a scrivere la propria storia. Nasce una storiografia ebraica che diventa anche strumento di identità e mezzo per collegare la propria storia a quella della nuova nazione borghese”. Nel concludere il lungo e interessante dibattito, l'intervento del professor Miegge ha messo in collegamento la realtà ebraica ad un'altra particolare vicenda della società italiana che è l'esperienza dei valdesi, due minoranze piccole da un punto di vista numerico, ma che hanno fortissimi collegamenti internazionali.

l.e.



Qui Milano - La rassegna cinematografica del Cdec
Non solo memoria, ma anche cultura contemporanea

locandinaÈ in corso in questi giorni e fino al 29 aprile, allo Spazio Oberdan, la terza edizione della rassegna “Nuovo cinema israeliano”, selezione dal Pitigliani Kolno’a Festival di Roma, organizzata dalla Fondazione Centro di documentazione ebraica contemporanea in collaborazione con la Cineteca italiana. Paola Mortara, responsabile dell’archivio fotografico del Cdec, racconta gli obiettivi e il successo di questa manifestazione, che offre al pubblico milanese una vasta gamma di film e documentari in lingua originale sottotitolati in italiano, spesso introdotti da ospiti ed esperti.
Dottoressa Mortara, come sono andate le prime giornate della rassegna?
Direi che possiamo essere molto soddisfatti, la risposta dal pubblico è ottima, soprattutto fra gli appassionati di cinema e gli abbonati allo Spazio Oberdan, cui teniamo particolarmente vista la nostra collaborazione che dura da diversi anni. La gente sta dimostrando di apprezzare la scelta dei film, così come il suono della lingua originale che, come abbiamo avuto modo di sperimentare, risulta particolarmente affascinante per gli spettatori. Piacciono anche gli interventi introduttivi, che aiutano a far capire il contesto in cui le pellicole sono nate e che vogliono raccontare.
Qual è la ragione per cui il Cdec decide di occuparsi di cinema?
L’idea di promuovere una rassegna del cinema nasce dall’esperienza della nostra cineteca, in cui raccogliamo tantissimo materiale, film, documentari, interviste. Il Cdec vuole essere conosciuto non solo per il suo impegno per la memoria della Shoah e della storia contemporanea del popolo ebraico, ma anche per quello di raccontare la vita degli ebrei e di Israele oggi. Il cinema in questa prospettiva rappresenta uno strumento importantissimo. Il Cdec si è speso molto per questa manifestazione. E ci tengo a citare il documentario The Green Dumpster Mystery  (T. H. Yoffe, 50’ ), che racconta proprio in cosa consista il lavoro quotidiano di storici e archivisti, la ricerca dei documenti, l’identificazione delle fotografie, che è poi quello che facciamo noi al Cdec.
Qual è il filo conduttore dei film presentati?
Per la selezione delle pellicole abbiamo lavorato in collaborazione con la direzione artistica del Pitigliani Kolno’a Festival di Roma, ma siamo riusciti anche a proporre delle novità, come il documentario “A History of Israeli Cinema” (R. Nadjari 120’). La filmografia israeliana sta vivendo da alcuni anni una stagione particolarmente fortunata. Si differenzia dal passato perché non si limita a raccontare i grandi temi che caratterizzano la storia e la società israeliana, come la guerra, o la religione, ma si concentra sulle relazioni umane, mentre questi rimangono sullo sfondo. E allora si parla per esempio del rapporto col diverso che non è più solo l’arabo, ma è l’immigrato dall’Europa dell’Est, oppure, come nel film che ha aperto la rassegna “A matter of size” (S. Maymon, E. Tadmor, 90’), è rappresentato da un gruppo di ragazzi, emarginati perché obesi, che cercano affermazione nel sumo.

Rossella Tercatin
 
 
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  Il giorno di Davide

Francesco LucreziI versi di una bellissima, dolente poesia di Marie Syrkin, intitolata Davide, così recitano:

Supponiamo che, questa volta, Golia non cada;
Supponiamo che, questa volta, la fionda non basti.
Sulla pianura della Giudea, dove una volta per tutte
L'umanità scagliò il sasso, supponiamo che, questa volta,
La storia finisca in un altro modo: il pastore si piega,
La palma della vittoria passa al braccio e alla coscia di ferro,
Il miracolo svanisce dal campo fiorito,
Il gigante con la corazza resta in piedi e il melodioso cantore
si accascia
Supponiamolo. Ma, allora, quale grazia rimarrà non celebrata,
Quali mura del tempio non verranno costruite, quale giardino
resterà spoglio,
Quale vomere spezzato e quale arpa non accordata!
Il senso della sconfitta avvolgerà ogni cuore consapevole
Di quanto sarebbero cupi i bastioni di un mondo in cui
I salmi vengano messi a tacere, e Davide non vinca

Appare utile rileggerli in occasione del Yom haAtzmaut, e riflettere sul loro significato. E non per offuscare, con un velo di inquietudine, un giorno di festa e letizia, che tale deve restare, ma per dare maggiore consapevolezza e pienezza al senso di tale ricorrenza.
Davide non cadrà, i salmi non verranno messi a tacere, ma, affinché ciò non accada mai, è opportuno avere presente che potrebbe accadere, e considerare quale sarebbe la portata di tale sconfitta. Il nostro augurio, non al solo popolo di Davide, ma all’intera progenie di Adamo, non è che Davide vinca ancora, ma che possa posare per sempre la sua fionda, per restare pastore e cantore.
 
Francesco Lucrezi, storico

Cade un velo sulla cultura della discriminazione

Tobia ZeviCosa accade oggi in Italia se muore una bimba di due anni? Si piange? Si consolano i genitori? Ci si interroga sulle eventuali responsabilità? No, si organizza un volantinaggio. Contro la bimba e i suoi genitori. Sì, contro. La colpa? Ovvio: aver violato «i sentimenti più intimi della maggioranza della popolazione».
Succede a Udine, nel mitico Nord-Est. La piccola muore alcuni giorni fa e i parenti decidono di seppellirla nel cimitero di Paderno, periferia di Udine. Nel quartiere sorge infatti un cimitero particolare, con un’area di duecento tombe riservate ai musulmani rivolte in direzione della Mecca. A suo tempo la scelta del sindaco di centrosinistra suscitò vibranti proteste, attutite poi fino al primo decesso di un musulmano. Si apre un valzer di dichiarazioni tragicomiche. «Questa gente dovrebbe laicizzarsi un po’…» afferma il parroco di Paderno. «Intendo verificare se nella sepoltura siano state commesse irregolarità, come il lavaggio di un luogo improprio di alcune parti della salma. Dal punto di vista cristiano ci sconvolge questo modo di iniziare un’epoca all’insegna dell’integrazione» commenta Loris Michelini, capogruppo Pdl. «La Giunta ha chinato la testa di fronte a una richiesta degli islamici» chiosa fiero il leghista Dordolo. Con uno spunto di buon senso al fotofinish i vertici della Lega annullano il volantinaggio previsto per sabato pomeriggio, promettendo di ritornare sulla questione del cimitero a salma fredda. Ci sarebbe poco da aggiungere ai fatti. Ma forse dovremmo tutti farci un esame di coscienza: religiosi, commentatori e politici. Soprattutto chi, spesso a sinistra, non cessa di magnificare il «radicamento sul territorio», dimenticando le centinaia di ordinanze e delibere - una sorta di diritto dal basso - che hanno assuefatto porzioni consistenti del nostro paese alla più genuina discriminazione.

Tobia Zevi, associazione Hans Jonas

 
 
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Scuole romane ed ebraiche insieme nel segno di Roma 2020
«Per il prossimo anno abbiamo in progetto di organizzare un grande evento sportivo, che veda protagonisti gli studenti delle scuole romane ed ebraiche, che per tre giorni si cimenteranno in tutte le principali discipline sportive». Lo ha annunciato il presidente dei Centri Sportivi Dabliu, Cesare Pambianchi durante lo svolgimento dell'edizione annuale dello «Yom Dabliu sport», manifestazione che si svolge nella ricorrenza dello Yom haAzmaut. […]
La Gazzetta dello Sport, 21 aprile 2010 

Roma, un compleanno all'insegna della pace
Suoni e luci a piazza del Popolo, fuochi artificiali dal Pincio, la rievocazione della leggendaria sfida fra Orari e Curiazi. Così la La Città Eterna festeggia oggi il suo 2763° compleanno. Un anno particolare. Quello delle celebrazioni per i 140 anni di Roma Capitale e soprattutto l'anno della candidatura alle Olimpiadi. Il programma del Natale di Roma è fittissimo di appuntamenti per romani e turisti, Diamo solo i più importanti. All'Ara Pacis in mattinata nasce il «Consiglio permanente per la dignità, il perdono e la riconciliazione», che «assisterà governi, istituzioni e comunità portando un contributo di natura etica, morale, culturale e pedagogica ai processi di pace». Si tratta di un nuovo progetto internazionale del Campidoglio nato sotto l'Alto Patronato del Quirinale e con il patrocinio di Palazzo Chigi. I programmi sono ambiziosi: il Campidoglio punta a portare all'Ara Pacis i leader di Israele e Palestina, Netanyahu e Abu Mazen. [...]
Rita Smordoni, il Giornale, 21 aprile 2010

L'America ha la scusa per attaccare l'Iran
Non bastano aerei e carri armati, tantomeno è sufficiente un motivo. Se un governo democratico vuol fare la guerra ha bisogno di una scusa tangibile, una prova inconfutabile della sua urgenza e necessità morale. In democrazia l'opinione pubblica si convince solo con una giusta causa, la meno astratta possibile e gli Stati Uniti non fanno di certo eccezione. Pearl Harbour e l'11 settembre sono stati due motivi inoppugnabili, ma non sempre la lotta del bene contro il male è così chiara, non sempre le motivazioni sono così limpide. Difficile, ad esempio, che l'americano del2010, oberato dalle ristrettezze della crisi, dalle bollette e dal mutuo, si accorga dell'Iran di Ahmadinejad. Obama stesso, col suo atteggiamento inerte e asfittico in politica estera, dà quasi l'impressione di non rendersi conto completamente del pericolo: tante parole, tanti summit, ma nessun fatto. Ebbene qualcuno deve aver pensato che per risvegliare americani e presidente dal torpore ci voglia qualcosa di forte, che sia necessario insomma far capire loro che il tacchino del Ringraziamento tra qualche anno potrebbe non essere così scontato quanto sembra. Meno prosaicamente è successo che il Dipartimento della Difesa americano ha diffuso un rapporto di 12 pagine in cui analizzando la forza militare iraniana ha prospettato la possibilità che lo stato canaglia sia in grado entro il 2015 di sviluppare e testare un missile balistico intercontinentale in grado di raggiungere gli Stati Uniti. li Dipartimento non dice testualmente che questo ipotetico missille possa avere anche una testata nucleare, ma lo lascia intuire: «il programma nucleare iraniano - aggiunge dopo poche righe il documento - e la volontà di tenere aperta la possibilità di sviluppare armi atomiche sono parti centrali della strategia di deterrenza» di Teheran. Il messaggio al presidente è chiaro e arriva direttamente da un dipartimento alle sue dipendenze: attento Obama, se non ti svegli potrebbe essere troppo tardi. […]
Carlo Nicolato, Libero, 21 aprile 2010

 
 
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Yom haAzmaut, tradizionale quiz sui testi sacri                              
Netanyahu junior si classifica al terzo posto
Tel Aviv, 20 apr -
Israele, Yom haAzmaut. Nella tradizionale gara a quiz su temi biblici, che corona le celebrazioni dell'Indipendenza dello Stato israeliano, il giovane Avner, figlio del premier Benyamin Netanyahu, non è riuscito a confermare i favori del pronostico che lo vedeva vittorioso, vista anche una sua recente vittoria in un precedente concorso a livello nazionale, che era stata salutata con toni lusinghieri su diversi giornali israeliani. Si è dovuto accontentare d'un terzo posto: onorevole, ma nulla di più. La competizione, aperta a studenti di tutto il mondo, ha visto giungere alla finale 16 giovani campioni di memorizzazione dei sacri testi. Una delle domande più difficili, secondo consuetudine, è stata fatta dallo stesso primo ministro: cosa che forse ha contribuito ad accrescere l'emozione di Avner, introdotto agli studi biblici niente meno che dal nonno centenario Ben Zion, accademico di fama, grande vecchio della destra israeliana e già braccio destro dell'ideologo nazionalista Vladimir Jabotinsky. Netanyahu junior non ce l'ha fatta a spuntarla e ha dovuto cedere il passo al vincitore assoluto - Or Asuel, un anonimo diciassettenne di Kfar Saba (distretto centrale d'Israele). 
 
 
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