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L'Unione informa
 
    1 novembre 2009
14 Cheshwan 5770
 
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Moked - il portale dell´ebraismo italiano
alef/tav    
  Benedetto Carucci Viterbi Benedetto
Carucci Viterbi,

rabbino 
Lech lekhà: va verso te stesso. Solo con la autoconsapevolezza si riesce a lasciare il passato e a procedere verso la promessa del futuro. Abramo ci riesce; rincontrerà il lech lekhà nell'ordine di sacrificare suo figlio: l'autoconsapevolezza giunge fino al rischio di rinunciare al futuro. 
Invictis Victis Victuri” è una rassegna cinematografica, in svolgimento in questi giorni a Milano, dedicata al tema della guerra, promossa dall’Assessorato cultura della Provincia di Milano e sostenuta dal Ministero della Difesa. Quale idea e immagine di Novecento emerge dal programma della rassegna? L’idea è che il corso buono della storia nel Novecento si sarebbe interrotto nel 1943, avrebbe ripreso con incertezza a camminare nel 1948 per affermarsi definitivamente nel 1989 con il”crollo del Muro di Berlino”. In questa raffigurazione il secondo dopoguerra italiano risulta riassunto in questi due quadri: da una parte l’idea che la guerra fu perduta per una prevalenza della forza della tecnica contro la generosità di chi voleva combattere ancora (un aspetto che riproduce tutta la retorica dello spirito combattente da parte dei reduci di Salò); dall’altra ciò avvenne perché ci fu un tradimento rispetto a un impegno preso. In discussione non è mai l’ideologia o il progetto cui quell’ideologia corrispondeva. Dopo aver fatto in modo di ridurre il fascismo a un fenomeno accettabile, eccetto le leggi razziste, si fa un ulteriore passo avanti: il fascismo come estremo difensore dell’Occidente come barriera nei confronti dei barbari. Si occulta il fine totalitario della guerra fascista e rimane ciò che non ci fu mai: il supporto a una guerra che aveva come conseguenza l’affermazione della democrazia. Benvenuti a Fantasilandia!  David
Bidussa,

storico sociale delle idee
David Bidussa  
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  Qui Milano – I giovani ebrei italiani riuniti a congresso

Logo UGEIGiornata conclusiva, oggi, per il quindicesimo congresso dell'Unione dei Giovani Ebrei Italiani che si era aperto con l'Arvith del venerdì celebrato nell'aula magna della scuola ebraica di Milano. Ad aprire i lavori è stato un Davar Torà del rav Alfonso Arbib, rabbino capo di Milano, dedicato all'importanza di avere una identità culturale forte e affermata, come quella del patriarca Abramo. Un'identità non in contrapposizione agli altri, ma intesa come base imprescindibile del rapporto col mondo esterno. Un saluto è stato portato anche dal presidente del Consiglio comunale di Milano Manfredi Palmeri, dalla vicepresidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Claudia De Benedetti, dal consigliere UCEI Yoram Ortona e dallo scrittore Gabriele Nissim, che ha espresso il suo apprezzamento per le energiche prese di posizione dell'UGEI in merito alle tragedie che avvengono nel mondo, anche non connesse direttamente a Israele e il mondo ebraico, dal Darfur all'Iran.
“La denuncia e la battaglia contro le gravi violazioni dei diritti umani sono una responsabilità civile che gli ebrei, anche in forza della loro storia, hanno ancora più e degli altri”, ha detto Nissim.
L'assemblea plenaria è stata inaugurata dal presidente eletto del congresso Simone Rabà.
Grande soddisfazione da parte di tutti per la straordinaria affluenza da tutta Italia, notevolmente incrementata rispetto agli anni precedenti. Introdotte brevemente ai nuovi congressisti le modalità e le funzioni del Congresso, sale spontanea un'istanza che ottiene l'unanimità dell'assemblea: “E' ora di cena!”.
Si arriva così al centro della celebrazione collettiva dello Shabbat, duecento e più ragazzi s'intrattengono diverse ore tra cibo e canti, sacri e anche un poco profani.
Le polemiche, che certo non mancano, arrivano il giorno seguente, con i lavori congressuali veri e propri, “bisogna puntare sulla quantità, ma anche sulla qualità della partecipazione ai lavori, sui contenuti, non solo sulla forma: dobbiamo mettere tutti nelle condizioni di poter intervenire ed essere parte attiva e competente”, lamenta qualcuno.
La protesta viene accolta, s'indice un'assemblea straordinaria per chiarire tutti i dubbi contenutistici e procedurali e per discutere collettivamente i temi da trattare nei lavori delle commissioni.
Ed emerge quello che molti considerano un grande problema delle politiche giovanili: le risorse economiche. “Per portare avanti con successo tutte le iniziative e i progressi necessari il Consiglio avrebbe bisogno di un budget annuale molto superiore rispetto agli attuali 32 mila euro che l'UCEI ci destina, e chi ci spende tutto il suo tempo e le sue energie avrebbe diritto a un compenso economico”, afferma il presidente uscente Daniele Nahum. Si parla di una lettera firmata da tutti i congressisti al consiglio dell'UCEI per ribadire l'importanza di investire sui giovani.
Nel corso del pomeriggio di sabato si tiene anche un dibattito sull'attualità politica del Medio Oriente, con l'intervento di Lorenzo Cremonesi, giornalista del Corriere per tanti anni corrispondente da Gerusalemme.
Le Commissioni istituite per i lavori sono: cultura, politica, eventi, reperimento fondi, gruppi locali (in riferimento a piccole e grandi comunità) ed ebrei invisibili (concentrata sul problema dei tanti ragazzi sempre più lontani, soprattutto nelle piccole comunità).
Dopo due ore di discussioni febbrili i lavori s'interrompono, e, messe da parte le divisioni tutti si preparano per la grande festa di sabato sera.
L'ascia si dissotterra oggi, il programma prevede la presentazione delle mozioni, le votazioni e l'elezione dei nuovi organi dei giovani ebrei italiani.

Manuel Disegni



Qui Milano - Giovani ebrei: la relazione di Daniele Nahum

Daniele NahumCare amiche e cari amici,
a me il compito e l’onore di aprire il XV congresso dell’Unione Giovani Ebrei d’Italia.
Per prima cosa, è doveroso per noi ringraziare la Comunità Ebraica di Milano che ci ospita. Anche quest’anno ci siamo superati, con un numero strepitoso di partecipanti e, quindi, questo è il Congresso più affollato degli ultimi anni. 
Mi soffermerò ora, velocemente, sulle attività interne che abbiamo svolto, sull’attività politica compiuta e, da ultimo, sul bilancio di questi ultimi tre anni.
Attività interne
Come Consiglio, sulla scia dei consigli precedenti, abbiamo sempre creduto dell’importanza fondamentale che le attività interne ricoprono per l’organizzazione.
Per questo abbiamo cercato di  proporre attività di qualità per i nostri iscritti, tenendo sempre a mente che il nostro obiettivo principale è il coinvolgere e fare incontrare il maggior numero di giovani ebrei residenti in Italia.
Appunto per questo, la collaborazione con le organizzazioni ebraiche straniere è proseguita e si è ulteriormente rafforzata anche quest’anno, e questo ci ha permesso di accrescere ulteriormente il numero di partecipanti alle nostre attività.
Quest’anno, la nostra strategia, è stata quella di puntare su due grandi eventi: la festa di Purim a Torino e il Congresso di Milano. Ma, al contempo, abbiamo supportato le attività dei gruppi locali che ormai da due anni sono delle realtà vive e funzionanti della nostra organizzazione.
Ora andiamo con ordine sulle attività interne che abbiamo svolto quest’anno.
A fine dicembre e inizio Gennaio, come ogni anno,  abbiamo organizzato, in collaborazione con la Danube e con SUJS ,il campeggio invernale (Wing). In quella settimana hanno partecipato più di 250 ragazzi ebrei provenienti da tutta Europa. (...)
Nel mese di febbraio, con la collaborazione del gruppo locale di Milano, abbiamo organizzato un week-end con le SUJS svizzera. (...)
A marzo abbiamo organizzato il week-end di Purim a Torino con la collaborazione dei  ragazzi del GET.(...)
Nel mese di Maggio, a Livorno, con il valido aiuto del gruppo locale, abbiamo festeggiato Lag Ba-omer. Infine, nel mese di ottobre, abbiamo organizzato a Firenze un’attività in Succah. (...)
Attività Politica
La nostra attività politica si è esplicata attraverso due grandi temi: il rispetto dei diritti umani, e in particolare ricordo la nostra campagna per dedicare una via agli studenti iraniani, e  l’integrazione delle minoranze nel nostro paese.
Diritti Umani
Come giovani ebrei abbiamo sempre creduto che il battersi per il rispetto dei diritti umani sia un nostro dovere morale, e che dobbiamo scandalizzarci dei massacri e genocidi che attualmente attraversano il mondo.
Sessant’anni fa, nell’indifferenza collettiva, in Europa, si consumò la più grande tragedia dell’umanità. In questi anni, durante la commemorazione della Giornata della Memoria, è in voga da parte di molti lo slogan “per non dimenticare”, noi, durante questa giornata ci siamo sempre differenziati dicendo che come giovani ebrei, e dunque nipoti dei sopravvissuti e ultimi testimoni della memoria, non faremmo un buon servizio alla storia dei nostri nonni, se non parlassimo anche degli altri genocidi e massacri del novecento.  Chiaramente, quanto ho appena detto non significa affatto mettere in dubbio l’unicità della Shoah. Anzi!
Personalmente credo che il tema dei diritti umani sia peculiare della sensibilità dell’ebraismo italiano.
Prendendo spunto da questo nostro vissuto, la nostra azione politica si è esplicata nel pungolare l’opinione pubblica italiana affinché le sistematiche violazioni dei diritti umani cessino. Per questo abbiamo fatto il possibile affinché  i mezzi di informazione  diano il giusto spazio a queste tragedie. (...)   
La campagna che ci ha caratterizzato principalmente quest’anno è stata il supporto alla causa degli studenti iraniani. L’anno scorso avevamo lanciato un appello a tutti i Sindaci italiani chiedendo a ognuno di loro di dedicare una via delle loro città al 9 luglio 1999, anniversario della più grande rivolta degli studenti iraniani contro il loro regime dispotico. Questa iniziativa ricevette risposta affermativa da parte del Sindaco di Roma, Gianni Alemanno, il quale assicurò il proprio impegno personale affinché questa proposta fosse realizzata nella sua città. Purtroppo, quando Paolo Masini, consigliere comunale del Partito Democratico, ha presentato in consiglio comunale la mozione che riprendeva la nostra richiesta, la maggioranza che sostiene il Sindaco di Roma l’ha bocciata. Chiaramente, dopo questo grave fatto, abbiamo rimarcato, a mezzo stampa, che la mancata realizzazione della proposta è stato un duro colpo per la città di Roma, città  che in questi anni si è sempre caratterizzata come paladina dei diritti umani, ma, soprattutto, abbiamo asserito che la mancata promessa da parte del Sindaco è stata un durissimo colpo inferto alla resistenza dei giovani iraniani, che avevano espresso apprezzamento per la promessa dello stesso, ahinoi disattesa.
Ma dalla brutta pagina romana passiamo al grande successo milanese! (...)
Durante il mese di Giugno, il leader libico Muammar Gheddafi, ha compiuto una visita di Stato nel nostro Paese. Purtroppo il dittatore libico è stato accolto dalle autorità italiane come un illuminato leader democratico. Il nostro Paese,  oltre a stendergli tappeti rossi, aveva organizzato, in  suo onore, una conferenza stampa al Senato della Repubblica. Questo segno di riverenza, in passato era stato riconosciuto solo a poche personalità, tra cui il Dalai Lama. Il comportamento del nostro Governo,è stato per noi difficile da accettare. Per questo, abbiamo fatto sentire la nostra voce, chiedendo alle istituzioni, di annullare la conferenza stampa prevista al Senato e che un simile onore non poteva essere concesso ad un dittatore sanguinario quale è Gheddafi. Per fortuna, grazie al polverone alzato da vari esponenti del mondo della politica e dell’associazionismo, la conferenza stampa prevista è stata annullata. (...)
Inoltre, abbiamo lanciato un appello al Governo Italiano affinchè concedesse la Cittadinanza Italiana a Gilad Shalit.
A questo appello si sono uniti i Deputati e Senatori del Partito Radicale che l’hanno sostenuto facendo una dichiarazione congiunta alla Camera e al Senato  in sostegno al nostro appello. (...)
Integrazione delle minoranze
(...) Oggi la domanda fondamentale che noi abbiamo di fronte è: di chi è l’Italia? Chiaramente l’Italia è degli italiani. Ma personalmente credo, parafrasando le parole del Presidente della Camera, Gianfranco Fini, che l’Italia sia anche di chi la ama e di chi la saluta come sua Patria. Per questo, come Consiglio esecutivo dell’UGEI, abbiamo sostenuto con forza, la proposta di legge Granata-Sarubbi che punta a ridurre da 10 anni ai 5 i termini per prendere la cittadinanza per gli immigrati residenti nel nostro Paese. Parimenti, abbiamo sostenuto la proposta del Presidente Fini di concedere la cittadinanza ai figli degli immigrati, dopo che hanno compiuto un ciclo scolastico nelle scuole italiane. Quando abbiamo trattato questo tema abbiamo sempre detto che, oltre a riconoscere i diritti agli immigrati, bisogna pretendere dei doveri e delle responsabilità. Per questo abbiamo sempre dichiarato che il primo presupposto per concedere la cittadinanza italiana, deve essere il rispetto delle leggi del nostro Paese e il parlare correntemente la nostra lingua.
Questo nostro impegno sull’integrazione, l’abbiamo reso concreto con un progetto che è stato ufficialmente accettato dalla Provincia di Milano. Questo progetto, realizzato insieme alla Comunità Ebraica di Milano e alla fondazione Multi Medica, riguarda la concessione di uno spazio, ubicato nel centro di Milano, che sarà suddiviso nel seguente modo: un piano con un poli-ambulatorio rivolto agli indigenti, che sarà gestito dalla Fondazione Multi Medica, un altro piano, gestito da noi, i cui spazi verranno predisposti per attività di dialogo interculturale tra le diverse minoranze  presenti nella città di Milano, e infine, gli ultimi due piani che saranno a disposizione dei giovani ebrei italiani e dei giovani della Comunità Ebraica di Milano.  
Un bilancio di questi anni
Permettetemi, dunque, di finire questa mia relazione con un bilancio del lavoro che abbiamo fatto in questi ultimi tre anni, invece di parlare del futuro dell’organizzazione.
Non parlerò delle nostre strategie future perché ho deciso di porre fine, dopo tre anni, alla mia esperienza di Presidente dell’UGEI.
Credo che dopo tre anni da Presidente sia giusto passare la guida dell’organizzazione ad una generazione più giovane, che sicuramente saprà esserne all’altezza. Si conclude qui la mia esperienza. (...)
Questa per me è stata un’esperienza bellissima e totalizzante, che mi ha fatto crescere sia da un punto di vista politico ma, soprattutto, da un punto di vista umano.
Credo che dal primo gennaio mi mancherà il telefono che squilla ogni cinque minuti. Soprattutto, però, ricorderò come la cosa più bella di questi anni sia sempre stato l’onore che ho avuto di rappresentarvi.
Shalom a tutti.

Daniele Nahum, Presidente Unione Giovani Ebrei d’Italia  
 
 
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  Cinema - L’Armée du Crime di Robert Guédiguian
Quando gli ebrei fanno la resistenza


Scena filmScena iniziale: un gruppo di condannati è trasportato al luogo dell’esecuzione.
La macchina da presa li riprende mentre sono ammanettati sulla camionetta della polizia, poi, allarga sulle strade di Parigi piene di gente che vive come se tutto fosse normale.
Due voci fuori campo pronunciano i nomi dei prigionieri e il loro destino: "Missak Manouchian Mort pour la France! Marcel Rayman Mort pour la France! Thomas Elek Mort pour la France! Feri Boczov Mort pour la France! Henri Krasucki Mort pour la France! Olga Bancic Morte pour la France!".
Siamo nella Parigi sotto l’occupazione nazista e i condannati a morte sono membri di un gruppo della resistenza comunista (Communist Francs-Tireurs et Partisans de la Main d'Oeuvre Immigrée FTP-MOI) che opera nella capitale.
Sono tutti cittadini stranieri, immigrés (polacchi, ungheresi, italiani, rumeni, spagnoli, armeni…), in maggioranza ebrei. 
Il loro capo è Missak Manouchian, poeta e sopravvissuto del genocidio armeno.
Responsabile di quasi tutte le azioni di resistenza armata condotte nella regione parigina dal marzo al novembre del 1943, il gruppo è composto di giovani studenti, ex combattenti della Guerra di Spagna, perseguitati politici e operai; uomini e donne che a causa del loro passato di perseguitati, sfruttati, discriminati, hanno saputo comprendere la gravità del momento storico e riconosciuto la necessità di agire.
Significativamente, come contrappunto alle azioni partigiane, il film mostra scene della vita normale che la maggioranza dei francesi ha continuato a condurre sotto l’occupazione.

Scena filmAlcuni soldati tedeschi fanno i turisti vicino a una Tour Eiffel decorata con emblemi nazisti mentre intorno a loro le famiglie e le coppie passeggiano tranquillamente.
In un piccolo giardino municipale un quartetto d’archi composto di soldati in divisa esegue un concerto; la bellezza della musica stride con le uniformi pesanti e gli sguardi marziali ma i parigini stanno lì, seduti ad ascoltare.
Questo è il secondo film a tema storico che il regista Robert Guédiguian, francese d’origine armena, ha firmato. Noto in Italia soprattutto per i suoi film sociali ambientati nei quartieri operai di Marsiglia (Marius et Jeanette, La ville est tranquille, Marie-Jo e i suoi due amori ), ha diretto anche Le passeggiate al Campo di Marte dove racconta gli ultimi giorni nella vita di François Mitterand e i suoi oscuri rapporti con il regime di Vichy. 
Ne L’Armée du Crime, gli stranieri, gli immigrati sono gli unici a sacrificarsi per il bene della Francia. In pochi anni si sono scoperti patrioti imparando ad amare la Francia dei diritti umani e delle libertà. Quando realizzano che quella Francia non esiste più, decidono di impegnarsi e combattere.
Guédiguian omette, volutamente, la presenza di tre partigiani francesi che erano nel gruppo per sottolineare il contributo eccezionale dei partigiani stranieri alla resistenza.
Il film diventa così necessariamente una riflessione sulla nostra società contemporanea, la questione dell’immigrazione e il ruolo delle minoranze.
La gran parte dei resistenti è composta di ebrei che, in fuga dai ghetti dell’Europa orientale, hanno trovato, in Francia, l’uguaglianza. Una condizione che s’infrange con l’arrivo dei soldati tedeschi e si perde per sempre con i rastrellamenti della polizia parigina, la raccolta di 13 mila ebrei al Velo d’Hiver, il campo di Darcy e il viaggio finale ad Auschwitz-Birkenau.

Imm.filmCatturati, i partigiani sono brutalmente torturati e processati in pubblico. Additati come terroristi, criminali, comunisti, cospiratori da cui il popolo francese deve difendersi le loro fotografie sono successivamente pubblicate su un manifesto distribuito in tutto il Paese per creare un clima di paura verso i combattenti della resistenza e gli stranieri.
Sul manifesto leggiamo le seguenti parole:
"Si des Français pillent, volent, sabotent et tuent... Ce sont toujours des étrangers qui les commandent. Ce sont toujours des chômeurs et des criminels professionnels qui exécutent. Ce sont toujours des juifs qui les inspirent. C’est l’armée du crime contre la France. Le banditisme n’est pas l’expression du Patriotisme blessé, c’est le complot étranger contre la vie des Français et contre la souveraineté de la France."
[Se dei francesi saccheggiano, rubano, sabotano e uccidono…Sono sempre degli stranieri che li comandano. Sono sempre dei disoccupati e dei criminali professionisti a eseguire. Sono sempre degli ebrei a ispirarli. È la banda del crimine contro la Francia. Il banditismo non è espressione di Patriottismo ferito bensì un complotto straniero contro la vita dei francesi e contro la sovranità della Francia].
Sarà ricordato per sempre come L’Affiche Rouge, immortalato in un poema di Louis Aragon:
Vous aviez vos portraits sur les murs de nos villes Noirs de barbe et de nuit, hirsutes, menaçants L'affiche qui semblait une tache de sang Parce qu'à prononcer vos noms sont difficiles Y cherchait un effet de peur sur les passants.
[Voi avevate i vostri ritratti sui muri delle nostre città scuri come le barbe e la notte, irsuti, minacciosi. Il manifesto sembrava una macchia di sangue. Con i vostri nomi difficili da pronunciare si cercava di spaventare i passanti].

Rocco Giansante
 
 
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Il Vaticano e la frattura del 1938
[…] I fedeli delle parrocchie come gli intellettuali e i sacerdoti esprimono giudizi e pratiche diverse nei confronti di quelli che solo molto tempo dopo saranno chiamati i loro “fratelli maggiori”. I due principali quotidiani cattolici, ad esempio, L'Italia di Milano e L'Avvenire d'Italia di Bologna sono decisamente in polemica dura con le leggi razziali. Del resto l'argomentazione teologica è anche alla base dell'offensiva fascista: ripetute saranno le accuse alla chiesa per non essere coerente con le sue posizioni antigiudaiche, per avere abbandonato troppo disinvoltamente la fortissima tradizione antisemita espressa da tante pagine della «Civiltà cattolica» alla quale Mussolini dirà di essersi ispirato: «C'è molto da imparare dai padri della Compagnia di Gesù. (...) Il fascismo è inferiore, sia nei provvedimenti sia nella loro esecuzione, al rigore della Civiltà cattolica». […]
[…] L'ultimo lavoro di Padre Sale, che arricchisce l'attuale panorama documentaristico con i materiali provenienti dall'archivio della «Civiltà cattolica», ci fa capire bene la persistente ambiguità degli ambienti curiali, in contrasto all'intransigenza di papa Ratti. Lo storico gesuita conferma, attraverso questa nuova documentazione, le differenze tra le prudenti connivenze e la decisa contrarietà di Pio XI, dell'Azione cattolica e specialmente di Gian Battista Montini. Il confronto con le leggi razziali diventa una cartina di tornasole che getta luce sulla difficile distinzione tra questione biologica e questione morale (quali sono - si chiedono molti cattolici - le differenze tra i concubinaggi con le popolazioni di colore e quelle con gli ebrei). Ne risultano con chiarezza le ripetute ambiguità tra ragioni biologico-razziali e politico-religiose-morali. […]
Emma Fattorini, Il Sole 24 Ore, 1 novembre 2009 

Quell'amicizia con Hezbollah pesa come un macigno
[…] L'anno scorso a un convegno dell'Aspen il ministro Franco Frattini e Massimo D'Alema ebbero a discutere della questione israeliano- palestinese: il fine era due stati per due popoli, ma Frattini aveva un'evidente propensione a considerare Israele parte del suo, del nostro paesaggio interiore e i palestinesi responsabili di ogni futuro sviluppo di un processo di pace, mentre per D'Alema cadeva su Israele tutto l'onere della pace e sui palestinesi brillava la stella dell'innocenza. Per D'Alema Arafat è stato un amico, mai ha condannato le sue responsabilità nell'Intifada del terrore e del rifiuto di Camp David; il fatto che gli hezbollah avessero rappresentanti in parlamento li rese per il suo giudizio esenti dall'accusa di terrorismo, e glieli ha fatti scegliere come compagni nella famosa passeggiata di Beirut dopo la guerra del 2006; icona, mi dispiace, indimenticabile. Quanto a Hamas, D'Alema conosce le cronache del terrorismo e ne ha certo letto anche la Carta antisemita, pure ha ripetuto alquanto che occorre dialogarci e pensa di estrarne accordi, di nuovo perché sono stati eletti. Una visione impraticabile politicamente nell'era della diffusione di massa dell'estremismo islamico; inoltre Hamas proprio per iniziativa italiana è stato collocato nella lista delle organizzazioni terroriste. L'invincibile profonda convinzione di un torto originario di Israele è forse quello che porta D'Alema a chiamare la guerra di difesa israeliana a Gaza «spedizione punitiva» anche se ha sempre ritenuto invece che i 500 morti civili serbi sotto le bombe Nato siano stati legati a una guerra giusta, quella voluta anche da lui. [...]
Fiamma Nirenstein, Il Giornale, 1 novembre 2009

Nozze di diamante di un ex deportato
Era una mattina di settembre del lontano 1949, quando in una pasticceria nel ghetto di Roma Romeo, conosciuto a tutti come zio Romeo, disse ai suoi due amici fraterni Davide e Giuseppe, che la moglie era in stato di gravidanza e che si sarebbe sposato, ma a patto che lo avessero fatto anche loro. Romeo Salmoni, Giuseppe di Porto e Davide Di Veroli, non erano solo mici, avevano un tragico passato in comune: l'atroce viaggio nei campi disumani di Auschwitz, dove morirono come bestie molti dei loro familiari e amici. Già, loro avevano sconfitto il disegno di Hitler, erano riusciti a tornare a Roma. Mirella però, non era la sola in dolce attesa anche Velia, la futura moglie di Davide aspettava una bimba, solo Marisa non aveva fretta di arrivare alle nozze. Fatto sta che a distanza di un mese, il 30 ottobre del 1949 tutti e tre si sposarono.
[…] Da quel giorno le tre coppie non si separarono più. […]
[…] Oggi, per le nozze di diamanti, a festeggiare ci sono però solo due di loro. [...]
Ester Mieli, Libero, 1 novembre 2009 

Arabi e israeliani, sfida di calcio nel segno del dialogo
[…] Due certezze intanto: bella e nobile prova di sport capace di volare alto oltre ogni barriera e, comunque vada, il terzo tempo sarà un trionfo. Questa mattina alle 9 al centro Fulvio Bernardini di Pietralata si giocherà una sfida a calcio davvero emozionante: arabi contro israeliani. […]
Il Messaggero, 1 novembre 2009 

 
 
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Netanyahu: “Siamo pronti alla ripresa delle trattative di pace”  
Gerusalemme, 1 nov -  
"Noi siamo pronti a intraprendere trattative subito ed è necessario che i palestinesi rivedano le loro posizioni", così il premier israeliano Benyamin Netanyahu, nel corso della seduta del Consiglio dei ministri di oggi, ha affermato in merito alle prospettive di ripresa delle trattative di pace con i palestinesi. E ha aggiunto: “Stiamo esercitando uno sforzo accentuato per la ripresa dei negoziati e per questa ragione l'emissario statunitense George Mitchell resterà un altro giorno in zona". La posizione dell'Anp è che i negoziati potranno riprendere solo dopo che Israele si sarà impegnato al congelamento delle attività di colonizzazione. Ma Netanyahu ha ribadito: “Da parte nostra c'è la disponibilità a compiere passi senza precedenti nel loro genere. Ma la nostra controparte avanza condizioni che non erano state poste in passato”. 
 
 
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