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L'Unione informa
 
    8 novembre 2009
21 Cheshwan 5770
 
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Moked - il portale dell´ebraismo italiano
alef/tav    
  benedetto carucci Benedetto Carucci Viterbi,
rabbino 
Con tutto il rispetto dovuto: possiamo dirci non cristiani.

Marina Caffiero, ha curato un libro dal titolo “Le radici storiche dell’antisemitismo” (Viella 2009) che verrà presentato domani all’Archivio di Stato di Roma. In una stagione in cui molti urlano le parole, è bene prendere in considerazione gli argomenti e i temi discussi nei molti saggi che compongono quel libro. Anche perché per molti aspetti rompono un luogo comune oggi consolidato: ovvero il fatto che antigiudaismo religioso e antisemitismo razzista siano fenomeni estranei e non comparabili perché appartenenti a epoche diverse o fondati su logiche differenti. Il tema non è definito dagli effetti o dalle sanzioni, ma dal modo di ragionare dei persecutori. Ha scritto anni fa Yosef Hayim Yerushalmi che “qualsiasi concezione che attribuisce agli ebrei delle mancanze innate contiene “ipso facto” un’essenza razzista. Sono la Spagna e il Portogallo tra la fine del Medioevo e l’inizio dell’Età moderna che ce ne forniscono l’esempio più sorprendente». Con ciò, aggiunge, "… non intendo affatto stabilire un legame di causalità tra i due fenomeni [l’antisemitismo iberico e quello nazista]. Gli antisemiti e i nazisti della Germania moderna non hanno alcun debito con l’antisemitismo iberico, di cui, probabilmente, non avevano conoscenza. Ma è esattamente questo che costituisce l’interesse e la pertinenza di una loro comparazione: com’è che la società iberica e quella tedesca, così radicalmente diverse per carattere e cultura e distanti nel tempo, abbiano sperimentato reazioni analoghe in presenza di ciò che percepivano come un’intrusione degli ebrei nel loro seno?” E’ una domanda su cui conviene riflettere, anche perché, al di là della retorica del “Mai più” che inonda tutti i discorsi celebrativi, il tema della percezione dell’intrusione e della persecuzione di chi si ritiene sia l’intruso è un sentimento diffuso. Comunque è un sentimento che parla nel nostro tempo presente e che trova risposte deboli, comunque emotive. Ossia inefficaci. David
Bidussa,
storico sociale delle idee
 

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  Qui Roma -  Venti anni dall'Intesa ebraica

intesa'Il ventesimo anniversario dell'Intesa ebraica' è il Convegno di studi organizzato dal CDEC (Centro di documentazione ebraica contemporanea) e dalla Facoltà di Giurisprudenza del terzo Ateneo di Roma, con il patrocinio dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, che si svolgerà domani 9 novembre nell'Aula Magna della Facoltà di Giurisprudenza in via Ostiense 161. Il Convegno rappresenterà un occasione di confronto e di discussione per fare un bilancio sul ventennale dalla data in cui il Parlamento ha approvato le Intese del 1987 fra Stato e Unione delle Comunità Ebraiche Italiane. Fra i relatori che interverranno, oltre al Professor Giorgio Sacerdoti, giurista e presidente del Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea e a Carlo Cardia della cattedra di Diritto ecclesiastico della Università Roma Tre, il Presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, Renzo Gattegna, il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni, il Consigliere Ucei Valerio Di Porto, il giornalista Arrigo Levi, l'avvocato Dario Tedeschi e i professori Francesco Margiotta Broglio, Cesare Mirabelli e Angela Maria Nicolò Punzi.



Qui Torino - Memoria, letteratura, cultura, testimonianze
Il Centro Primo Levi apre il dialogo con il grande pubblico



primo leviOre febbrili, nella sede del nuovo Centro internazionale di studi Primo Levi, alla vigilia del lancio della nuova organizzazione dedicata al grande scrittore italiano autore di "Se questo è un uomo". “Vogliamo essere uno strumento a disposizione di tutti” racconta Fabio Levi, direttore del nuovo Centro internazionale di studi Primo Levi che sarà presentato domattina a Torino e prende sede nell’imponente complesso juvarriano noto come i Quartieri Militari. Su quest’idea, fare da tramite fra l’universo dello scrittore Primo Levi e il pubblico, affonda le sue radici il nuovo Centro.
Costituitasi nel 2008, soci fondatori la Regione Piemonte, la Città e la Provincia di Torino, la Compagnia di San Paolo, la Comunità Ebraica di Torino, la Fondazione per il Libro, la Cultura e la Musica, la famiglia di Primo Levi, l’Associazione si è posta un obbiettivo importante e ambizioso “la missione - si legge nell’atto costitutivo - di rappresentare il riferimento esaustivo per la documentazione su Primo Levi e le sue opere, realizzandone un censimento completo e la raccolta di studi, pubblicazioni, tesi di laurea, documenti d’archivio, testimonianze.”
“Non vogliamo oscurare o sovrapporci alle altre iniziative, ma essere un aiuto per coloro che vogliono studiare o avvicinarsi alle opere e alla storia di Primo Levi” spiega il professor Fabio Levi, docente di Storia contemporanea all'Università di Torino, che aggiunge “noi sosteniamo tutti gli approcci possibili, dal professore universitario, allo studente, al semplice curioso; il nostro pubblico è trasversale perché per arrivare a Primo Levi si possono percorrere mille strade”.
Il progetto, chiarisce il direttore, si muove lungo due direttrici: la creazione di un sito (sarà presentato in conferenza stampa e comunque accessibile fra poche ore) con la realizzazione di una bibliografia online; la raccolta e catalogazione dell’immenso patrimonio bibliografico, circa duemila titoli, che sarà ospitato dal Museo diffuso della Resistenza. “Un'impresa difficile e ancora mai tentata ma, a vent’anni dalla scomparsa di Primo Levi, questo lavoro ci sembra un doveroso riconoscimento per l’autore italiano, bisogna ricordarlo, più tradotto di sempre: delle sue opere nel mondo si contano ottocento edizioni in trentacinque lingue diverse”. Dall’ebraico al fahrsi o al norvegese, una moltitudine di lingue che dimostra l’universalità dell’opera e del pensiero di Primo Levi.
Uno dei fiori all’occhiello del progetto è sicuramente il sito, www.primolevi.it (con una versione in italiano e una in inglese), “abbiamo puntato sulla nitidezza, sulla linearità” racconta Fabio Levi “è un sito ordinato e chiaro che bada ai contenuti. Primo Levi guardava alla sostanza e noi vogliamo seguire il suo esempio”. Con un click sarà possibile entrare nel mondo dell’autore di “Se questo è un uomo”: dalle opere, alla biografia, al suo rapporto con i giovani, l’utente avrà la possibilità di conoscere e scoprire agevolmente notizie, informazioni e insegnamenti di uno dei massimi scrittori italiani del Novecento. “Un aspetto a cui teniamo molto” sottolinea il direttore del Centro “è quello scientifico. Primo Levi, infatti, ha avuto grandi riconoscimenti in questo campo, anche a livello internazionale; per questo abbiamo inserito nel sito un’intera sezione dedicata alla scienza”.
Le iniziative pubbliche saranno poche e mirate. “Il nostro obbiettivo - aggiunge Fabio Levi - è fare da collante per le attività che ci sono già, per questo nel sito abbiamo creato un’area in cui daremo conto di tutto ciò che fanno gli altri”. Fra le manifestazioni organizzate dal Centro troviamo la “Lezione Primo Levi”, che avrà luogo ogni autunno e che quest’anno sarà tenuta questo martedì, 10 novembre, dal docente dell’Università di Oxford, Robert Gordon. La lezione sarà intitolata "Sfacciata fortuna (Se questo è un uomo): la Shoah, il caso e l'uomo normale” e avrà luogo presso l’aula magna della facoltà di Scienze Naturali, Fisiche e Matematiche di Torino.
“Le iniziative che portiamo avanti e il Centro Studi stesso vogliono essere una piattaforma accessibile a chiunque, uno strumento ben strutturato e organizzato di cui il pubblico, specializzato o meno, possa fare uso senza difficoltà” conclude il direttore Fabio Levi.

Daniel Reichel e Manuel Disegni


 
Sorgente di Vita: nella puntata in onda questa sera
Benny Morris, l'Adei e Pagine Ebraiche 

logo sdvDai versi del “Cantico dei cantici” al mito di Venere, le storie del melograno, uno dei sette frutti che rappresentano la terra d’Israele, pianta antichissima che da oltre quattromila anni attraversa luoghi e tempi segnando la ritualità di tanti popoli: è il tema del primo servizio della puntata di Sorgente di vita di domenica 8 novembre.
Segue un ‘intervista con Benny Morris, ospite d’onore al Festival Internazionale della Letteratura Ebraica, sul suo lavoro di storico israeliano “controcorrente”,  del suo impegno politico e civile, delle prospettive di pace in  Medio Oriente.
Si presenta poi il nuovo mensile “Pagine ebraiche”, con interventi del Presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, Renzo Gattegna e del giornalista Guido Vitale, che è coordinatore dei Dipartimenti Informazione e Cultura dell'Ucei e direttore responsabile della testata. Un quarto servizio è dedicato alla mostra di Monika Bulaj al Castello di Otranto in Puglia: luoghi e momenti del sacro nelle tre religioni monoteistiche  in un viaggio fotografico attraverso popoli e paesi lontani.
Infine lezioni di integrazione in una scuola con alunni di diverse provenienze e culture: il modello dell’esperienza israeliana nel progetto “Una cultura in tante culture” dell‘Adei Wizo.

Sorgente di vita va in onda su RAIDUE  domenica 8 novembre all’1,20 circa e lunedì 9 novembre alla stessa ora. Un’altra replica sarà lunedì 16 novembre alle 9,30 del mattino.
I servizi di Sorgente di vita sono anche on line
 
 
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  Da San Francisco a Ferrara Rachel Corrie fa ancora discutere
 

rachel corrie Proliferano in questa stagione, in Italia e all'estero, gli appuntamenti con la cinematografia israeliana ed ebraica in genere. Ogni fine estate, dal 1980, ha luogo il San Francisco Jewish Film Ferstival (SFJFF). È un appuntamento ormai istituzionalizzato, e molto seguito e apprezzato.
Quest'anno però l'evento è stato sconvolto da una polemica infuocata, iniziata con la dimissioni di cinque membri del comitato del Festival in polemica col direttore Peter Stein. Quest'ultimo si sarebbe reso colpevole di aver inserito della programmazione il documentario “Rachel”, non gradito a una parte della comunità ebraica californiana.
Girato dalla cineasta israelo-francese Simone Bitton, questo documentario ripercorre la vicenda di Rachel Corrie, giovanissima attivista americana rimasta uccisa a ventitrè anni nella striscia di Gaza (nella foto in alto). Nel marzo del 2003, durante una protesta dell'International Solidarity Movement, l'organizzazione in cui militava, per impedire la demolizione di alcune case nei pressi della città di Rafah, fu travolta da un buldozer dell'esercitò israeliano: non si poté fare nulla per salvarle la vita, fu aperta un'inchiesta dalla polizia militare e l'accaduto venne dichiarato un incidente. Sei anni dopo la curiosa documentarista ha voluto “riaprire il caso”: il film è un'inchiesta sulla morte di Rachel, condotta con un buon grado di scrupolo investigativo: include diversi punti di vista e opinioni sugli eventi di quel giorno, vi sono interviste con Avital Leibovitch, portavoce di Zahal, dottori, attivisti amici di Rachel, soldati, civili israeliani e palestinesi, genitori della ragazza. Si vedono anche i video ufficiali dell'esercito. Ma non solo. È anche una riflessione sul senso dell'impegno politico dei giovani, sull'ingenuità di chi muore per i propri ideali. Non manca, pur nel rigore analitico, di forti accenti romantici ed emotivi, che ne fanno, nelle parole della regista stessa “un prodotto artistico più che un reportage”.
La decisione di Peter Stein di proiettare il film e di invitare a parlarne col pubblico Cindy Corrie, la madre di Rachel, ha spaccato in due la comunità ebraica locale, e il contrasto si è via via inasprito. “Siamo profondamente in disaccordo con la direzione che il SFJFF sta prendendo: abbiamo una visione fondamentalmente diversa di quello che dovrebbe essere il servizio del Festival”, recita la lettera dei consiglieri dimissionari. Qualcuno di loro accusa Stein di non aver avuto scrupoli ad “alimentare le divisioni già esistenti in seno alla comunità e a inaugurare una crisi di comunicazione senza precedenti”. Gli è stata attribuita la responsabilità del clima di tensione che si è venuto a creare. Lui di questo si è scusato, in un lettera aperta, ma ha difeso a spada tratta la decisione di inserire il film nel programma, nonché l'invito della signora Corrie, preceduta, per creare contraddittorio, dall'intervento di un portavoce di SF Voice of Israel, un giornale del sionismo di destra americano. “Come organizzazione ebraica culturale ed artistica – dichiara - noi presentiamo film che talvolta contemplano una significativa autocritica, atteggiamento che credo sia una caratteristica distintiva del nostro popolo”. “Rachel peraltro – continua – s'inserisce in una rassegna di 37 film che si concentrano, celebrano o ci informano su Israele, compresi film sui soldati israeliani rapiti, Ghilad Shalit e Ehud Goldwasser, e le loro famiglie. Un'ampia gamma di emozioni, idee, punti di vista e temi: noi crediamo che favorire il dialogo ed essere aperti a più punti di vista sia un valore innato dell'ebraismo, e proveremo a coltivarlo”.
All'inaugurazione del festival il risoluto direttore si è imposto con un discorso molto duro: ha ribadito la sua decisione e ha diffidato gli spettatori dal “mancare di civiltà nelle discussioni sul film, sia dentro che fuori dal teatro”. Ha richiamato al democratico rispetto reciproco delle diverse opinioni, espresso la speranza di “ricucire le ferite aperte da un dibattito rancoroso”, ma ha concluso il suo intervento ricordando che “chi avesse mancato di cortesia in qualunque momento del film o del dibattito sarebbe stato immediatamente allontanato”. Questo non è successo, tutto è andato liscio. Stein è ancora il direttore. Alcuni finanziamenti sono stati sospesi, ma l'istituzione non è in pericolo di vita.
Il documentario sta iniziando a fare il giro del mondo e continua a raccogliere riconoscimenti artistici e spietate critiche. E' stato presentato anche in Italia nell'ambito del festival di Internazionale a Ferrara. Comunque la si pensi in merito non è un film che lascia indifferenti e non può non far pensare, emozionare, lasciare perplessi, discutere.


Manuel Disegni
 
 
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Lezioni di suicidio politico: il caso Abu Mazen
Fine settimana piuttosto luttuosa per le politiche di conciliazione internazionale, di cui il patrono è Barack Obama. Da una parte, il rifiuto ormai chiaro dell'Iran a seguire il piano occidentale che doveva portare a un rallentamento della costruzione del suo nucleare, con immediata e ossequiosa sostituzione del piano da parte di El Baradei e entrata in scena della Turchia; dall'altra parte lo sconcerto occidentale di fronte al ritiro di Abu Mazen dalla competizione elettorale da lui stesso fissata per il 24 gennaio. Bernard Kouchner, ministro degli Esteri francesi è il più disperato e chiede a Abbas di ripensarci: il suo abbandono è una minaccia non solo per la pace, dice, ma «per tutti noi». Anche Hillary Clinton spera di continuare con Mahmoud Abbas «qualsiasi sarà la sua posizione». Tutti, anche gli israeliani, fra cui Ehud Barak, sperano di recuperare le vecchie abitudini, e quindi che Abu Mazen scenda dall'albero sui cui si è arrampicato. Ma la verità è che la decisione di Abu Mazen riguarda l'onda nera che si eleva e si arrotola all'orizzonte, e il modo in cui egli stesso e il resto del mondo stanno cercando di affrontarla, ovvero, debolmente, amatorialmente. L'unica maniera che forse avrebbe Abu Mazen di tornare sulla scena sarebbe di rimandare quelle elezioni che ha appena convocato e mettersi a nuotare contro corrente, e non è detto che alla fine non lo faccia. Tornare a competere sarebbe suicida, ed è difficile che possa tornare a farlo. Abu Mazen è fra l'incudine del moderatismo e quella dell'estremismo. E' stato oggetto dell'incauto gioco pacifista degli Usa e dell'aggressione di Hamas, e invece di rifiutare ambedue le dannose relazioni, ha cercato di navigare in due fiumi. Obama gli ha chiesto di essere l'uomo della trattativa e gli ha però di fatto posto un ostacolo insormontabile nel momento in cui, per la prima volta nella storia del processo di pace, ha chiesto a Israele il completo e immediato stop delle costruzioni negli insediamenti e anche a Gerusalemme. Abu Mazen, che non poteva certo essere da meno, ha messo a sua volta questa altissima asta davanti Netanyahu, da saltare prima di sedersi al tavolo. Ma Bibi voleva una prova: quella che Fatah riconoscesse l'esistenza di Israele come Stato ebraico. Abu Mazen però doveva contenere la concorrenza con Hamas, sempre più sprezzante e aggressivo nei suoi confronti, e ha adottato toni oltranzisti lanciando una campagna per il diritto al ritorno e per la negazione del diritto storico degli ebrei a Gerusalemme e a Israele in generale. Però, attenzione, quando Obama alcune settimane fa lo ha invitato insieme a Bibi a New York,  è andato mitemente all'appuntamento e ha accettato di non spingere all'Onu la relazione Goldstone che vuole Israele di fronte al tribunale internazionale per crimini di guerra a Gaza. Con il risultato di doversi ben presto rimangiare questa posizione sotto le pressioni di Hamas che lo accusava in piazza di alto tradimento. Di fatto, Abbas si è rimangiato la concessione a Obama, la risoluzione Goldstone è passata all'Onu; e il divieto a Israele di difendersi ha messo Netanyahu in una posizione poco agibile per accordi preventivi con Abu Mazen. Ma intanto anche l'accordo con Hamas sponsorizzato dal Cairo è andato a pezzi. Si chiamerebbe una gioco «loose-loose», di perdita e ancora perdita per Abbas. Intanto Hamas, col plauso popolare, compiva lanci di nuovi missili Fajar forniti dall'Iran che possono arrivare fino a Tel Aviv. Questa è la propaganda che ha più presa, e Abu Mazen ha capito di non avere chance alle elezioni con la sua pallida e impossibile richiesta di smetterla con le costruzioni negli insediamenti: Israele certo non può accettarla mentre Hamas si prepara a alzare il tono dello scontro. Il clima è di guerra, e lo dicono anche le enormi esercitazioni militari compiute da Israele con gli americani nei giorni scorsi. Abu Mazen ha voluto essere insieme la colomba che tutti desideriamo e l'uomo che non si siede al tavolo delle trattative se non si parte da dove dice lui. Ora si parla di successori impossibili, come Barghouti, che è in carcere con cinque ergastoli, e che perse le elezioni, da capolista, nel 2006. Lui stesso ha detto che le elezioni sceglierebbero solo il capo di metà dei palestinesi, impotente a gestire qualsiasi trattativa.

Fiamma Nirenstein, Il Giornale, 8 novrembre 2009

 
 
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notizieflash    
 
 
Israele: rischio missili, squilla il cellulare                                          Tel Aviv, 8 nov -
In un'intervista rilasciata al Jerusalem Post,uno dei dirigenti del Comando delle retrovie israeliane, il colonnello Hilik Sofer, ha spiegato che si stanno mettendo a punto sensori capaci di stabilire - mediante una "ellisse virtuale" - la esatta traiettoria di ogni razzo o missile lanciato contro Israele. Attraverso questa nuova tecnologia nella evenienza di un attacco missilistico nelle retrovie Israeliane, nella zona immediatamente esposta al rischio squilleranno tutti i telefoni cellulari. In quel modo sarà possibile salvare vite umane. Il nuovo sistema, ha notato il Colonnello Sofer, sarà molto più preciso delle attuali sirene di allarme e dunque la
popolazione allertata di volta in volta sarà più ristretta. La settimana scorsa le sirene di allarme sono risuonate a Tel Aviv nel contesto di una esercitazione delle retrovie che simulava un attacco di razzi sulla città. Secondo i responsabili militari israeliani, sia Hamas da Gaza sia Hezbollah dal Libano possono teoricamente minacciare la città, o almeno la sua periferia.

Israele: Mofaz espone alla stampa un piano per la pace
Tel Aviv, 8 nov -
Shaul Mofaz, il numero due del partito israeliano Kadima ha presentato alla stampa un dettagliato progetto di pace. Mofaz ha infatti espresso la necessità di dar vita al più presto ad uno Stato palestinese provvisorio, indipendente e disarmato. Nella prima fase di questo progetto, i palestinesi estenderebbero il loro Stato sulla striscia di Gaza e sul 60 per cento della Cisgiordania. In compenso verrebbe riconosciuta la sovranità israeliana sulle zone omogenee di insediamento ebraiche in Cisgiordania. In una seconda fase Israele e Anp raggiungerebbero, in un tempo prestabilito, una intesa per un accordo definitivo di pace che consentirebbe ai palestinesi di assumere il controllo su quasi tutta la Cisgiordania. Mofaz ha detto che nella prima fase del suo progetto non sarebbero sgomberate colonie. Ma con la realizzazione della seconda fase, circa sessantamila coloni israeliani (su un totale di oltre trecentomila) dovrebbero essere rimossi e aiutati dal governo a insediarsi nel Negev o in Galilea. Mofaz ha aggiunto di non avere preclusioni di principio a negoziare anche con Hamas, se quel movimento uscisse vincente da elezioni democratiche nei Territori ed mostrasse una analoga disponibilità a intavolare trattative con Israele. "In quel momento sarebbe un Hamas con una agenda politica totalmente diversa" ha notato.
 
 
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