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    28 gennaio 2009 - 3 Shevat 5769  
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Moked - il portale dell´ebraismo italiano
alef/tav    
  Alfonso Arbib Alfonso
Arbib,

rabbino capo
di Milano
Il midràsh racconta che il faraone, prima di iniziare la persecuzione antiebraica consultò tre saggi: Iyòv, Bilàm e Yitrò. Bilàm sostenne con entusiasmo le idee del faraone. Yitrò fuggì esprimendo in questo modo la sua opposizione e Iyòv rimase in silenzio. Che senso ha il silenzio di Iyòv? Egli è descritto come un uomo retto e temente Dio, non poteva certo approvare la persecuzione. Iyòv probabilmente rimane in silenzio perché ritiene il suo intervento inutile (il faraone aveva già deciso e non avrebbe cambiato idea) e pericoloso (rischiava a sua volta di essere perseguitato). Il ragionamento di Iyòv è accettabile, comprensibile? E' sicuramente comprensibile e contiene probabilmente vari elementi di verità ma, secondo la tradizione ebraica, non è accettabile. Iyòv pecca di mancanza di chèsed, cioè non riesce a sentire la sofferenza altrui come propria e questo gli impedisce di reagire a una persecuzione anche quando questa reazione può essere pericolosa e apparentemente inutile. Secondo Rav Soloveitchik l'atteggiamento di Iyòv è stato l'atteggiamento di molti durante la Shoà. Egli non parla naturalmente di persecutori e lei loro
collaboratori ma di persone o nazioni che, pur non condividendo, sono rimasti in silenzio. 
In coincidenza con l'insediamento di Obama il "National Jewish Democratic Council" ha organizzato a Washington un gala che ha avuto mille vip partecipanti e due protagonisti. David Axelrod, guru politico di Barack, ha allietato i presenti con le storie sulle peripezie degli avi giunti dalla Bessarabia, vantando la soddisfazione per il 78 per  cento di ebrei che alle presidenziali hanno votato democratico. Elie Wiesel invece ha guardato al futuro: "Con Obama presidente confido nel  fatto che forse mio figlio e mio nipote saranno in questa città,negli anni a venire, per celebrare il primo presidente ebreo degli Stati Uniti".  Maurizio Molinari,
giornalista
Maurizio Molinari  
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  pubblico camera Shoah, una dura lezione
per tutta l’umanità

“La Memoria non riguarda solo gli ebrei, ma l’intera società. La Shoah ha colpito soprattutto gli ebrei, che ne sono stati le vittime, ma ha riguardato e riguarda tutta l’umanità, dal momento che ancora persistono i germi della violenza e del razzismo contro i quali la lotta deve essere proseguita senza interruzioni, senza indugi e senza indulgenze, abbinando sempre alla fase della repressione e della lotta, quella del recupero e dell’educazione” Così il Presidente Ucei Renzo Gattegna ha concluso il suo discorso in occasione della Giornata della Memoria al convegno “Memoria: dalle testimonianze dirette al Museo della Shoah”, che si è tenuto nella Sala della Lupa di palazzo Montecitorio a Roma. Molte le personalità intervenute oltre al Presidente della Camera, Gianfranco Fini, il sindaco di Roma Gianni Alemanno, il presidente della Regione Lazio Piero Marrazzo, il presidente della Provincia Nicola Zingaretti, il segretario del partito democratico ed ex-sindaco di Roma Walter Veltroni, il presidente della Fondazione Museo della Shoah ed ex presidente della Comunità Ebraica di Roma Leone Paserman, il professor Marcello Pezzetti, la signora Goti Bauer testimone reduce dei campi di sterminio ed infine i due architetti che hanno realizzato il progetto del Museo della Shoah Giorgio Maria Tamburrini e Luca Zevi.
Gli interventi di tutti i relatori si sono soffermati sul significato della Memoria e su quello della realizzazione di un Museo della Shoah in Italia, ma forse è un terzo aspetto quello che ha pesato più di tutti proprio nel giorno della celebrazione della memoria della Shoah, scaturito dalle affermazioni di Monsignor Richard Williamson, accusato di negazionismo, al quale il papa Benedetto XVI ha appena revocato la scomunica e che è stato il fantasma di tutti coloro che hanno vissuto personalmente la tragica esperienza dei campi di concentramento nazisti al loro ritorno a casa: la paura di non essere creduti, la paura che qualcuno potesse mettere in dubbio ciò che era stato.
Così il Presidente della Camera Gianfranco Fini non ha perso l’occasione di prendere duramente posizione “C’è il dovere di indignarsi e non minimizzare quando riecheggiano teorie negazioniste sempre infami e ancor di più se arrivano da chi ha un incarico religioso” tornando poi sull’importanza del concetto di memoria ha ammonito “Il dovere della memoria è non solo il dovere di ricordare, ma anche il dovere di capire. Il dovere di scoprire i meccanismi perversi che hanno permesso questa spaventosa corruzione della coscienza dell’uomo”.
Sulla stessa linea il presidente della Regione Lazio Piero Marrazzo “La memoria -ha detto- affonda nel passato ma deve parlare al presente e soprattutto al futuro” invitando però a fare attenzione perché “senza un forte fondamento di conoscenza la memoria della Shoah rischia di svuotarsi. Il nostro compito è proprio quello di ricordare e far capire che quelle idee e quegli atti demoniaci hanno camminato su gambe assolutamente umane”.
“Il nostro compito - ha continuato Marrazzo - è mettere in luce quali dinamiche abbiano permesso il realizzarsi di un male così estremo ed inumano. Dietro a tutto ciò c’erano uomini. Di questa coscienza, purtroppo, oggi abbiamo bisogno”.
“Si vedono affiorare - ha detto nel concludere Marrazzo- nuove forme di razzismo e discriminazione. Si registrano episodi gravi, si avverte un rumore di fondo, uno strisciante fastidio per la diversità. Questo meccanismo mentale, purtroppo, è oggi presente nella nostra società. Può avere come bersaglio i rom o i musulmani o, di nuovo, gli ebrei”.
Il leader del Pd Walter Veltroni associandosi alle affermazioni di Fini ha commentato
“La Shoah è stata una grande tragedia. Nessuno può negare, quale che sia il suo vestito, la sua tonaca, il suo mestiere, ciò che non può essere negato: ovverosia la tragedia delle camere a gas”. Citando poi un episodio della sua infanzia Veltroni ha ricordato con amarezza “che a vendere degli italiani per poche decine di lire c’erano altri italiani”.
Il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, si è soffermato invece sull’importanza della realizzazione del museo della Shoah “Quando il museo della Shoah sarà inaugurato -ha detto Alemanno- affideremo a Roma uno strumento della memoria ma anche una palestra per mantenere la nostra umanità” ed ha poi continuato “nei prossimi anni il museo della Shoah sarà uno strumento per le giovani generazioni con un triplice obiettivo: il primo è storico perché sia sempre presente nella memoria la realtà dei fatti; bisogna poter dire ai giovani che ciò che è accaduto è reale così come reali sono le responsabilità storiche di nazismo e fascismo e di chi, indifferente, non ha saputo schierarsi con i giusti”. Il secondo, è un obiettivo “ideologico-culturale perché ogni volta che ci si rivolge ad una comunità, ad una etnia o ad una razza condannandola in blocco si fa il primo passo verso la discriminazione”. Infine dal museo della Shoah verrà “un insegnamento umano, la capacità di non perdere la percezione dell’essere umano che si ha di fronte perché simili orrori non si ripetano più”.
Il professor Marcello Pezzetti soffermandosi sulla funzione del museo della Shoah ha rilevato che “il museo è un servizio, non una esposizione” ma ha anche precisato che “esso non è un museo per gli ebrei, nessun museo della Shoah al mondo è per gli ebrei, è un museo per l’Italia e per la scuola italiana”.
A conclusione del convegno, Luca Zevi, uno dei dei due architetti che hanno realizzato il progetto, ha spiegato l’idea di fondo su cui si basa il Museo nazionale della Shoah di Roma che dovrebbe essere inaugurato nel 2011, un enorme parallelepipedo nero sulle cui pareti saranno incisi i nomi degli ebrei italiani deportati nei campi di concentramento nazisti.
Le celebrazioni per la Giornata della Memoria sono poi proseguite al Vittoriano dove il Ministro dei Beni Culturali Alessandro Bondi, in una manifestazione organizzata insieme all’Ucei, ha presentato ‘Il Libro della Shoah italiana’ di Marcello Pezzetti.
Il libro riporta 105 testimonianze, raccolte, (come ha spiegato l’autore) in 13 anni “di ricerca quotidiana, di lavoro storico”. Un impegno che “mi ha fatto capire -ha detto Pezzetti- che cosa è stata veramente la Shoah. Molti dei sopravvissuti, infatti, non avevano mai parlato prima, non avevano raccontato neanche ai parenti più stretti la tragedia dei campi di concentramento”.
“Tra il dovere della testimonianza e la scelta di rifugiarsi nel silenzio, di fronte all’orrore della Shoah, -ha osservato il Ministro Bondi nel presentare il libro- della disumanità assoluta dei campi di sterminio, c’é una terza via, quella di ricordare attraverso la meditazione e la preghiera”.

Lucilla Efrati


Marcello Pezzetti Memoria 9 – Marcello Pezzetti:
“In Italia manca ancora una presa di coscienza”


"Il libro della Shoah Italiana. Una ricerca della Fondazione Centro di Documentazione ebraica contemporanea" (Einaudi), di Marcello Pezzetti, nuovo direttore del Museo della Shoah di Roma, sarà presentato questa sera alle 20.30 al teatro Dal Verme di Milano in una serata che vede la partecipazione del direttore del Sole 24 Ore e presidente Fondazione per il Memoriale della Shoah Ferruccio De Bortoli, e della storica della Fondazione Cdec Liliana Picciotto. Nell'intervista che segue l'autore spiega i motivi che hanno ispirato il suo lavoro.

Nel 1943 vennero deportati circa un quinto dei 45000 ebrei italiani, 9000 persone. Per quasi tutti la destinazione fu Auschwitz. Pochissimi tornarono.
Nel “Il libro della Shoà italiana” (appena pubblicato da  Einaudi editore), Marcello Pezzetti, storico, esperto del Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea di Milano (Cdec), collaboratore dello Yad Vashem, il museo della Shoà di Gerusalemme, e direttore del Museo della Shoah di Roma in via di realizzazione, vuole ricostruire la storia di questa tragedia italiana.
Questa sera, mercoledì 28 gennaio alle 20.30, al Teatro Dal Verme di Milano, la Giornata della Memoria sarà celebrata con la presentazione dell’opera in una serata organizzata in collaborazione con la Comunità ebraica di Milano, la Fondazione Cdec e la Fondazione Memoriale della Shoah di Milano. La manifestazione sarà introdotta da Ferruccio De Bortoli, direttore del Sole 24 Ore, e vedrà la partecipazione della Storica Liliana Picciotto storica del del Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea e di alcuni sopravvissuti.
Il volume raccoglie le testimonianze di oltre cento sopravvissuti italiani. Trasmette, attraverso la loro voce, attraverso i loro dialetti, la storia di ciascuno, gli orrori a cui assistette e che subì, storie spesso raccontate con riluttanza, a volte con sorprendente ironia.
Professor Pezzetti, in cosa la Shoà italiana è diversa da quella del resto d’Europa?
I metodi utilizzati furono gli stessi dappertutto, ma ci sono tre importanti differenze.
La prima consiste nel fatto che l’Italia era un paese alleato della Germania, e quindi uno Stato che perseguitò autonomamente gli ebrei, preparando in questo modo il terreno alla deportazione. È importante sottolineare che essa non fu esclusiva responsabilità dei Nazisti, gli italiani collaborarono attivamente: più della metà degli ebrei italiani fu arrestata da italiani, non da tedeschi.
Inoltre gli ebrei italiani erano profondamente diversi dagli altri, soprattutto da quelli dell’Europa dell’Est, perché totalmente integrati nello Stato e nella società di cui erano parte. Essi si sentivano prima di tutto italiani, e mantennero una fiducia totale nelle proprie istituzioni. Per questo motivo erano più vulnerabili.
Infine è necessario ricordare che la deportazione in Italia fu tardiva. Quando il primo ebreo italiano giunse ad Auschwitz, dopo la razzia del ghetto di Roma del 16 ottobre 1943, l’ottanta per cento degli ebrei polacchi era già stato ucciso.
Lei parla di deportazione tardiva. Questo è dovuto a casualità o a una tacita volontà dello Stato italiano di salvaguardare in qualche modo gli ebrei italiani, almeno fin dove era possibile?
È difficile dare una risposta. Gli storici non sono concordi su questo punto. Io sono del parere che occorra limitarsi ai fatti. Fin quando ci fu un governo stabile e Mussolini fu al potere, non è presente una logica di deportazione, nonostante l’internamento degli ebrei stranieri.
La situazione cambia radicalmente con la Repubblica di Salò, cioè quando viene stravolto il quadro politico e istituzionale dell’intero paese.
In una sua intervista al Corriere della Sera di alcuni anni fa, lei spiegò che è necessario analizzare le basi dell’antisemitismo diffuso in quel periodo come presupposto alla Shoà. Cosa pensa degli episodi di antisemitismo che hanno attraversato l’Europa nelle ultime settimane?
Il punto fondamentale dell’antisemitismo di quegli anni era il suo carattere istituzionale. Si trattava di un antisemitismo di Stato. Certamente esso si innestò su un humus antiebraico diffuso nella popolazione e presente in Europa da secoli, ma fu voluto, burocratizzato e realizzato dalle istituzioni.
Io penso che quello che emerge oggi sia frutto di una stessa base antisemita mai scomparsa, ma oggi viviamo in un’Europa democratica, in Stati di diritto, basati sull’uguaglianza di tutti gli uomini e sulla tutela dei valori e dei diritti fondamentali. Questa è la differenza essenziale.
Qual è la sua opinione in merito alla Giornata della Memoria?
Non deve diventare una celebrazione, perché ciò significherebbe perdere il suo significato autentico. Noi dobbiamo impegnarci affinché si diffonda la piena consapevolezza di quanto avvenne. Questo è particolarmente importante nel nostro paese perché l’Italia, a differenza di altri Stati, come la Germania, non ha ancora sviluppato una vera presa di coscienza sulla Shoà. Per vent’anni non se ne è parlato perché era necessario ricostruire materialmente e moralmente una società distrutta. In seguito ci si è concentrati sulle responsabilità degli altri, considerando la Shoà un affare tra tedeschi ed ebrei, come se questi ultimi costituissero un’entità senza nulla in comune con l’Italia, autoassolvendosi dalle proprie colpe. Da alcuni anni a questa parte qualcosa è cambiato e ci si muove nella direzione giusta.
Se il Giorno della Memoria diventa una celebrazione, rischia di fermarsi a livello simbolico e superficiale. Rimane comunque utile perché rappresenta un momento di riflessione, ma deve costituire solo la punta di uno studio molto più solido, che venga svolto prima di tutto nelle scuole.
Professore, lei per questo libro e nel corso di tutti i suoi studi, è venuto a contatto con storie di sofferenza indicibile e violenza inaudita. Non ha mai provato l’impulso di scappare da tutto questo, il desiderio di smettere di ascoltare simili atrocità, di chiudere gli occhi?
Assolutamente no. Non si può fuggire davanti a ciò che avvenne durante la Shoà, pur provando un enorme disagio e un dolore immenso.
La Shoà è una gabbia, una volta entrati è difficile uscirne. Quello che io continuo a domandarmi non è come uscirne, ma come si possa decidere di non entrarci.  
 
Rossella Tercatin
 
 
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  I lontani (e i vicini) siamo noi

In un momento storico in cui i numeri ci dicono che stiamo progressivamente diminuendo, siamo costretti a cercare di capire chi sono, ma soprattutto dove sono i “lontani” e così facendo ci poniamo automaticamente nella condizione di “vicini”.
In realtà penso che tutti noi siamo, con diverse gradazioni e con alcune eccezioni, un po’ tutti lontani e un po’ tutti vicini.
Quel sentimento e quella volontà che ci porta ad essere attivi, con diverse intensità  di partecipazione e responsabilità, in istituzioni nazionali o comunitarie, nei Bet knesset, nelle associazioni culturali, sociali, sportive, nel volontariato, nei movimenti giovanili, nelle scuole, con gli anziani, nel sostegno ad Israele e ancora in iniziative non istituzionali o anche singolarmente, per affermare, ricercare, approfondire la nostra identità ebraica e il desiderio di condividerla cos’altro è se non la sensazione o la paura di essere lontani e il desiderio di essere più vicini, ciascuno a modo suo, chi più religiosamente, chi più culturalmente, chi tutti e due?
Si può diventare  lontani, pur essendo stati sempre vicini, semplicemente perché si va a vivere in una città dove non c’è una Comunità oppure è così piccola da non poter fornire i servizi essenziali. Si può diventare lontani perché negli anni che vanno dall’università alla famiglia ci sono meno occasioni di aggregazione.
Allo stesso modo però si può essere lontani perché non conosciamo cosa ci può dare una comunità, oppure non ci da quello che noi riteniamo ci dovrebbe offrire. Si può essere lontani per questioni economiche e non ci sentiamo di chiedere aiuto.
Si può essere lontani nelle statistiche, ma vicini e attivi religiosamente, culturalmente e socialmente.
Sono convinto  che nell’arco della loro vita  moltissimi ebrei  abbiano sperimentato, chi più chi meno, chi prima chi poi, sia la condizione della lontananza che quella della vicinanza.

Riccardo Hofmann, consigliere dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane
 
 
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«Deve restare chiara e netta la distinzione tra ogni possibile posizione critica verso la linea di condotta di chi di volta in volta governa Israele e la negazione, esplicita o subdola, delle ragioni storiche dello Stato di Israele, del suo diritto all'esistenza e alla sicurezza, del suo carattere democratico». Lo ha detto ieri il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, nel suo intervento al Quirinale per il Giorno della Memoria.

Napolitano ha auspicato ci sia «una vigilanza più forte contro il virus dell’antisemitismo», ed è stato seguito da dalle dichiarazioni delle più alte cariche dello Stato, come riportano i maggiori quotidiani (Corriere della Sera, Sole 24 Ore, Repubblica).

La rassegna di oggi è meno variegata del solito: quasi tutte le testate hanno seguito le celebrazioni per il Giorno della Memoria al Quirinale o quelle svolte nelle varie città. Qualcuno, poi, ha scovato qualche frammento di storia della Shoah: sul Corriere Andrea Garibaldi racconta come Gino Bartali portava foto e documenti sotto il sellino per salvare famiglie di ebrei. Sul Riformista Antonella Benanzato, da Padova, scrive del francescano Placido Cortese, che usava il confessionale per incontrare gli ebrei da salvare. L’Osservatore Romano pubblica invece il testo di una lezione tenuta dalla storica Marina Beer a Roma sulle leggi razziali. Una voce più critica, sul senso del 27 gennaio, si legge sul Wall Street Journal Europe. Scrive Daniel Schwammenthal: «Stop alle commemorazioni dell’Olocausto; le cerimonie che deplorano l’inazione dell’Occidente di fronte ai nazisti sono diventate il surrogato per un gesto contro i fascisti moderni, prevalentemente gli islamici».

L’altra notizia del giorno sono le scuse dei lefebvriani della Fraternità di San Pio X, che arriva in una lettera indirizzata al Vaticano. «Le affermazioni di monsignor Williamson non riflettono in nessun caso le posizioni della nostra Fraternità», dice la missiva, come riporta il Sole 24 Ore. Le parole di Williamson («E’ tutto un complotto, sulle camere a gas non ci sono prove») trovano però spazio su Corriere e Repubblica. Ieri la Cei ha espresso la sua condanna, ma oggi, scrivono in molti, è atteso l’intervento del Papa. «Ratzinger non può tacere», dice il vaticanista di Repubblica Marco Politi, e l’ambasciatore israeliano in Vaticano dice a Gian Guido Vecchi, sul Corriere, che aspetta una «dichiarazione ufficiale». Sempre ieri è arrivato, dal rabbino capo di Roma, l’invito a visitare la sinagoga della Capitale a Benedetto XVI (Avvenire).

A Gaza, intanto, la tregua è stata interrotta. Una bomba è stata fatta esplodere da militanti palestinesi al passaggio di una jeep israeliana. Morto un soldato, tre i feriti; immediato il blocco dei valichi e la risposta: un morto e feriti anche tra i palestinesi. E’ il ‘’benvenuto’’ all’inviato degli Usa George Mitchell, sottolinea Ugo Tramballi sul Sole. Lorenzo Cremonesi racconta invece sul Corriere, sempre da Gaza, della censura e delle minacce di Hamas all’interno della Striscia. «Siamo come sotto Saddam Hussein», dice un reporter. Anche Repubblica entra a Gaza, con un lungo reportage di Bernardo Valli.

«Penso che sia possibile vedere uno stato palestinese (...). Un bambino che vive nei Territori potrà stare meglio? E un bambino israeliano potrà confidare sulla sua sicurezza? Se riusciamo a rendere la loro vita migliore e a guardare avanti, senza pensare soltanto alle guerre e alle tragedie del passato, abbiamo l’opportunità di fare progressi». A parlare è il presidente degli Stati Uniti d’America Barack Obama, nella sua prima intervista ad Al Arabyia, ripresa oggi dal Foglio.

Beniamino Pagliaro 

 
 
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notizieflash    
 
 
Imboscata contro militari israeliani,                                                    
riaperto oggi uno dei valichi
Tel Aviv, 28 gen -
Israele - Riaperto questa mattina uno dei  valichi di confine con la Striscia di Gaza per consentire il passaggio di almeno 200 camion di aiuti umanitari per la popolazione. Ma le autorità israeliane avvertono “intraprenderemo altre azioni di risposta militare” dopo l'imboscata di ieri contro una pattuglia militare costata la vita a un soldato e il ferimento di altri tre.
Tutto questo mentre il nuovo inviato americano per il Medio Oriente, George Mitchell, in arrivo oggi in Israele dal Cairo, insiste nel sollecitare "un prolungamento" e "un consolidamento" del fragile cessate il fuoco proclamato dalle parti il 18 e 19 gennaio scorsi dopo le tre settimane di guerra dell'operazione 'Piombo Fuso' .
Ehud Olmert ha definito "preliminari" le rappresaglie compiute ieri dalle forze armate israeliane in seguito all'imboscata (con un bilancio di due palestinesi uccisi e alcuni altri feriti) - rappresaglie a cui nella notte si è aggiunto un raid aereo contro i tunnel del contrabbando al confine fra Egitto e Gaza. Ancora Olmert ha voluto sottolineare come ogni attacco vada ascritto ad Hamas - il movimento islamico radicale al potere a Gaza da oltre un anno e mezzo - perché "è Hamas che controlla" la Striscia.

Ahmadinejad accusa gli Stati Uniti
Teheran, 28 gen -
In un comizio tenuto nella città di Kermanshah il presidente iraniano ha accusato gli americani di avere organizzato il colpo di Stato che nel 1953 rovesciò il governo di Mohammad Mossadeq, che aveva nazionalizzato l'industria petrolifera, di avere sostenuto dopo la rivoluzione del 1979 "gruppi terroristi" oppositori del regime religioso, e di avere "incoraggiato Saddam Hussein ad attaccare l'Iran".  Per poi avvertire : “Stiamo studiando ogni mossa della nuova amministrazione americana e se vi saranno cambiamenti veri ed essenziali, li accoglieremo favorevolmente". "Ma - ha detto  - se qualcuno, anche nel nuovo governo, vorrà usare lo stesso linguaggio di Bush, la nostra risposta sarà la stessa che abbiamo dato all'ex presidente e ai suoi mercenari".
 
 
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