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    11 giugno 2009 - 19 Sivan 5769  
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  Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma Riccardo
Di Segni,

rabbino capo
di Roma
Si è svolta oggi al Centro Bibliografico dell'UCEI, in collaborazione con la Marina Militare, la commemorazione dell'ammiraglio Aldo Ascoli a 50 anni dalla sua morte. Per l'occasione il professor Bruno Di Porto parlerà del contributo degli ebrei italiani alle Forze Armate. In questo la vicenda di Aldo Ascoli, ebreo anconetano, è esemplare: era ammiraglio quando fu colpito dalle leggi razziste e radiato, per ritornare in servizio solo alla fine della guerra. Il ricordo è doveroso, perché è una pagina importante della nostra storia, ma è anche doverosa la riflessione sul senso di questa storia. Le carriere militari degli ebrei furono forse il segno più evidente della piena integrazione ebraica nella vita nazionale. Ma a quale prezzo? Oggi un ebreo americano può far carriera nell'esercito USA rispettando kashrut e Shabbat. Non so se potrebbe farlo ora in Italia, se non con enormi difficoltà; certamente non lo poteva fare nella prima metà del Novecento. L'integrazione avveniva molto spesso insieme a una disintegrazione interna, più o meno condivisa ideologicamente. Le leggi razziste cercarono di dimostrare che l'integrazione era impossibile. Oggi dovremmo dimostrare che è possibile, cercando però un equilibrio che non sia autodistruzione.
Israele impiega nel settore dell’educazione l’8 per cento del Prodotto interno lordo – la più alta aliquota fra i paesi sviluppati, anche se a causa della più elevata natalità la spesa per alunno è inferiore a quella di molti altri paesi. Anche l’investimento nella ricerca e sviluppo (4,5 per cento del Pil) è in proporzione il più alto al mondo. Le 2.338.650 persone che nel corso di un anno visitano un museo in Israele costituiscono circa il doppio del totale degli spettatori che hanno assistito a una partita del campionato di calcio di Serie A (a dire il vero, piuttosto modesto). Ma per sapere definitivamente se il Popolo del Libro è ancora tale basta aspettare la Settimana del Libro, inaugurata in questi giorni in Israele, e giudicare. Secondo le previsioni, circa metà della popolazione totale (ossia oltre 3 milioni e mezzo di persone) intende visitare i banconi sparpagliati un po’ dappertutto nel paese. Oltre due terzi degli israeliani leggono libri regolarmente, il 74 per cento delle donne e il 61 per cento degli uomini. Il 50 per cento legge almeno sei libri l’anno, e la stessa percentuale regala libri a parenti e amici. Il 25 per cento (fra cui il sottoscritto) legge più libri in contemporanea. Il 27 per cento comprano libri fidandosi del nome dell’autore e il 33 per cento seguendo il consiglio di amici. Un terzo dei possibili acquirenti ammette che la congiuntura economica ha influenzato gli acquisti. E Dvir Ifergan, di dieci anni, alunno di quinta elementare a Gerusalemme, ha vinto il premio istituito dal Sindaco per avere letto quest’anno 400 libri, più di un libro al giorno. A casa di Dvir non c’è la televisione.  Sergio
Della Pergola, demografo, Università Ebraica di Gerusalemme
Sergio Della Pergola  
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  ammiraglio Ascoli Al Centro Bibliografico: un ricordo di Aldo Ascoli,
ammiraglio di valore, ebreo perseguitato


La lettura del salmo 130 e dell'Izkor (la preghiera che ricorda i morti) da parte del rabbino capo di Roma rav Riccardo Di Segni, subito dopo un breve cenno di saluto del presidente Ucei Renzo Gattegna che ha ripercorso le fasi salienti della vita dell'ammiraglio Aldo Ascoli, hanno segnato l'inizio della cerimonia, organizzata dall'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e dal Comando generale delle Capitanerie di Porto, che si è svolta al Centro Bibliografico dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane in occasione del cinquantesimo anniversario dalla sua scomparsa.

Pubblico CB-Ucei"Credo che questo sia un evento importante di cultura e di memoria", ha detto il Comandante generale del Corpo delle capitanerie di Porto, Raimondo Pollastrini, sottolineando che la memoria dell'ammiraglio Ascoli "ci avvicina nuovamente a personaggi storici che non devono scomparire dal ricordo" e prendendo spunto da questa occasione ha ricordato la storia del Corpo delle Capitanerie di Porto, che nato all'indomani dell'Unità d'Italia, vanta oggi undicimila militari con competenze essenziali.
La vita dell'ammiraglio Aldo Ascoli ebreo perseguitato durante la Seconda Guerra Mondiale che dopo una brillante carriera perse diritti civili e lavoro a causa delle leggi razziste del '38, è stata ripercorsa dettagliatamente nella lectio magistralis del professor Bruno Di Porto già professore di Storia del Giornalismo e Storia Contemporanea all'Università di Pisa.
Aldo Ascoli nacque ad Ancona nel 1882 da Giuseppe e Elisa Costantini. Il padre era titolare di una ditta commerciale nel settore dei filati, ampliata in impresa industriale dal figlio Vittorio. A diciotto anni entrò in Marina frequentando l'Accademia navale dal 1900 al 1904 nel Corpo dello Stato maggiore. Durante la Prima Guerra Mondiale si distinse per il grande acume tattico nelle operazioni sul fronte del Piave, cosa che gli valse la medaglia d'argento, che rappresenta una delle venti decorazioni che ebbe nella sua vita. Nel 1919 sposò Adele Beer, discendente di Moisè Sabato Beer, il rabbino chiamato da Ancona a reggere la grande Comunità di Roma nel 1825, in piena Restaurazione, e seppe stabilire un buon rapporto personale con il pontefice Gregorio XVI.
Dopo molti anni di brillante carriera Aldo all'età di 56 anni fu posto in congedo assoluto dall'arma a causa delle leggi razziste del '38. Il regio decreto del 20 gennaio 1944 e una circolare del 22 marzo dello stesso anno lo riammettevano in servizio. L’ammiraglio cessò dal servizio nel 1952 e morì a Roma il 9 giugno 1959, all'età di settantasette anni.
La cerimonia al Centro Bibliografico, alla presenza della figlia Paola Ascoli Barone e di una piccola rappresentanza della famiglia, ha contribuito a riaccendere una fiammella, una luce sulla vicenda di uno di quei tanti ebrei che contribuirono a fare la Storia d'Italia.

Lucilla Efrati


Di seguito un estratto della lectio magistralis del professor Bruno Di Porto:
[...] Aldo Ascoli entrò a diciotto anni nell’Accademia Navale e la frequentò fino al 1904. Nel 1906 fu sottotenente di vascello. Prese parte alle operazioni di soccorso per il maremoto di Messina, partecipò alla guerra italo-turca, sbarcando in Libia, il 10 ottobre 1911, dall’incrociatore Re Umberto e meritò medaglia di bronzo. Nel 1912 fu nominato tenente di vascello. Si specializzò in artiglieria e nella Grande guerra, assegnato al Comando in capo di Venezia,  operò sul fronte del Piave. La medaglia dì argento lì meritata, è una delle sue venti medaglie e decorazioni. Questa fu la motivazione: “L’opera sua è stata in ogni momento saggia, oculata, veramente fattiva. Nelle giornate del 13 e 14 novembre 1917, per mettere in assetto difensivo di nuova linea Piave – Vecchio Sile, ove già si aveva sentore di infiltrazioni di grosse batterie nemiche su motoscafo non armato, e nel far prendere il nuovo assetto difensivo alle batterie, dava mirabile esempio di ardimento, di sprezzo del pericolo e attaccamento al dovere”. Non si intende veramente questo elogio senza rammentare il clima di  timore, di sconfitta, di resistenza, dopo lo sfondamento austriaco a Caporetto, con apprensione del paese unito da appena mezzo secolo. In quei giorni e in quell’anno del conflitto vi furono due suicidi di ebrei italiani per diversi e contemporanei motivi di scoramento: il senatore Leopoldo Franchetti, di parte liberale moderata, si uccise dopo la drammatica rotta di Caporetto, tale era il sentimento patriottico, e l’avvocato e scrittore Raffaele Ottolenghi, un filantropo ebreo, democratico e socialista di ispirazione profetica, si uccise per lo sconforto di vedere l’ Europa e l’ umanità dilaniarsi, dopo tante speranze di progresso e di pace, in una guerra di cui non si era vista la pari, con il risvolto degli ebrei nemici tra loro, a battersi negli opposti eserciti.  L’ammiraglio Ascoli fu uno dei combattenti che fermarono la ritirata a quel punto decisivo, potendo la premessa della vittoria per l’anno dopo. Ebbe, nel 1918, il grado di capitano di corvetta, e riprese l’imbarco sui mari. [...]

 [...] Nel 1923 Ascoli fu capo della Sezione di Artiglieria presso il Comando militare marittimo di Venezia e nel ’25 conseguì il grado di capitano di fregata. Nel 1930 fu capitano di vascello.  Dal ’32 al ’34 comandò l’incrociatore Giovanni delle Bande Nere. Nel ’35 fu capo di Stato maggiore del Comando in capo del Dipartimento marittimo di Taranto. Nominato contrammiraglio nel ’36, comandò il distaccamento di Massaua. Rientrato in Italia, comandò l’Arsenale di Taranto. Inaugurò il 1938 col grado di ammiraglio di divisione e col comando militare marittimo delle isole dell’Egeo, ma nel luglio  apprese, con mesto stupore, dal manifesto degli scienziati razzisti di non appartenere, in quanto ebreo, alla  razza italiana. Conseguenza di questa tant balzana quanto clamorosa premessa antropologica fu per lui, in ancora vigorosa età di 56 anni, col decreto legge del 22 dicembre 1938, il congedo assoluto dall’arma e dalla vocazione della sua vita, in parallelo al fratello Ettore, generale di corpo d’armata. La stessa esclusione toccò a 170  ufficiali ebrei dei vari gradi, senza contare i numerosi della Milizia volontaria sicurezza nazionale. Della Marina furono 27 ufficiali, di cui tre superiori. Con i soldati di leva, gli uomini in congedo provvisorio e gli allievi ufficiali si arrivò a sfiorare i 3.000 su una popolazione di 45.000. Reco la testimonianza familiare del mio fratello primogenito Arturo, classe 1916, allievo ufficiale di artiglieria a Potenza. Ero un bimbo di cinque anni e ricordo bene il suo ritorno a casa.
Ritirati, per forza, a vita privata, Ettore e Aldo  seguirono dalle loro dimore  l’avventura bellica del paese, fino all’ epilogo dell’ 8 settembre e alle nuove scelte che per loro si posero, sotto l’occupazione tedesca, sia per sfuggire alla cattura, come per riprendere un’iniziativa di responsabilità e di lotta. La signora Paola  ha descritto, in una memoria per l’istituzione israeliana Yad vaShem, la perigliosa situazione  della famiglia nella Villa Beer, che fu in parte occupata dai genieri tedeschi coi loro mezzi di trasporto. Premeva andar via  e i numerosi parenti si divisero in diversi ripari. Gli Ascoli si trasferirono a Porto Recanati nell’albergo di Orlando De Bellis, un giusto onorato appunto dallo Yad vaShem, che procurò  un peschereccio su cui raggiunsero il liberato Sud, mentre il fratello Ettore a settant’anni si unì ai partigiani e finì fucilato, il 14 dicembre 1943, dai tedeschi, a Cingoli. Giunto a Bari, l’ammiraglio Aldo si presentò alle autorità di governo del maresciallo Badoglio, pur sempre il legittimo governo,    per impegnarsi nella sua  Marina. Il regio decreto del 20 gennaio 1944 riammetteva in servizio  i perseguitati politici e una circolare del 22 marzo chiariva l’estensione del provvedimento ai   perseguitati razziali. Nella Marina, con successivi fogli d’ordine, furono riammessi  venti ufficiali. Altri avevano superato, nel periodo della persecuzione, i limiti di età e l’ammiraglio Augusto Capon era stato preso nella retata romana del 16 ottobre 1943 e gassato all’arrivo in Auschwitz. L’ammiraglio Ascoli   ebbe il Comando generale del Corpo delle capitanerie di porto dell’Italia liberata, e fu per questo corpo, così mi ha scritto il tenente Cargnello, figura di unione con lo Stato maggiore della Marina militare.
Ho detto delle venti medaglie. Tra le onorificenze, fu commendatore dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro.
Ad evitare eventuali confusioni, devo precisare l’omonimia dell’ammiraglio Aldo Ascoli con l’avvocato Aldo Ascoli, che fu presidente della Comunità ebraica di Roma.
L’ammiraglio cessò dal servizio nel 1952 e morì a Roma il 9 giugno 1959, in età di settantasette anni. La città di Bologna aveva appena intestato una strada al nome del fratello Generale Ettore. Rievochiamo nei due fratelli, il caduto e il sopravvissuto, la lotta di liberazione, la militare e la resistenziale,  con  il contributo che gli ebrei d’Italia le diedero. [...]







Geddafi a RomaIl colonnello Gheddafi e il colonnello Cahlun
Perdura l'incertezza sull'incontro di Roma

Ancora incertezze e interrogativi riguardo all'incontro fra leader libico Gheddafi e la comunità degli ebrei di Libia in Italia. Il Colonnello, in Italia da ieri, è stato ricevuto da Berlusconi, da Napolitano al Quirinale per recarsi poi in visita ufficiale al Senato e a una cena di gala a Palazzo Madama. Ma l'atteso incontro con la delegazione degli ebrei libici che vivono a Roma avrebbe trovato posto nella sua agenda solo nella giornata di Shabbat, questo sabato, 13 giugno.
Il quotidiano Jerusalem Post di questa mattina riferisce che Shalom Tesciuba, presidente degli ebrei di Libia in Italia, ha lasciato intendere che sono in corso "contatti amichevoli" con i diplomatici libici per cambiare la data dell'incontro. Il quotidiano pubblica alcune indiscrezioni e dà notizia del fatto che Rames Cahlun, presidente dell'Organizzazione mondiale degli ebrei di Libia, sarebbe stato protagonista di una serie di negoziati mantenuti segreti fino ad ora. "Due anni fa, mentre servivo l'esercito israeliano con il grado di colonnello, ha dichiarato Cahlun, mi fu proposto un incontro con un ufficiale dell'ambasciata libica ad Amman. Dopo aver informato il Ministero degli Esteri, ho incontrato in quattro occasioni l'ufficiale libico Otman BenBalka. Abbiamo lavorato insieme a un dettagliato piano di compenso e di conservazione dell'immenso patrimonio lasciato dagli ebrei in Libia".
Il quotidiano israeliano riporta anche la posizione dello psicanalista romano David Meghnagi. Confermando stamane le sue dichiarazioni rilasciate al Jerusalem Post, Meghnagi,
professore di Psicologia alla Facoltà di Scienze della formazione dell’Università Roma Tre, rileva: "Sono molto critico e penso che se Gheddafi vuole riconciliarsi con gli ebrei di Libia, deve fare la pace con Israele. Se vogliono spezzare il pane e il sale con noi devono venire lì nella Terra dei Padri. Gli ebrei di Tripoli, conclude Meghnagi, hanno vissuto dei pogrom durissimi, la dignità viene prima di tutto".
 
 
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  Tizio della SeraNon si può avere tutto

Da aprile a giugno, Marco Pannella ha divertito il pubblico con il nonsense della stella ebraica sul petto. Se fosse stato accompagnato da una foca, avrebbe toccato la perfezione.

                                                                                             
 Il Tizio della Sera


 
 
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Anche i fantasmi possono ferire. E’ forse questa una chiave per commentare la rassegna di oggi che si concentra, principalmente, su due fatti: l’arrivo in Italia del dittatore libico Gheddafi e la follia di un nazista al museo della Shoah di Washington.
Partiamo dal Colonnello. Ieri ha piantato la sua tenda nel cuore di Roma, tra i prati di Villa Pamphili, per la sua prima visita in Italia. E, subito, a mettere radici nel terreno sono state anche le polemiche. Il leader libico già da alcuni anni è in ottimi rapporti con il premier Silvio Berlusconi. I due lavorano assieme per sfavorire l’ingresso dei clandestini dalle coste della Penisola; per non parlare degli accordi nel campo dell’energia o delle sinergie tra le grandi imprese. Ma il passato, quello fatto di razzie a Tripoli nei confronti di libici ebrei e di italiani coloni, non si dimentica facilmente. E probabilmente quando sul programma ufficiale della visita è spuntato il discorso del dittatore tra i banchi della Democrazia nell’Aula del Senato, in molti hanno storto il naso. Da lì a far divampare la polemica è passato un attimo. Il tam tam delle televisioni ha fatto il resto e quando il polverone era già sollevato sopra la grande tenda, è arrivato il dietrofront. Stop al discorso nell’Aula di Palazzo Madama. Si farà, ma altrove. Sulla cronaca della polemica consiglio di leggere il Riformista, ma per capire quali sono i reali interessi dei due Paesi a ottenere maggiore chiarezza nei rapporti, soffermatevi sull’articolo di Franco Venturini sul Corriere. Avvenire, invece, dedica un “box” al presidente dell’Unione giovani ebrei italiani, Daniele Nahum, che è intervenuto per esprimere tutto il suo dissenso sulla visita di Gheddafi in Italia: “Prima di lui – spiega il leader dei giovani ebrei – bisognerebbe ascoltare le parole di chi è stato costretto a fuggire da una dittatura feroce e sanguinaria”.
L’altro fantasma si trova a Washington. Al Museo dell’Olocausto Jamen Von Brunn, 88 anni, si è presentato con un fucile in mano e ha aperto il fuoco. Il nazista con la fedina penale sporca, autore di un paio di libri pro-Hitler e pro-razza ariana, ha ucciso un agente e ne ha ferito un altro. Un resoconto dettagliato si trova su La Stampa, nell’articolo di Maurizio Molinari. A proposito di antisemitismo, ieri a Ostia in via dei Velieri è apparsa una scritta: “Ebrei a morte” (Il Tempo
). E sul tema della Shoah consiglio invece due articoli: “Shoah, perché Pio XII scelse il silenzio” sul Messaggero, “Perché Pio XII fu il resistente filogiudaico di una chiesa antisemita” sul Foglio.
Passiamo ai timori di oggi. Lo sguardo è tutto rivolto all’Iran e alle elezioni. Il 12 giugno si voterà per le presidenziali. Nell’avvicinarci alla data, oggi consiglio di leggere la Stampa che racconta le strategie di Khamenei, il delirio al comizio di Ahmadinejad e sull’Avvenire una riflessione sul cambiamento di Teheran. Sul Giornale un ampio articolo racconta degli ebrei iraniani pronti a confermare l’attuale presidente.
Infine, tutto da leggere, l’articolo di Grossman su La Repubblica: “La mia notte tra i giovani drogati che provano a ritrovare se stessi”. Un interessante viaggio nel centro di disintossicazione di Gerusalemme.

Fabio Perugia

 
 
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Paolo Mieli e Giorgio Israel: “False accuse per Pio XII”                
Roma, 10 giu -
La “riabilitazione” della figura di papa Pacelli appare sempre più concreta e accettata anche da studiosi di origine ebraica e non solo. Questo quanto emerso nell’incontro, all'Istituto Luigi Sturzo di Roma, in occasione della presentazione del libro In difesa di Pio XII - Le ragioni della storia di Giovanni Maria Vian, direttore dell’Osservatore romano. Fra i presenti, oltre al segretario di Stato vaticano, cardinal Tarcisio Bertone, il giornalista Paolo Mieli e gli storici Giorgio Israel e Roberto Pertici. Sono state approfondite le riflessioni di alcuni degli autori che hanno apportato il loro contributo allo scritto di Vian. Paolo Mieli, che si è definito un "laico di sangue ebraico e parente di scomparsi nel gorgo della Shoah, ha affermato come trovi "assurde" le accuse a Pio XII, e ha denunciato una "manipolazione storica" che deve ancora essere "descritta e raccontata". Ad incoraggiarla, a suo giudizio, è stato il mondo "protestante e progressista", teso a scaricare su di lui e sulla Chiesa le "colpe del secolo". Un "torrente in piena" di critiche non ancora sedate e che – dal canto suo, ha sottolineato Giorgio Israel, storico e giornalista ebreo - trovano anzi, in certi atteggiamenti ostili riferiti a Benedetto XVI, la loro interpretazione in chiave moderna. Un malinteso "politicamente corretto" che porta a demonizzare chi non segua certi cliché, anche quando questo sia fatto a fin di bene, come nel caso di Pio XII, i cui sforzi per salvare più ebrei possibile dal massacro furono subito riconosciuti da coloro che ne furono diretti beneficiari e testimoni. Meriti misconosciuti, invece, dal mondo anglosassone - ha sottolineato Roberto Pertici - e nascosti da quello sovietico, irritato dall'antitotalitarismo di Pio XII e della Chiesa in genere. Una Chiesa che in più occasioni ha invece dimostrato la sua vicinanza ai perseguitati e che, con la recente visita di Benedetto XVI in Terrasanta - ha concluso Mieli - ha dimostrato la sua "buona volontà" di dialogo con l'ebraismo.

Netanyahu prepara la risposta al discorso di Obama al Cairo: "Sono favorevole a uno Stato palestinese", fermento nel Likud
Tel Aviv, 11 giu -
Si avvicina il tanto atteso discorso del premier Benyamin Netanyahu (domenica prossima). Secondo il quotidiano Haaretz il premier, nel rispondere ai progetti politici regionali illustrati al Cairo dal presidente degli Stati Uniti Barack Obama, confermerà il sostegno al Tracciato di pace presentato nel 2003 dal Quartetto, e si dirà favorevole a uno Stato palestinese purché smilitarizzato. Netanyahu, ancora secondo Haaretz, insisterà perché i palestinesi riconoscano il carattere ebraico di Israele e ribadirà che secondo Israele le colonie non rappresentano alcun ostacolo alla pace. Il premier farà poi riferimento alla minaccia nucleare iraniana. Ieri Netanyahu ha incontrato i parlamentari del Likud. Oggi prevede di incontrare anche esponenti del movimento dei coloni. Il ministro Benny Begin (figlio del premier Menachem Begin, considerato oggi il custode della ideologia del partito) ha intanto espresso totale contrarietà alla costituzione di alcun Stato palestinese indipendente accanto ad Israele. Il ministro Begin ha infatti avvertito :"I palestinesi vogliono uno Stato Hamas-Olp a Gaza e in Cisgiordania per poi costituire uno Stato palestinese su tutto il territorio israeliano".
 
 
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