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L'Unione informa
 
    12 novembre 2009
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Moked - il portale dell´ebraismo italiano
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  Alfonso Arbib, rabbino capo di Milano Alfonso
Arbib,

rabbino capo
di Milano
Il verbo usato nella Torà per indicare la distruzione di Sodoma è il verbo rivoltare, ribaltare. Secondo i nostri Maestri viene usato questo verbo perché Sodoma è una specie di mondo capovolto in cui ciò che è considerato lecito o meritorio è vietato. A Sodoma, per esempio, è vietato accogliere ospiti in casa propria, aiutare i poveri. La società in cui viviamo noi non è certo Sodoma, non è certo vietato fare il bene ma sembra essere sparita la distinzione tra giusto e sbagliato. Non è più politically correct parlare di trasgressioni o peccati. Tutto questo viene presentato come una conquista di libertà ma libertà è capacità di assumersi una responsabilità e di scegliere tra lecito e illecito, giusto e sbagliato. Se tutto è permesso (con l'eccezione dei reati) non si capisce bene che cosa si debba scegliere. La libertà diventa solo una libertà apparente. 
Su questa pagina Anna Foa ha già notato il doppio significato della data del 9 novembre, la notte dei cristalli e la caduta del muro di Berlino. Vorrei aggiungere una postilla sull'atteggiamento dei tedeschi nei confronti delle lezioni della storia. Non credo ci sia oggi una città in Europa dove più di Berlino il tragico passato venga rammentato in modo altrettanto esplicito nel tessuto urbano. Il grande Memoriale della Shoah, il cui impianto architettonico forse non è riuscito gradito a molti, occupa senza dubbio uno spazio pubblico strategico come in nessun altra città europea. La storia degli ebrei è divenuta parte integrante del quotidiano attraverso numerosi altri monumenti, memoriali, musei, punti di interesse segnalati. E la Shoah non viene derubricata a ingrediente della retorica dell'antifascismo, come si è cercato di fare altrove, ma viene mantenuta come fatto degno di memoria in quanto tale. Mentre va evitato con cautela il rischio di generalizzazioni semplicistiche, e senza dimenticare che le pubbliche apparenze non sempre rappresentano la sottostante opinione della gente, è forse possibile dare atto alla Germania di oggi di avere meglio di altri paesi europei tentato di darsi conto della propria storia e di avere meno di altri tentato di nascondere le proprie responsabilità o di attribuirle ad altri.   Sergio
Della Pergola,

Università Ebraica di Gerusalemme
Sergio Della Pergola  
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  Essere ebrei, chi è che decide

rav BoteachCapita, di tanto in tanto, di sentire di una vicenda tanto sconvolgente da sembrare incredibile. Una di queste è apparsa sulle pagine del New York Times a proposito della Jewish Free School di Londra, obbligata ad ammettere un ragazzo, la cui madre ha avuto una conversione non ortodossa, dopo che i genitori avevano presentato un ricorso in un tribunale.
Non entrerò nel merito della continua e amara divisione che esiste in Gran Bretagna tra ebrei ortodossi e progressive. È stato un conflitto che ho vissuto di persona e posso dire di aver lavorato duro per superarlo, attraverso innumerevoli interventi e pubbliche apparizioni, durante gli undici anni che ho vissuto in Gran Bretagna. Ancor meno mi occuperò qui delle pressanti questioni riguardanti lo status di ebreo del convertito, secondo l'interpretazione dei tre principali movimenti in cui si articola l'ebraismo contemporaneo.
Sono un ebreo appassionatamente ortodosso e, egualmente, appassionato dell’idea dell'unità ebraica. Le nostre divisioni devono essere prese in considerazione e superate.
Ma questa scioccante storia inglese evoca qualcosa che è molto più urgente e riveste eguale importanza per gli ebrei ortodossi e non ortodossi.
Quello che è stupefacente è che la Corte d’appello di Sua Maestà, esprimendosi contro la scuola, ha dichiarato che l’antica tradizione della comunità ebraica di stabilire l'identità ebraica attraverso i genitori, sarebbe basata su principi etnici, e quindi discriminatoria, e quindi illegale.
“Il presupposto secondo il quale un potenziale studente può essere considerato per l’ammissione solo se sua madre è ebrea, per nascita o conversione, è un test sull’etnicità che va contro la Race Relations Act”, ha dichiarato la Corte. Siano le ragioni “benigne o maligne, teologiche o suprematiste, ciò non rende la situazione più o meno legale”. In un verdetto incredibile, la Corte ha deciso che se il ragazzo pratica l’ebraismo, allora è ebreo: basare la decisione della Commissione delle ammissioni a scuola sull'identità dei suoi genitori sarebbe un’enfasi illegale sull’etnicità, piuttosto che sulla fede religiosa. E' facile comprendere subito le implicazioni per gli ebrei che non sono per nulla osservanti. Si presume che il governo britannico non li considererebbe ebrei. Ma lasciamo da parte l’incredibile intromissione della magistratura negli affari di una religione e mettiamo a fuoco invece il ragionamento della Corte. Abitando in Inghilterra, diventi automaticamente cittadino inglese se i tuoi genitori sono inglesi. Anche se non ti comporti come un inglese, o odi il tuo luogo di nascita, il Regno Unito non può toglierti il passaporto. Così, se sei un americano residente all’estero, i tuoi figli automaticamente acquisiscono la cittadinanza americana. Io lo so benissimo, perché sei dei miei nove figli sono nati in Gran Bretagna e anche se solo uno dei genitori era americano e, per giunta, la famiglia si era stabilita in Europa, loro hanno acquisito automaticamente la cittadinanza statunitense.
Anche se non celebraste il 4 di Luglio o non aveste mai sentito parlare di Abraham Lincoln, in quella fattispecie voi e i vostri figli sareste americani come George Washington.
Allora, è così difficile per i giudici inglesi capire che l’appartenenza a un popolo passa attraverso un genitore? Gli ebrei sono, prima di tutto, un popolo e solo dopo sono una religione. Noi eravamo i figli di Abramo, Isacco e Giacobbe prima di ricevere la Torah sul Monte Sinai e iniziare a praticare i principi dell’ebraismo.
Essere un popolo viene prima ed è completamente indipendente da qualsiasi affermazione religiosa.
Essere ebrei non è qualcosa che si può perdere e non è qualcosa a cui si può rinunciare. In questo senso, l'ebraismo è radicalmente diverso dal cristianesimo, che richiede un cosciente atto di affermazione della fede.
Mentre non possono esserci cristiani atei, di ebrei non credenti è pieno il mondo. Sono sbalordito dal fatto che un tribunale inglese lo possa mettere in dubbio. Negli 11 anni trascorsi in Gran Bretagna, non ho mai sentito nulla di così offensivo.
Questa sentenza costituisce un assalto giuridico alla vera integrità della religione ebraica così com’è praticata in Gran Bretagna ed è uno spartiacque nella storia ebraica moderna. E con le recenti storie di accademici inglesi che cercano di boicottare i loro colleghi israeliani e la crescita dell’antisemitismo, si rafforzerà ancora di più l’idea che la Gran Bretagna stia diventando un luogo ostile agli ebrei.
Essere un popolo non ci rende un gruppo etnico omogeneo.
Ci sono ebrei di colore ed ebrei bianchi, ebrei europei ed ebrei asiatici. Convertiti di ogni gruppo etnico possono aggiungersi a noi in ogni momento. Ma facendo ciò non abbracciano una fede, bensì un popolo. Non diventano soltanto dei praticanti della fede ebraica, ma una parte della famiglia ebraica. Un convertito è trasformato da outsider a fratello o sorella ebrei. Ma il processo deve necessariamente avere degli standard. Essere un cittadino britannico non è un atto arbitrario. Ci vogliono circa 10 anni di residenza. Così per mia moglie, che è australiana, la naturalizzazione americana, ha richiesto molti anni di residenza e il superamento di un test di cultura generale americana. Adesso immaginate quanto sarebbe assurdo se gli Usa chiedessero alla Gran Bretagna di cambiare i requisiti di residenza, o viceversa, e iniziate a capire l’impudenza dei giudici inglesi nel cercare di alterare i requisiti d’identità di una fede antica di 3500 anni e precorritrice del Cristianesimo.
Fra pochi giorni, la mia organizzazione This World: The values Network sponsorizzerà la prima conferenza sui valori ebraici. Ci saranno personalità ebraiche di primo piano, tra le quali il rav Adin Steinsaltz, il presidente della Yeshiva University Richard Joel, Alan Dershowitz, Dennis Prager, Michael Steinhardt, il presidente dell’AIPAC David Victor e Marianne Williamson. Tra i nostri principali valori religiosi ci sono la comunità e il popolo. Per millenni, dispersi sulla terra, gli ebrei si sono sempre aiutati l’uno con l’altro. Puoi arrivare in qualsiasi città del mondo, e non importa quale sia il tuo livello di osservanza, ma se sei stato invitato da qualcuno per lo Shabbat ti fanno sentire come a casa, anche se, fino a un minuto prima, eri un completo estraneo.
Alla luce di questa oltraggiosa sfida legale inglese all’antico principio del popolo ebraico, avremo una discussione dedicata a spiegare lo speciale valore ebraico dell’identità e del popolo. Con la speranza di aiutare gli ebrei inglesi, facendo loro sapere che non sono soli in questa battaglia fondamentale.

Rav Shmuley Boteach
(versione italiana di Rocco Giansante)



Hans Jonas - Il dibattito sui diritti degli stranieri

Camera Dep"In Italia c'è rispetto verso lo straniero"? Domanda  Bianca Berlinguer, da  un mese direttore del Tg della terza rete Rai. "No", risponde il presidente della Provincia di Roma Nicola Zingaretti, "la democrazia non si conquista una volta per tutte, ma è un'acquisizione quotidiana. Dietro alla parola cittadinanza c'è una sfida che ci accompagna da sempre". Occasione del dibattito, cui hanno partecipato anche il Presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna, Daniela Pompei portavoce della Comunità di Sant'Egidio, Daniele Nahum Presidente uscente dell'Unione giovani ebrei d'Italia, Saul Meghnagi Presidente dell'Istituto superiore per la formazione della CGIL e Tobia Zevi esponente del Pd, la presentazione della nuvoa associazione culturale Hans Jonas, di cui Meghnagi e Zevi sono rispettivamente direttore scientifico e presidente (nell'immagine, Gattegna con Meghnagi, Berlinguer e Pompei).
Ispirandosi al nome del filosofo ebreo nato nei primi del '900 in Germania (dove compì gli studi, e da cui fu costretto ad emigrare, in Inghilterra prima, nella Palestina del Mandato britannico e in USA), l'associazione pone alla base del suo programma il concetto "Agisci in modo che le conseguenze della tua azione siano compatibili con la sopravvivenza delle generazioni future", il presidente Gattegna ha fatto riferimento al "principio di responsabilità" contenuto nell'opera del filosofo.
In Italia il 12,7 per cento dei nuovi nati sono figli di immigrati. Il fenomeno dell'immigrazione è così significativo da sollevare sempre più pressantemente il problema dei diritti, gli stessi diritti per i quali gli ebrei hanno sempre combattutto", ha spiegato Meghnagi, precisando che "l'interrogativo di fondo è sempre stato come questa esperienza ricca e difficile, possa essere un contributo per tutta la società. Questo interrogativo è importante soprattutto nell'avvicinarsi dei 150 anni dalla fondazione dello Stato unitario italiano".
Sulla stessa linea la posizione del presidente dell'associazione Tobia Zevi: "Le scelte politiche - ha aggiunto Tobia Zevi - dovrebbero essere guidate dal rispetto di una duplice esigenza: la salvaguardia dei diritti dei cittadini e la tutela delle prerogative dell'immigrato".

l.e.



Hans Jonas -
Tobia Zevi: "Prepariamo i leader di domani"  

Tobia Zevi“Una buona gestione della minoranza ebraica in Italia è una sfida sempre più difficile, ma necessaria per prevenire il progressivo sfaldamento delle comunità”, sostiene Tobia Zevi, ex presidente dell'Unione dei Giovani Ebrei Italiani ed esponente del Partito Democratico, uno degli ideatori dell'associazione Hans Jonas.
“Guardiamo in particolare alle piccole comunità”, spiega ancora Zevi. “L'associazione nasce con lo scopo di dare un'adeguata preparazione alla futura classe dirigente dell'ebraismo italiano. Oggi occorrono competenze specifiche maggiori rispetto a vent'anni fa”.
Per esempio?
Non ci sono persone in grado di occuparsi di fundraising, la ricerca di finanziamenti, che è a tutti gli effetti una professione. Anche l'organizzazione di eventi è un settore su cui puntiamo: riteniamo che iniziative come i festival di cultura ebraica abbiano anche la funzione di risvegliare la vita comunitaria, di far provare ai più lontani un'esperienza ebraica, non prettamente religiosa, ma culturale e aggregativa.
Finora cos'è stato fatto?
Poco. All'ultimo congresso UCEI fu approvata all'unanimità una mozione che riguardava l'esigenza di una formazione seria dei giovani ebrei. È stato avviato un corso di leadership, ma questo riguardava solamente aspetti tecnici ed economici, imprescindibili ma non esaurienti. Di qui l'idea di un'associazione che sostenga un programma di formazione più completo.
Cosa intendi per programma più completo? Quali competenze volete promuovere nei futuri leader ebraici?
È necessaria una preparazione a tutto tondo. Il nostro programma ruoterà intorno a due cardini: lo sviluppo delle capacità gestionali pragmatiche, da una parte. Dall'altra la formazione politica e culturale, requisito indispensabile di un leader. Affronteremo le grandi questioni ideologiche dell'ebraismo nel mondo contemporaneo, per esempio i problemi identitari degli ebrei, il calo demografico, il rapporto tra Israele e la Diaspora. Approfondiremo il significato della laicità dello Stato, dell'integrazione delle minoranze. A questo proposito la millenaria esperienza degli ebrei può e deve essere un contributo alla vita politica e sociale del paese, la nostra ricchezza portata nel dibattito pubblico rappresenta l'idea di una società plurale, non è solo un interesse particolare o strumentale.
La nostra ambisce a essere un'attività di ricerca, cosa che a causa dei forti costi e della scarsa spendibilità politica immediata oggi manca completamente nell'ebraismo italiano. Questa la più grande lacuna che vogliamo colmare.
Chi e come parteciperà alle vostre attività?
Il nostro corso, gratuito, si terrà a Roma per quattro fine settimana tra novembre e febbraio. Riprenderà l'anno seguente col secondo livello. L'insegnamento è tenuto da docenti universitari autorevoli, ebrei e non ebrei, americani ed europei. Possono partecipare giovani fra i 18 e i 35 anni, e l'auspicio è che siano in molti provenienti dalle piccole comunità. I posti previsti sono venticinque, ma abbiamo già quasi il doppio domande. Sarà anche possibile istituire borse di studio intitolate: le risorse in partenza non sono molte, ogni contributo volontario degli utenti sarà preziosissimo.
Perché “Hans Jonas”?
Siamo particolarmente orgogliosi della scelta del nome. Jonas è stato un filosofo ebreo tedesco, autore di “Il concetto di Dio dopo Auschwitz”. Intelligenza lucidissima e lungimirante, fu tra i primi a porre alcune grandi questioni oggi attuali. Introdusse lui la questione ambientale nel dibattito filosofico: vinse la miopia della sua epoca. Propose un'etica della responsabilità, l'esigenza di guardare alle conseguenze anche più lontane delle proprie azioni. La frase che più mi ha colpito è la sintesi di tutto il suo pensiero morale. Parafrasando Kant, comanda: «Agisci in modo che le conseguenze della tua azione siano compatibili con la sopravvivenza delle generazioni future» .

Manuel Disegni



Qui Torino - Maestro di vita, di libertà, di giornalismo
Arrigo Levi parla delle sue tante patrie

Arrigo LeviLibro di vita, testimonianza del Novecento, romanzo di formazione, esempio di giornalismo. “Un Paese non basta” di Arrigo Levi è sicuramente tutto questo ma è anche un racconto, o come ironicamente l’autore l’ha definito durante la presentazione del libro alla Fnac di Torino “un raccontone”. E’ l’intreccio fra la storia di un ebreo modenese e la Grande storia, quella che si studia sui libri, quella che Levi ha vissuto in prima persona. Non è solo un’autobiografia, ma è lo spunto per una moltitudine di riflessioni sulla realtà. La varietà di strade tracciate da “Un Paese non basta” si comprende dalle diverse interpretazioni che il lettore può darne.
Il professor Luigi Bonanate, docente della Facoltà di scienze politiche di Torino, ha sottolineato il cosmopolitismo di Levi e criticato il pericolo del nazionalismo esclusivo; quello che, in nome di una presunta origine culturale omogenea, vuole assorbire le diversità e, quando ciò non è possibile, segregarle. Non esiste la purezza italiana, “l’Italia è un crogiolo di culture, un melting pot - sostiene il professore e aggiunge - come spiega Arrigo, ebrei, veneti, napoletani, fiorentini, tutti sono diventati italiani nello stesso momento”.
Sulla problematicità del rapporto fra fascismo ed ebrei si sofferma lo storico Alberto Cavaglion. “E’ un illusione - dice lo studioso - pensare che gli ebrei si siano accorti del fascismo solo nel 1938 ” e cita il racconto di Levi sull’aggressione subita da Pio Donati, avvocato di origine ebraica, dalle squadracce fasciste, guidate Duilio Sinigaglia, anch’egli ebreo.
“Levi ci ricorda con forza e decisione - sostiene il giornalista de La Stampa Mimmo Candito - che non è possibile mettere sullo stesso piano partigiani e fascisti come qualcuno ha cercato di fare. Non è possibile dire: erano tutti colpevoli o tutti innocenti”. D’accordo con Candito e Levi, un’altra firma importante del giornalismo italiano, Andrea Casalegno: “Tra giusti e ingiusti ci si divide. Non si può mettere sullo stesso piano chi combatte per difendere la democrazia con chi la attacca. Arrigo, forse anche grazie al fatto che nella cultura ebraica non vi è spazio per il perdonismo, delinea in modo marcato il confine fra queste due categorie”. Non è mai giustificata l’offesa dell’identità altrui e a proposito viene ricordata la frase del padre di Levi, Enzo: “Sacrificherò il mio interesse se in questo modo eviterò di fare del male agli altri”.
Al termine degli interventi degli amici e colleghi, Levi sorride e rassicura ironicamente il pubblico torinese: “Non sapevo di aver scritto un trattato di filosofia. Hanno reso questo libro quasi illeggibile, in realtà è molto scorrevole e facile”, poi aggiunge “Ovviamente sto scherzando, mi riconosco in tutto ciò che è stato detto fin’ora”. Poi una riflessione sul titolo: “Un paese non basta a nessuno, nemmeno a voi. Viviamo nella globalizzazione, termine cupo e quasi spaventoso; viviamo in un mondo globale, in un grande gioco in cui io dipendo da te e tu da me”. Sicuramente al grande giornalista un paese non è bastato, ha vissuto in Argentina, in Inghilterra, in Israele, in Russia e “tutti questi posti, che ho amato, sarebbero potuti essere la mia patria. Ogni paese può diventare patria” spiega Levi. Lui però una definizione di sé la dà, sottintendendo quale patria ha scelto: “Sono ebreo, modenese, italiano”. Un’identità chiara, forte, consolidata con il tempo e lungo percorsi diversi.
 "Un uomo percorre tutte le strade del mondo per trovare ciò che gli serve”, scriveva il filoso inglese George Edward Moore. Levi ha percorso un’infinità di strade reali e concettuali e con il suo libro ci permette di accompagnarlo lungo quest’avventura durata una vita. Dai luoghi, dalle parole, dai ricordi di questo racconto prendiamo, consciamente o meno, ciò che ci serve.

Daniel Reichel
 
 
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  "Il racconto simbolico non si presta a strumentalizzazioni"

Riccardo Di SegniLeggeremo questo Shabbat la storia del matrimonio di Izchaq con Rivka. Secondo il midrash, Rivka, la matriarca Rebecca, sarebbe nata nel giorno del mancato sacrificio di Isacco, suo futuro marito. Un po' come dire che proprio nel momento in cui tutto sembra finito si aprono le speranze per il futuro. Facendo i conti emergono però delle difficoltà. Izchaq nasce quando Sara sua madre ha 90 anni. La madre muore a 127 anni, quando Izchaq ha 37 anni. Tre anni dopo si sposa. Quanti anni aveva quando ci fu il mancato sacrificio? Una tradizione prevalente insiste nel collegare il momento del sacrificio con la morte di Sara, che non avrebbe resistito all'emozione della notizia. Ma se Rivka nasce quel giorno, vuol dire che Izchaq la sposa quando ha tre anni! Vi sono ovviamente opinioni differenti; il Gaon di Vilna sostiene che Izchaq aveva al momento del sacrificio 27 anni, per cui Rivka si sposa da ragazzina, a 13 anni. Matrimonio precoce per i costumi di oggi, non per quelli dell'antichità. Sempre meglio comunque di una sposa di tre anni (ma almeno Izchaq non era poligamo). Il fatto è che è molto arduo applicare mentalità e razionalità attuali a racconti, con ampi risvolti simbolici, di età remote. Se lo si fa a scopi di politica, come è successo pochi giorni fa, i risultati sono disastrosi.

Rav Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma



Risiko

Tizio Della SeraLa prima mossa di D’Alema in qualità di ministro degli Esteri d’Europa sarà di rendersi conto che la sua elezione non è avvenuta.

Il Tizio della Sera

 
 
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In un’Italia con la tendenza a evitare che il ricordo impresso nella memoria a breve termine sia trasferito nella memoria storica del Paese, fa piacere ogni tanto sapere che c’è una coscienza critica intenzionata a mettere dei paletti. Così, per una volta, potrebbe essere utile iniziare la nostra lettura dal Foglio dell’approfondimento italiano, piuttosto che dalle notizie vere e proprie.
Sul giornale diretto da Giuliano Ferrara, Giulio Meotti ci parla di una Beirut che si fregia, quest’anno, del titolo di “Capitale mondiale del libro”. Una sorta di simbolico epicentro della scrittura e del diritto a poter scrivere, dove però il Libro di Anne Frank non può essere stampato in arabo. In Libano, del resto, è bandito tutto ciò che parla di ebrei e di Israele - spiega l’autore dell’articolo -, grazie allo sforzo di un governo composto principalmente dai ministri di Hezbollah, l’organizzazione che per Giulio Meotti  è “terroristica” e che ha lavorato per impedire la lettura nelle scuole di tutta la nazione, della storia della bimba olandese rimasta vittima del nazismo.
Intanto si stringe sempre più il cerchio del totonomine europeo sulla scelta del futuro ministero degli Esteri e della Presidenza dell’Unione europea. L’Italia e l’Inghilterra trattano per spartirsi le due poltrone. Roma punta sulla carica di Mr Pesc, Londra alla nomina più prestigiosa. In pole position per gli Esteri, ma bisognerà aspettare almeno il 19 novembre per tirare le somme, c’è l’ex rappresentante della Farnesina, Massimo D’Alema. Un nome appoggiato trasversalmente dalla politica italiana (anche se il Corriere parla di “dubbi” tra le donne del Pdl) e da ieri, come spiega Repubblica, anche dagli eurosocialisti. Israele, ricordando il passato di Baffino nel Governo Prodi, non sembra invece felice della candidatura.
Tutto accade mentre nella Palestina “islamica” si celebra l’anniversario della morte di Arafat. Il processo di pace fa fatica a ripartire, ma Abu Mazen, dopo che nei giorni scorsi aveva minacciato di non candidarsi alle prossime elezioni, è di nuovo sceso in campo chiedendo a Israele e alla Comunità internazionale uno Stato con futuri certi (Il Giornale).
Infine, per l’Italia che prova a ricordare, Avvenire propone un interessante articolo sul dibattito su Papa Pio XII. Fabrizio Rizzi parla della “lettera fantasma”, dell’enciclica mai scritta contro il  razzismo, dei silenzi di Pacelli e della presunta corrispondenza con Hitler. Buona lettura.

Fabio Perugia

 
 
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Netanyahu: “Sì alla ripresa dei negoziati con la Siria,
no al ritiro dalle alture del Golan”
Gerusalemme, 12 nov -
"Abbiamo accettato il principio del ritiro dalle alture del Golan; discutiamone i dettagli", questo il messaggio attribuito al premier israeliano Benyamin Netanyahu, che sarebbe stato lanciato in occasione del suo incontro a Parigi con Nicolas Sarkozy e rivolto al presidente siriano Bashar Assad. Immediata la smentita da parte degli uffici del premier. La notizia era stata resa pubblica dalla rete TV satellitare araba Al Arabiya. Il presidente Sarkozy, che ieri ha ricevuto a colloquio Netanyahu, si accinge ora a ricevere anche il presidente Assad. Nel comunicato diffuso dall'ufficio del premier Netanyahu si afferma che "la notizia su Al Arabiya non ha nulla a che fare con la realtà. Nulla di quanto riferito si è verificato". Il segretario del governo israeliano Zvi Hauser ha d'altra parte affermato alla radio pubblica israeliana che "il premier ha detto di essere disposto all'immediata apertura di negoziati ovunque e in qualunque momento, a patto però che non vi siano condizioni preliminari né da Israele né dalla Siria". 
 
 
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