se non visualizzi correttamente questo messaggio, fai  click qui  
 
  logo  
L'Unione informa
 
    20 marzo 2009 - 24 Adar 5769  
alef/tav   davar   pilpul   rassegna stampa   notizieflash  
 
Moked - il portale dell´ebraismo italiano
alef/tav    
  Roberto Della Rocca Roberto
Della Rocca,
rabbino
Nella Parashah di Va-jakhel, che leggiamo domani, ci viene raccontato che quando i nostri padri nel deserto erano occupati con entusiasmo nell'edificazione del Santuario e cercando disperatamente di recuperare il tempo perduto per il conseguimento di questo grande progetto, Moshè ritiene necessario ricordare agli ebrei l'osservanza dello Shabbat, prima ancora di parlare loro della costruzione del Santuario. E' noto che le attività proibite durante lo Shabbat sono quelle stesse che sono state necessarie per la costruzione del Santuario. La sospensione di ogni attività durante lo Shabbat serve ad insegnarci, che nell'etica ebraica il fine non giustifica i mezzi, mai, e che persino nell'edificazione del Santuario, la Comunità non deve perdere il senso della propria direzione lasciandosi sopraffare dall'impeto di costruire. Lo Shabbat è la pausa momentanea per ascoltare la nostra voce interiore, un'interruzione, per chiederci chi siamo e dove stiamo andando, nel timore che l'agitazione non ci faccia dimenticare i valori che giustificano l'esistenza stessa di una Comunità ebraica. 
C'è qualcosa di gioioso nel canto del gallo che annunicia l'alba. Per questo merita la precedenza nelle benedizioni del mattino.  Vittorio Dan
Segre,

pensionato
Vittorio Dan Segre  
  torna su
davar    
 
  giulio disegniLeggi razziste, persecuzioni, risarcimenti
Fra rimozione e diritto il lavoro della commissione


Quando otto anni fa ha accettato s'immaginava un incarico facile, ai limiti della mera rappresentanza. Gli è bastata una sola riunione per ricredersi. E rendersi conto che quell'incarico per conto dell'Ucei nella Commissione perseguitati politici e razziali segnalava uno snodo cruciale per l'ebraismo e per la stessa società italiana, al bivio tra la parola del diritto e l'atroce silenzio della rimozione.
Così Giulio Disegni (nell'immagine), avvocato torinese, appassionato di storia e cultura ebraica (tra i suoi libri Ebraismo e libertà religiosa in Italia e Fuori dal ghetto, il 1848 degli ebrei), ha deciso di restare. E di portare avanti la battaglia perché i perseguitati razziali vedano riconosciuti appieno il diritto a quell'assegno vitalizio di benemerenza sancito dalla legge Terracini del 1955. Al di là delle ritrosie, delle diffidenze e del sostanziale disinteresse che hanno contrassegnato i primi decenni della sua applicazione.
Oggi l'avvocato Disegni ha la soddisfazione di misurare un percorso quasi compiuto. “Adesso – dice – il clima è piuttosto favorevole. Chi fa domanda e documenta o direttamente o attraverso un atto notorio con due testimoni, riesce a ottenere l'assegno anche se durante la persecuzione razziale era un bambino, condizione che fino a poco tempo veniva invece considerata un impedimento. A questo punto la questione dei risarcimenti si avvia all'esaurimento: gran parte degli ebrei che hanno fatto domanda ha ottenuto risposta dallo Stato. Molte altre domande sono ancora comunque in attesa”.
Avvocato Disegni, quanti sono gli ebrei che finora hanno avuto l'assegno di benemerenza?
Sono, credo, circa duemilacinquecento-tremila persone che con memorie, certificati o foto hanno documentato le persecuzioni patite negli anni del fascismo. E' un patrimonio di storie che oggi riposa nei faldoni del ministero delle Finanze ma un domani è destinato a divenire materiale prezioso per raccontare gli anni delll'esclusione e della violenza antiebraica in Italia.
Come sono stati questi anni visti dall'interno della Commissione perseguitati razziali?
Nei primi anni l'atmosfera era pesante. Moltissime domande venivano respinte con diverse motivazioni. Non credo però che gli atteggiamenti negativi fossero dettati da un'ostilità preconcetta o da un'antipatia per il problema. Era piuttosto la difficoltà a capire che le leggi razziali avevano significato l'espulsione di una parte della società italiana. Mancava un'informazione corretta su quel che erano state le persecuzioni in Italia. Poi dal 2003 la situazione è cambiata, anche grazie a numerosi interventi delle Corti dei conti regionali e soprattutto delle sezioni unite della Corte. E per la conoscenza di quegli anni un contributo molto importante è arrivato dal Giorno della Memoria che ha consentito una sensibilizzazione più diffusa su queste tematiche.
Che ruolo hanno avuto nella vicenda dei risarcimenti le istituzioni ebraiche?
Forse nei primi decenni da quando la legge è stata emanata l'hanno un po' dimenticata. Vi era stato un certo disinteresse, motivato anche dal fatto che a quel tempo vi erano ben altre urgenze su cui concentrarsi. Va anche detto che da principio la Commissione, nominata dalla Presidenza del Consiglio, includeva un rappresentante per ciascuno dei ministeri chiave, uno dell'Aned e dell'Anpi ma non menzionava alcuna partecipazione ebraica. Solo nell'86, a seguito di un ricorso alla Corte costituzionale, si è stabilito che per il corretto svolgimento dei lavori era necessaria una rappresentanza anche degli ebrei italiani.
E a questo punto entra in gioco l'Unione delle Comunità Ebraiche.
L'Ucei nomina l'avvocato Dino Voghera, di Milano, che rimane però in carica pochi anni. Poi c'è un periodo di vuoto. Fino alla mia nomina alla fine del 2001 su indicazione di Amos Luzzatto, allora presidente Ucei.
Perchè la scelta di un avvocato?
Non è una competenza necessaria per entrare a far parte della Commissione. Ma a mio avviso è forse la più adeguata a capire una materia tutto sommato complicata. Ciò che invece serve molto è una certa conoscenza della storia e del mondo ebraico e soprattutto della legislazione razziale e delle vicende subite dagli ebrei italiani in conseguenza di tale normativa.
Nei primi anni gli assegni di benemerenza sono stati molto pochi. Una realtà motivata solo dall'atteggiamento della Commissione?
Allora la possibilità di ottenere l'assegno era molto poco pubblicizzata e dunque non tutti gli ebrei italiani erano al corrente di questa possibilità. Tra gli anni Sessanta e i Settanta si tendeva piuttosto a richiedere la qualifica di perseguitato razziale, per cui bastava essere iscritti a una Comunità ebraica, essere nati entro il 1940 o avere un certificato fascista di razza ebraica. Era un titolo che consentiva piccoli sconti sul ticket o sulle ferrovie e dava diritto ad alcuni benefici pensionistici. Se a ciò si aggiunge il fatto che l'atmosfera all'interno della stessa Commissione non era delle migliori si capisce perchè gli assegni di benemerenza stentavano ad arrivare. Tra il '55 e l'80 gli ebrei che hanno  avuto il vitalizio si contano sulle dita di una mano. Tra l'80 e il 2000 saranno stati forse al massimo una cinquantina.
Il problema risiedeva nella legge istitutiva, la legge 96 del 1955 più nota come legge Terracini dal nome del firmatario, o nelle sue interpretazioni?
La legge era nata in prima istanza per i perseguitati politici e solo in seconda battuta erano stati aggiunti i perseguitati razziali. La sua stessa formulazione in certo modo poteva rendere difficoltoso riconoscere il diritto di questi ultimi. Molte volte, per negare il vitalizio, si adduceva ad esempio il fatto che la persona non aveva svolto alcuna attività politica contro il fascismo o non aveva subito atti di violenza fisica in prima persona. Prevaleva negli uffici la tendenza a  interpretare la legge in modo molto restrittivo non riconoscendo come davvero grave la persecuzione razziale: si stentava ad esempio a inquadrare come tale l'espulsione dalle scuole o dai posti di lavoro. A quel punto sono iniziati i ricorsi dei singoli al Ministero delle finanze e alla Corte dei conti. Ed è stata quest'ultima a dare un buon impulso all'applicazione della legge.
In che modo?
Una pronuncia del '98 stabiliva che nella violenza subita dai perseguitati razziali andava considerata anche la violenza morale espressa in atti o comportamenti lesivi di valori costituzionalmente protetti. Nel 2003 una seconda pronuncia sanciva che le misure concrete d'attuazione della normativa antiebraica erano idonee a concretizzare una specifica azione lesiva da parte dello Stato. Era la risposta al caso di una signora ebrea di Bologna, che aveva documentato la sua esclusione dalle scuole pubbliche e sulla base di questo provvedimento aveva chiesto l'assegno di benemerenza. Quest'ultima decisione è stata molto importante, perché ha aperto la strada all'accoglimento successivo di centinaia di domande di ebrei italiani.
In quegli stessi anni il problema arriva all'attenzione dell'opinione pubblica: vi sono interrogazioni, proteste, segnalazioni di richieste negate da parte degli stessi ex perseguitati.
E' il periodo della svolta. Nell'estate del 2005 la stessa Presidenza del Consiglio istituisce una Commissione di Studio per capire cosa osta al rilascio degli assegni di benemerenza e per sveltire le procedure. In quest'occasione si risolve un altro grave problema che riguarda la datazione delle persecuzioni. La legge prendeva in considerazione un arco temporale fra il '38 e il settembre '43, venendo così a escludere il periodo più drammatico della persecuzione antiebraica. Lo Stato italiano, questa era la tesi, non poteva sopperire a quanto operato dalla Repubblica di Salò. Nel 2005 si apre anche alle persecuzioni successive all'8 settembre del '43 includendo una serie di situazioni quali la fuga, la necessità di nascondersi o di lasciare la propria casa, l'emigrazione forzata.
E chi allora era bambino? Ha diritto al vitalizio?
Attualmente ha diritto chi è nato entro il '43. Anche se spesso in Commissione si discute sull'opportunità di accordarlo a chi era piccolissimo. In che modo può aver sofferto un bimbo di pochi mesi? A quell'età si capisce pochissimo, sento spesso ripetere. E lo si è detto di recente anche a proposito dei bambini ebrei romani nascosti da piccoli nei conventi. Dal mio punto di vista la sofferenza, anche in età molto tenera, è però innegabile. Se non altro per i riflessi che ha sullo sviluppo evolutivo. In ogni caso credo abbia diritto anche chi è nato nel '44 visto che le leggi razziali erano ancora in vigore e per questo mi sto battendo. In realtà per ottenere un buon risultato si dovrebbe riformulare la legge e penso che questo non avverrà.
Perché non è pensabile un aggiornamento della legge Terracini?
Ormai stiamo andando quasi a esaurimento. La Commissione si riunisce una volta al mese ed esamina circa una settantina di pratiche a volta. Ancora un paio d'anni e quanti hanno ancora  diritto ad avere l'assegno di benemerenza lo otterranno.
Cosa consiglia a chi non ha ancora fatto domanda per l'assegno di benemerenza?
Le domande sono ancora aperte. Chi pensa di avere diritto può dunque avviare la sua pratica. Tengo ad aggiungere che anche gli ebrei italiani perseguitati dal regime e ora residenti all’estero, in Israele o in Sud America hanno diritto all’assegno di benemerenza, così come gli ebrei residenti a Tripoli, poiché in Libia erano in vigore le leggi razziali. Il suggerimento è di non dare nulla per scontato: ogni fatto o circostanza deve essere documentato nel dettaglio con date, nomi, certificati o tramite la testimonianza di almeno due persone tradotta in un atto notorio davanti ad un notaio o presso l’ufficio atti notori del Tribunale di residenza. In questi anni abbiamo avuto modo di vedere tante domande forse scritte ingenuamente, basate solo sul ricordo del singolo, che davano tanto per scontato. E questo purtroppo non è sufficiente. Per avere un sostegno è inoltre consigliabile rivolgersi alla propria Comunità ebraica o all'Ucei dove è attivo un ufficio che si occupa di queste questioni.

Daniela Gross
 
 
  torna su
pilpul    
 
  Giorgio IsraelIl caso Williamson e la lettera di Benedetto XVI,
una riflessione sulle nostre reazioni


La lettera di Benedetto XVI a proposito del caso Williamson è un documento di portata eccezionale e di natura inedita, soprattutto perché esprime senza reticenze e diplomazie il pensiero del Papa. Naturalmente sulle questioni specifiche ognuno può giudicare quelle parole come vuole ma, per quanto riguarda i rapporti ebraico-cristiani, appare indiscutibile che avevano ragione quegli autorevoli rabbini che dissero che le intenzioni del Papa era "pure" e del tutto positive. Nel nostro piccolo, alcuni di noi - come il sottoscritto e  Guido Guastalla - sostennero in varie occasioni che così stavano le cose e incitarono con toni pacati a non interrompere il dialogo. Taluno ha ritenuto invece di emettere sentenze, come quella secondo cui erano stati gettati alle ortiche quaranta anni di dialogo, la cui infondatezza e il cui estremismo appaiono oggi in tutta la loro evidenza. Altri hanno ritenuto di appiopparci una scarica di legnate polemiche e un mezzo herem condito di espressioni volgari del genere «stai zitto tu che io soltanto ho il diritto di parlare». Come se non bastasse, quando abbiamo chiesto parole di chiarezza sul caso Williamson (che, come si è visto, sono pienamente arrivate), l'eccesso di zelo di alcuni integralisti cattolici ci ha riservato una scarica di legnate simmetrica all'insegna di: «non permettetevi di toccare il Papa». Oggi, se circolasse ancora una dose minima di decenza, diverse persone dovrebbero chiedere scusa e tacere per un po'. Per ora di scusa ne è arrivata una. Molto poco. Confidiamo almeno nel silenzio.

Giorgio Israel, storico della scienza
 
 
  torna su
rassegna stampa    
 
 
leggi la rassegna
 
 

Ci ha accompagnato in questi mesi, divenendo uno dei filoni di fondo delle discussioni correnti nella carta stampata. Ci riferiamo al pontificato di Benedetto XVI che, per le sue ripetute prese di posizione, è stato fatto più volte oggetto di giudizi molto articolati non meno che di critiche. Da ultima la vicenda, coeva al viaggio papale in Africa, delle dichiarazioni sull’uso del profilattico. Oggi, sulle pagine de l’Espresso, Sandro Magister ne fa un ritratto a tutto tondo, formulando una serie di valutazioni interessanti e nel medesimo tempo nette. L’articolo prosegue una serie di analisi che un po’ tutta la stampa italiana da tempo va facendo sulle scelte di Ratzinger. Non è da meno Filippo Gentiloni per il Manifesto, dove il giudizio politico si fa particolarmente severo, volendo vedere nell’azione di questo pontefice il dispiegarsi di una vera e propria volontà controriformista, intesa a dismettere o comunque ad attenuare lo spirito conciliare emerso quarantacinque anni fa, nel nome di un sodalizio culturale con i poteri più o meno “forti” del nostro pianeta. Si tratta, nell’uno come nell’altro caso, di analisi molto orientate sul piano delle sensibilità politiche ma esprimono chiaramente il disagio che una parte della sinistra, proprio a partire da quella cristiana e segnatamente cattolica, prova nei confronti di un Papa del quale non riesce a condivide non solo il magistero, reputato come improntato a un conservatorismo anacronistico, ma anche la medesima figura umana, letta come antitetica a quella del suo predecessore. Se Giovanni Paolo II, che pur non era un campione di “progressismo”, aveva informato tutta la sua azione a un ecumenismo aperto e dialogante, Ratzinger sempre più va definendosi come un uomo solo sul ponte di comando, il capitano di una nave che ricorre assai poco al suo equipaggio confidando, semmai, sui consigli dei pochi fidati. In questo alcuni hanno voluto leggere una sorta di sordità ai tempi. Secondo l’interpretazione più tradizionale si tratterebbe di un Papa volto all’indietro, più reazionario che non conservatore, dedito a una idea di Chiesa chiusa in sé. Secondo altri, sempre però nell’ampio novero dei suoi critici, saremmo in presenza di un leader religioso incapace di comunicare ai fedeli della sua comunità, prima ancora che al mondo intero, il senso di un cammino, le mete di un indirizzo. Di segno completamente opposto, invece, le considerazioni di Gianni Baget Bozzo su Panorama, laddove egli riprende gli effetti della lettera indirizzata ai vescovi più di una settimana fa circa, mettendo in rilievo quello che a suo dire è la coraggiosa manifestazione di un carisma pietrino, che fa della bimillenaria continuità liturgica il nocciolo dell’azione della Chiesa. Il richiamo forte alla tradizione sarebbe il centro dell’operare di Ratzinger, ritenuto coraggioso non perché fuori dai tempi bensì perché capace di andare oltre i tempi correnti, per mantenere e rinnovare legami di antichissima radice. Tra le due letture, quella critica della sinistra e quella apologetica di chi si richiama, a vario titolo, al tradizionalismo, c’è uno iato incolmabile. Nel primo caso le contestazioni hanno una dura matrice di ordine politico, leggendo nella Chiesa un organismo che interagisce con il vasto sistema dei poteri secolari; nel secondo, invece, l’approccio è dichiaratamente metafisico, individuando nella sua funzione di messaggera del messaggio messianico la sua vera ragion d’essere. Per i primi gli interventi papali traducono in gesti una politica di “ordine” che intende sopprimere ogni dialettica interna, nel nome del ritorno ad una gerarchia fondata sul duro ricorso alla voce del pontefice come fonte esclusiva della legittimazione cristiana. I discorsi del Papa sarebbero quindi funzionali  a una logica quietistica, dove la Chiesa si fa latrice non di un messaggio di liberazione bensì di accettazione delle cose date, dei disequilibri del mondo. Per i secondi, invece, Ratzinger incarna la radice più pura, dal punto di vista teologico, di una ripristinata centralità del messaggio evangelico, laddove la vera liberazione è solo quella che si dà nell’aldilà. Due prospettive di giudizio inconciliabili, come già si è detto, poiché non solo giocate sull’asse sinistra-destra ma ancor più poiché legate ad approcci antitetici dal punto di vista culturale. Per un leader oggetto di molti giudizi ce ne è un altro, sia pure di diversa caratura, che sembra essersi aperto ad una nuova stagione. Stiamo parlando di Gianfranco Fini del quale Fabio Martini fa un ampio ritratto su la Stampa. I mutamenti ai quali ha abituato non solo i suoi elettori, l’assunzione nel corso degli anni di posizioni sempre più liberali, il tentativo di traghettamento di Alleanza nazionale dalle sponde della vecchia destra di matrice missina in una formazione nuova, nel senso di inedita, ora destinata ad essere associata al Partito delle Libertà (si veda al riguardo l’articolo di Fabrizio Rizzi su il Messaggero) segnano i mutamenti profondi che hanno permesso ad una formazione politica depositaria di antiche marginalità, quelle neofasciste, di “uscire dal ghetto” divenendo riconosciuta forza di governo. La leadership di Fini ha dato molto in tal senso e, con tutta probabilità, ancora segnerà l’evoluzione del centro-destra italiano.
Sulle difficili ancorché perduranti manovre per la formazione di un governo in Israele si sofferma invece Massimo Fazzi su Liberal. Con tutta probabilità, spirato il mese di consultazioni a disposizione del Premier incaricato Benjamin Netanyahu, si andrà a una proroga poiché la composizione della maggioranza si sta rivelando oltremodo impervia. Uno dei nodi da sciogliere è l’ingresso dei laburisti, caldeggiato dal leader del Likud, in funzione del riequilibrio rispetto ad una coalizione che altrimenti si troverebbe tutta baricentrata a destra. Netanyahu teme, e non a torto, che se Avodà dovesse dire di no il governo che andrebbe a varare avrebbe una navigazione difficile e forse anche una vita breve, dovendo scontare le perplessità americane e l’isolamento arabo, oltre ai tanti problemi interni che lo attendono. La grave crisi economica è uno di questi. Tzipi Livni, che si è sottratta a qualsiasi invito attende di vedere il suo antagonista macerare sotto le contraddizioni di una maggioranza potenzialmente rissosa e ingovernabile. Sul versante laburista se Ehud Barak è dell’avviso di accettare, dando spazio - in ciò facendo - all’ambizione personale di tornare ad occupare un dicastero chiave come quello della difesa, altri invece temono la totale implosione politica alla quale quel che resta del vecchio, glorioso partito rischierebbe di essere sottoposta, sussunto come sarebbe dentro logiche e dinamiche tutte gestite dalla destra e magari chiamato a fare da sponda a decisioni non condivisibili per gli elettori della sinistra storica.
Da ultimo, la coscienza di Israele, sia pure solo per qualche breve cenno. Campeggiano di nuovo  sui giornali gli articoli che raccontano delle violenze consumatesi nei giorni di guerra a Gaza. In particolare segnaliamo Aldo Baquis su la Stampa, Alberto Stabile su la Repubblica, Eric Salerno su il Messaggero, Viviana Mazza su il Corriere della sera e Avvenire. I nostri quotidiani riprendono le notizie pubblicate su Haaretz e su altri organi di stampa locali che hanno raccolto le testimonianze di alcuni soldati, impegnati nell’operazione «piombo fuso», secondo i quali ci sarebbero stati episodi di deliberata e gratuita violenza contro i civili, ovvero del tutto estranei alle occorrenze militari. Le autorità militari hanno aperto una inchiesta al riguardo. Ne attendiamo gli sviluppi, quindi. Va da sé che ci sia poco da rallegrarsi nel caso in cui queste accuse dovessero essere comprovate. Rimane però il fatto che una democrazia moderna si misura non sull’assenza di devianze, anche gravi, ma sulla capacità di riconoscerle e di sanzionarle debitamente. Lo diciamo non a titolo di consolazione ma come riscontro di principio. Il resto è polemica fine a sé. Già temiamo di coglierne gli echi rinnovati.

Claudio Vercelli 

 
 
  torna su
notizieflash    
 
 
Frattini d'accordo con il video di Obama,                                          
“il dialogo con l'Iran è importante ma con dei limiti”
Bruxelles, 20 mar -
Il ministro degli Esteri Franco Frattini elogia il presidente americano Barack Obama: “con il suo messaggio-video all'Iran dimostra una grande leadership e coglie un punto concreto, senza l'Iran è difficile stabilizzare la regione”. Il titolare della Farnesina, conversando con i giornalisti a margine del Consiglio europeo di Bruxelles, ha ricordato che l'Italia da tempo ha auspicato e avviato un'intensificazione dei contatti con le autorità iraniane, invitando anche Teheran alla Conferenza sull'Afghanistan in programma a Trieste, a fine maggio, nell'ambito della riunione dei ministri degli Esteri del G8 (di cui l'Italia detiene la presidenza annuale). Frattini ha però precisato l'importante distinzione che deve essere fatta fra il dossier AfPac e il dossier sul nucleare e le accuse iraniane ad Israele. Su quest'ultimo punto le posizioni sono "inconciliabili"- ha affermato - “ma sull'Afghanistan ci sono, tra comunità internazionale e Iran, punti in comune come il contrasto al traffico della droga, al potere dei taleban e sulla ricostruzione civile delle aree di confine”. “Ci sono interessi convergenti" e la strada intrapresa da Obama "trova l'Italia da sempre convinta". "Se non coinvolgiamo tutti i vicini non potremo vincere questa sfida in Afghanistan", ha concluso Frattini.


Nuovo anno iraniano, gli auguri di Peres in lingua farsi
Gerusalemme, 20 mar -
Shimon Peres, capo dello Stato israeliano, ha registrato un messaggio di auguri in ebraico e in farsi per il nuovo anno iraniano. Il messaggio è stato divulgato dai programmi in lingua farsi di radio Gerusalemme. Ai suoi ascoltatori in Iran Peres ha voluto ricordare i tempi andati in cui il loro Paese intratteneva relazioni cordiali con Israele e ha auspicato che l'amicizia passata possa essere ristabilita quando a Teheran uscirà di scena il regime attuale.


Teheran a Washington: “da Mossadeq al sostegno a Israele, ecco i vostri errori”
Teheran, 20 mar -
Ali Akbar Javanfekr, consigliere per i media del presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad, ha spiegato quali sono gli errori del passato che gli Usa devono riconoscere se vogliono risolvere i problemi fra Washington e Teheran. Il golpe contro il governo di Mohammad Mossadeq (nel 1953), il sostegno a Israele, l'appoggio a Saddam Hussein durante la guerra Iraq-Iran (1980-88), "le sanzioni economiche contro Teheran", il supporto agli "ipocriti" (ovvero i mujaheddin del popolo iraniani) sono fra i principali. E avverte “se gli Stati Uniti continueranno nel loro cieco sostegno al regime usurpatore di Israele, a commettere le sue azioni violente, tra cui l'arresto di musulmani o il sostegno ai gruppi terroristi nel mondo, i problemi fra noi non si risolveranno mai".


Israele: Netanyahu, richiesta proroga
per la formazione del nuovo governo 
Gerusalemme, 20 mar -
Benyamin Netanyahu, premier designato, ha chiesto una proroga di due settimane al capo dello Stato Shimon Peres per formare il nuovo governo. Netanyahu ha già ottenuto il sostegno di diversi partiti confessionali e di destra, attende ora di conoscere la decisione del partito laburista a cui ha offerto di entrare al governo, dove riceverebbe il ministero della Difesa ed alcuni dicasteri di carattere economico. La riunione dei vertici laburisti avrà luogo martedì e secondo la stampa il partito di Ehud Barak rischia una spaccatura.
 
 
    torna su
 
L'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche.
Gli articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili.
Gli utenti che fossero interessati a partecipare alla sperimentazione offrendo un proprio contributo, possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it per concordare le modalità di intervento.
Il servizio Notizieflash è realizzato dall'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane in collaborazione con la Comunità Ebraica di Trieste, in redazione Daniela Gross.
Avete ricevuto questo messaggio perché avete trasmesso a Ucei l'autorizzazione a comunicare con voi. Se non desiderate ricevere ulteriori comunicazioni o se volete comunicare un nuovo indirizzo e-mail, scrivete a: desk@ucei.it indicando nell'oggetto del messaggio “cancella” o “modifica”.