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    23 marzo 2009 - 27 Adar 5769  
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Moked - il portale dell´ebraismo italiano
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  Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma Riccardo
Di Segni,

rabbino capo
di Roma
Lo scorso sabato abbiamo finito la lettura del libro dell'Esodo. Nelle ultime righe si parla della nube, segno della presenza divina, che nel deserto accompagnava "i figli d'Israele in tutti i loro spostamenti" e si posava sul tabernacolo "in tutte le loro fermate". E' notevole il fatto che i concetti di "spostamento" e "fermata" siano espressi dalla stessa parola ebraica, "mas'ehem", in piena contraddizione, perché o ci si sposta o si sta fermi. Rav Sacks spiega che in questo paradosso è riassunta una caratteristica essenziale d'Israele e della sua religione: l'idea che non ci sia nulla di stabile, che ogni fermata è solo apparente e che il movimento è l'essenza della nostra condizione, ma non solo quella delle persone: non solo l' "ebreo errante", ma anche la "presenza divina errante"  con noi, presente ovunque ma sempre vicina.
Qualche anno fa, in un convegno in Francia, Gideon Lévy, firma prestigiosa e scomoda di Haaretz e il filosofo André Glucksmann si scontrarono aspramente su un tema ancora molto attuale. Lévy sosteneva che di fronte a eventuali atti ingiusti o illegittimi dell'esercito israeliano, si sentiva moto più coinvolto e spinto alla denuncia che se a commettere ingiustizia fossero stati degli altri, perché fra le sue priorità assolute era l'etica degli israeliani. Glucksmann sosteneva che questo era un discorso ben poco universalistico, che si occupava solo degli ebrei, che invece, secondo lui, andavano valutati con lo stesso metro degli altri popoli e degli altri eserciti. La questione è tuttora aperta, mi sembra e scioglierla continua a non essere facile.   Anna Foa,
storica
Anna Foa, storica  
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  Alessandro Ruben«Barack? Un pratico
che deluderà la nostra sinistra»


«Obama deluderà molto la sinistra italiana. Noi siamo giudicati dai fatti, non dalle battutine». Alessandro Ruben (nell'immagine) è un uomo di poche parole. Esponente della Comunità ebraica italiana, al vertice della Antidefamation league e ora anche deputato del Pdl e presidente del comitato interparlamentare Italia-Usa, Ruben parla poco. Si ferma su un divanetto del Transatlantico per commentare gli ultimi sviluppi.
Onorevole, come valuta l'apertura di Obama all'Iran?
«È chiaro che si è chiusa una fase storica. Sinora gli Usa erano convinti a usare prevalentemente l'opzione militare che, forse, non ha dato tutti i frutti sperati. Nella recente visita in Italia, la spokesman del congresso Usa, Nancy Pelosi, lo ha detto in modo chiaro ai nostri vertici istituzionali».
E la nuova fase?
«Per la nuova fase direi che la parola chiave è confronto . Gli americani sono molto più propensi a confrontarsi con gli alleati. E non solo. Diciamo con tutti. Obama è un uomo di grande pragmatismo. E un uomo che tende la mano. Ma, attenzione, è pronto a usare il pugno con chi risponde usando l'offesa».
In questo senso va intesa l'apertura di Obama all'Iran?
«Certo. Un'apertura di credito. Una mano tesa. Se viene raccolta, Obama andrà avanti. Ma sul nucleare non farà sconti».
Non teme che questo significherà un allontanamento tra Usa e Israele?
«Non credo».
Ne è sicuro? Anche se il ministro degli Esteri sarà Lieberman?
«Guardi, oggi il grande discrimine è la lotta al terrorismo. E tra Israele e Usa gli obiettivi sono comuni. Per questo sono convinto che non c'è nulla da temere».
Pertanto non teme neanche frizioni nel rapporto tra Usa e Italia?
«Soltanto in Italia si guarda alla politica estera attraverso la politica italiana. Racconto un episodio. Di recente mi è capitato di essere a Washington in una sede istituzionale ho chiesto un'indicazione e una guardia mi ha chiesto: Italian? Carabinieri?'. Vede, il punto è proprio questo. Quando i nostri soldati vanno all'estero sono italiani e basta. Solo noi facciamo distinzione».
Che distinzione?
«Se si alza il tricolore non guardiamo la bandiera. Stiamo a vedere chi la sta alzando. Se è della nostra parte politica, allora va bene. Altrimenti è tutto sbagliato. Vorrei invitare tutti a pensare al Paese, al bene del Paese».
Torniamo all'estero. Si sono incrinati i rapporti tra Obama e Berlusconi?
«Ho già detto, Obama è un pragmatico. Berlusconi pure. Conteranno i fatti».
La nuova strategia americana è quindi dialogo e condivisione con gli alleati..
«Il cambiamento di Obama è proprio questo. Ma che non si pensi a una debolezza. Affatto. Obama non farà sconti a nessuno. Ai nemici come agli alleati che cercano di fare i furbetti magari con accordi segreti o doppi binari di trattativa. L'obiettivo è comune nella lotta al terrorismo e nella ricerca della pace. Quindi ecco che si cerca di mettere insieme gli uomini di buona volontà per raggiungere gli obiettivi».
E l'Italia che ruolo avrà?
«Oggi forse più di prima un ruolo da protagonista. E la credibilità che oggi l'Italia, il governo Berlusconi, hanno all'estero. E' questo che conta. Quello che si fa. Non la battuta o le polemiche di condominio. A Washington Frattini ha porte aperte. Gli americani guardano cosa fanno e come si comportano i nostri soldati nelle missioni all'estero. Ecco loro, i soldati, sono i nostri veri ambasciatori. In Libano, Afghanistan come istruttori in Iraq. Grazie a loro il nostro Paese avrà un grande ruolo in questo futuro prossimo».

Fabrizio dell'Orefice - Maurizio Piccirilli, Il Tempo, 21 marzo 2009
     

NirensteinLa nuova strategia Usa umilia i Paesi arabi moderati

È stato molto interessante osservare il linguaggio corporeo del presidente Obama mentre mandava il suo messaggio di pace all'Iran e quello di Alì Khamenei mentre gli rispondeva. Il primo fervoroso, intento, con le mani e con gli occhi, a mostrare la maggiore simpatia possibile; il secondo ieratico, alieno dalle forme, occupato solo dal suo scopo divino. E lo ha snocciolato calmo e lento, spiegando in sostanza che gli Usa devono mostrare nei fatti, e non con le parole, rispetto. Ci vuol dire che Obama, per essere amico dell'Iran, deve smettere di ostacolare la costruzione della bomba atomica, ormai allo stadio ultimo dell'arricchimento o al primo di  assemblamento, a seconda di fonti americane o israeliane. Comunque ormai basta poco tempo perché tutto il mondo sia sotto la minaccia atomica degli ayatollah. Essere amico dell'Iran, dice inoltre in sostanza Khamenei, significa abbandonare l'insopportabile abitudine di difendere l'esistenza di Israele e lasciare che si compia sul popolo ebraico la soluzione finale più volte annunciata da Ahmadinejad. Vuole anche dire abbandonare, come del resto si legge già nel discorso di Obama, ogni distinzione tra il governo teocratico e autoritario, che impicca gli omosessuali e rinchiude i dissidenti, e il nobile popolo iraniano che ha dato molte volte segno di volersi ribellare. Obama, dunque, ha avuto un sostanziale “no”, ma non lo accetterà come risposta. Per esempio, Hillary Clinton terrà probabilmente duro nel suo invito all'Iran alla conferenza per l'Afghanistan: evidentemente non turba Obama il fatto di scontentare gravemente tutti i Paesi moderati arabi su cui fino ad oggi gli Usa avevano puntato le speranze per un Medio Oriente equilibrato. Infatti, chiamare Ahmadinejad al desco internazionale è azione che dispiace assai agli egiziani, ai sauditi, ai libanesi e ai palestinesi moderati, e tutti quanti hanno invitato più volte Ahmadinejad a starsene fuori dal campo di Gaza, del Libano e perfino dal Bahrein, che l'Iran rivendica come suo. La profferta di pace obamiana, seguita dall'affettato “no” di Khameni, esalta alle stelle l'integralismo islamico militante, anche perché tutti gli amici e i familiari dell'Iran seguitano a ricevere segni di incoraggiamento, mentre le prime pagine dei giornali occidentali applaudono. Nella generale amnistia ideologica in corso, infatti, Assad gioisce perché il processo per l'omicidio del leader libanese Rafik Hariri, di cui erano accusate le massime gerarchie siriane, legate all'Iran da sempre, verrà certo edulcorato contro la falsa promessa di Assad stesso di aprirsi a un processo di pace con Israele. E mentre l'Aiea individua sul terreno siriano i resti di una struttura atomica, e si definisce chiaramente l'assistenza iraniana al progetto, si mandano due inviati americani a Damasco; inoltre, l'Inghilterra ha fatto in questi giorni profferte agli Hezbollah, longa  manus iraniana e siriana, mentre Nasrallah di nuovo promette la distruzione di Israele insieme alla sua vittoria nelle prossime elezioni di giugno in Libano; Hamas, legata come è agli iraniani, rifiuta l'accordo con Fatah e chiama Abu Mazen traditore solo che accenni a un accordo con Israele, sicura che tanto l'Iran le darà conforto anche economico. La strategia americana di questo momento, dunque, umilia i moderati perché esalta gli estremisti. E soprattutto mette Israele in una condizione di incertezza vitale così seria da poterlo spingere a un gesto estremo. E una strategia saggia? A noi pare alquanto avventurista, anche perché ogni giorno di salamelecchi occidentali viene usato dagli ayatollah per costruire la bomba e tessere una frenetica tela diplomatica per la vittoria dell'islam. L'apertura americana può creare un'ondata di trionfalismo islamico in tutto il mondo: Obama adesso farebbe bene a trovare il modo di smorzarlo.

Fiamma Nirenstein, Il Giornale, 22 marzo 2009



Vilna, tracce di una vita cancellata


Foto_Gruber
(tutti i diritti riservati, copyright Ruth Ellen Gruber)

I muri di una città sono palinsesti urbani. Caminando per un centro storico, si può capire la storia leggendo l'architettura, e specialmente leggendo i cambiamenti eseguiti, strato sopra strato, attraverso i secoli. Gli archi di un portico che sono stati chiusi con dei mattoni, per esempio. O vecchie porte bloccate e nuove finestre aperte in muri antichi… A Vilnius si trova un esempio che colpisce in un modo diverso e anche emozionante. Segni pallidi, in polacco e yiddish, che risalgono al periodo fra le due guerre mondiali. Come fantasmi di un passato sia vicino che remoto, parlano di una rivendita (che era forse nel cortile) dove si comprava cherosene e sale, di qualità superiore.

Ruth Ellen Gruber




Angelica Bertellini Articolo 3 contro le discriminazioni
"Stiamo raccogliendo i frutti del nostro lavoro"


Dopo la presentazione del lavoro dei primi mesi di Articolo 3, tenuta il 29 gennaio in occasione degli incontri per la celebrazione del Giorno della Memoria, ci ritroviamo a raccogliere i frutti. Il nostro atto costitutivo, siglato due giorni fa, dice: "L’associazione persegue lo scopo di legare la memoria e la storia delle discriminazioni e delle persecuzioni volute dal nazismo e dal fascismo al funzionamento di un Osservatorio che consenta di dare il necessario valore al monito di Primo Levi: «A molti individui o popoli può accadere di ritenere, più o meno consapevolmente, che “ogni straniero è nemico”. Per lo più questa convinzione giace in fondo agli animi come un’infezione latente. […] La storia dei campi di distruzione dovrebbe venire intesa da tutti come un sinistro segnale di pericolo»". Ecco perché siamo soddisfatti della nostra agenda, questa settimana fitta di impegni nelle scuole. Le insegnanti che periodicamente incontriamo per lavorare con la rassegna stampa, con i laboratori di discussione e con le associazioni (in queste settimane in particolare "Libera contro le mafie") sono rimaste colpite da quanto è emerso in quella giornata e ci hanno chiesto di intervenire nelle classi. Si tratta di lezioni che fanno parte del cosiddetto "potenziamento", ma non solo: le studentesse e gli studenti chiedono di noi nelle loro assemblee d'istituto. Bene. Alcuni e alcune di noi, inoltre, lavorano per e con i 'viaggi della memoria' portando uno sguardo nuovo, sia nella preparazione prima della partenza, sia nella verifica di ciò che torna da quei viaggi. Siamo donne e uomini che si occupano di storia, di diritto, di tutela delle minoranze: siamo persone che possono utilizzare, ognuna e ognuno nel proprio settore, gli occhi dell'Osservatorio. E che possono e vogliono restituire, arricchite, ad esso le "traiettorie di sguardi" prese a prestito nel parlare di memoria e di attualità, per dare il necessario valore a quel monito.

Angelica Bertellini, Osservatorio Articolo 3 - Mantova 
 
 
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  Donatella Di CesareL'osservanza dello Shabbat
"raccogliersi per liberare spazio"

Una delle maggiori difficoltà che ostacolano l’osservanza dello Shabbat è quella di interrompere il lavoro. Perché Shabbat è anzitutto cesura, interruzione. La difficoltà è acuita nella nostra epoca dove il creare è ridotto sempre più al produrre, a quel fare sfrenato che sembra travolgere tutti in una vertigine senza fine.

Eppure interrompere, per ritirarsi e per non-fare, può essere il preludio per una nuova, più profonda creatività. Non necessariamente creare è produrre, e spesso quel fare illimitato, quel continuo affaccendarsi e industriarsi, che spesso per noi è diventato la norma, può risolversi in un nulla.

Nella narrazione qabbalistica la creazione è descritta come un ritrarsi del Creatore per dar luogo al creato. Questo gesto dello tzim-tzum è una concentrazione e una contrazione, un ritiro e un esilio. E se si dovesse ripensare anche la creatività umana secondo questo suggerimento. Se creare fosse anzitutto un ritrarsi concentrato? Un raccogliersi per liberare spazio? Se questo ritrarsi liberatorio lasciasse emergere ciò che non è costruito né costruibile, il dono imprevisto di quel che deve avvenire?

Donatella Di Cesare, filosofa  
 
 
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In Israele non ci sono notizie sulle trattative per la costituzione del nuovo governo né su quelle per la liberazione di Shalit (a.s. su Repubblica) e la tregua formale con Hamas. In cambio ci sono i segni di un possibile nuovo inizio di un’ondata terrorista. Dopo il nuovo attentato con un bulldozer a Gerusalemme di qualche giorno fa, ieri è stata scoperta nell’affollato parcheggio di un centro commerciale di Haifa un’autobomba, con un centinaio di chilogrammi di esplosivo (“come dieci attentatori suicidi”) L’attentato è stato sventato perché una donna si è accorta dell’esplosione di una piccola parte del carico e ha avvertito la polizia (notizie su La Stampa e Il Tempo). Inizia a smontarsi la montatura dei soldati israeliani che avrebbero commesso atrocità a Gaza. Maariv ha anticipato che le inchieste hanno accertato che gli episodi più gravi (come l’uccisione della donna anziana che avrebbe sbagliato direzione dopo essere stata rilasciata) non sono mai avvenuti. I giornali italiani non ne parlano, salvo Umberto de Giovannangeli sull’Unità che cerca di rilanciare la storia raccontando tutt’altre vicende condannabili ma certo non qualificabili come atrocità (per esempio una maglietta con slogan che incitano ad ammazzare gli arabi indossata da un civile adesso, non in guerra, e fotografata dal solito Haaretz). Da notare l’articolo dello scrittore israeliano Amir Guttfreund su Le Monde, di solito tutt’altro che tenero con Israele: una chiara spiegazione degli errori di comportamento dell’Europa rispetto alla questione mediorientale.
Continua l’indignazione (si veda la notizia siglata V. Pic sul Corriere, ma soprattutto il fondo di Panebianco sempre sul Corriere) per l’esclusione di Israele dai giochi di Pescara. Secondo un’intervista di Piccolillo sul Corriere il ministro Frattini avrebbe proposto come gesto simbolico compensativo una conferenza stampa da tenere in contemporanea all’inaugurazione dei giochi in cui un israeliano e un palestinese dovrebbero dichiarare la loro disponibilità a partecipare ai prossimi; ma a parte che in questa storia la posizione di Israele e dei palestinesi non è simmetrica, è chiaro che la disponibilità c’è: è il boicottaggio che va sconfitto, non la disponibilità che va accertata.
Vi ricordate i terroristi asserragliati nella basilica della Natività di Betlemme nel 2002, quelli che pretendevano di essere innocui palestinesi perseguitati da Israele ma erano un pericoloso commando terrorista che aveva portato le armi nel luogo sacro?  L’assedio finì con il compromesso di esiliarli in Europa per qualche anno. Tre finirono in Italia, pericolosi e colpevoli di spaventosi attentati, ma custoditi in maniera rigorosamente segreta dal nostro Stato. Ora il tempo concordato è finito da tempo, i soldi anche e i terroristi hanno avuto lo sfratto. Ma evidentemente si sono abituati agli ozi italiani e non hanno voglia di correre più rischi per cui come il giovane dirottatore della nave Costa condannato per l’assassinio del disabile ebreo Klinghoffer, chiedono di continuare a essere protetti dall’Italia, perché si sentono “perseguitati dal Mossad” che potrebbe cercare di catturarli per processarli – badate, non eliminarli, ma processarli. E’ un diritto all’impunità che chiedono i tre assassini in vacanza. La storia è raccontata da Alberto Custodero su Repubblica.
Passa il tempo e anche gli ultimi testimoni della Shoà pian piano se ne vanno. E’ mancata nei giorni scorsi la signora Marisa di Porto z”l, persona straordinaria e  molto amata e popolare della Comunità romana. Della sua esperienza e del cordoglio che ha lasciato parlano Il Messaggero, Michela Giachetta sul Dnews  e l’edizione romana del Corriere. Ci associamo al dolore dei parenti.

Ugo Volli 

 
 
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notizieflash    
 
 
I Giochi del Mediterraneo e la proposta del ministro Frattini          
Roma, 23 mar -
Il ministro degli Esteri Franco Frattini ha in mente un piano che porrà fine all'esclusione dai Giochi del Mediterraneo per atleti israeliani e palestinesi una volta per tutte. Durante la cerimonia inaugurale dei Giochi, il ministro prevede l'organizzazione di un incontro pubblico, nel quale il presidente del Comitato olimpico israeliano e quello del Comitato olimpico palestinese "si dicano pronti a partecipare assieme alla prossima edizione", spiega Frattini. Occorre, secondo il titolare della Farnesina, "trovare una soluzione che venga dalla base, dagli atleti e dalle federazioni che dicano: siamo pronti a competere sul terreno sportivo invece che con le mitragliatrici". Il risultato dell'iniziativa sarà positivo, secondo Frattini che aggiunge "di fronte alle due delegazioni sportive che si presentano assieme - dice il ministro che oggi incontrerà il commissario straordinario per i Giochi - metteremo con le spalle al muro la politica dei veti incrociati". Il ministro Frattini auspica che presto la Palestina diventi uno Stato e ritiene che “Israele abbia oramai compreso che non ci sarà sicurezza senza uno Stato palestinese indipendente”.

Nuovo governo israeliano,
colloqui Likud-laburisti
Tel Aviv, 23 mar -
Previsto stamane un incontro fra esponenti del Likud e del partito laburista per gettare le basi di un governo allargato, guidato da  Benyamin Netanyahu con il sostegno dei partiti confessionali e di destra. "Vogliamo ricevere dal Likud un impegno per la prosecuzione del processo di pace e concordare una politica economica che consenta di fronteggiare la crisi" questo il commento del ministro laburista Shalom Simhon, rilasciato alla stampa in occasione dell'incontro. Il leader laburista Ehud Barak (che aspira ad essere confermato ministro della Difesa) ha convocato per domani i vertici del partito per votare l'ingresso nel governo Netanyahu. Secondo gli analisti le lacerazioni interne sono talmente profonde che il partito rischia una spaccatura. Ehud Olmert (Kadima) ha fortemente criticato l'intenzione di  Barack di entrare in un governo comunque caratterizzato da una linea politica di destra, e avverte “questo governo  rischia di provocare l'isolamento internazionale di Israele” e “la Storia non lo perdonerà".
 
 
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