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| 3 marzo 2013 - 23 Adar 5773 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
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| Yom Ha Torah - Studiare per essere noi stessi | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Torna l'appuntamento con Yom
HaTorah, la giornata dedicata allo studio dei testi della Tradizione
organizzata dal Dipartimento educazione e cultura dell'Unione delle
Comunità Ebraiche Italiane per il prossimo 10 marzo. Tema di questa
seconda edizione, che rende omaggio alla figura del rav Raffaele
Grassini (1952-1992), è l'interrogativo Si può indovinare il futuro?
Tra gli ospiti rav Michael Monheit, rav Yosef Carmel e Haim Baharier,
studioso del pensiero ebraico.Dopo i positivi riscontri dello scorso anno il dipartimento Educazione e cultura dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane rinnova, il 10 marzo/28 di Adar, l’organizzazione di una giornata interamente dedicata allo studio della Torah. L’obiettivo di Yom HaTorah è che nelle sinagoghe, nei gruppi di studio, negli enti e nelle associazioni ebraiche sparse su tutto il territorio nazionale, si studi e si sviluppi uno specifico argomento. Tema di questa seconda edizione, che rende omaggio alla figura del rav Raffaele Grassini (1952-1992), è l'interrogativo Si può indovinare il futuro? inteso come approfondimento dei divieti e delle eventuali aperture legate alla proibizione della Torah. “Non cercate di indovinare il futuro e non fate magia” (Vaykrà 19,26). “I nostri Maestri – spiega Settimio Pavoncello, assessore al culto UCEI – ci insegnano che il futuro non si indovina ma costruisce. Che solamente attraverso lo studio siamo in grado di fare domande, capire, confrontarci con gli altri per arrivare a una visione a 360 gradi che permetta di valutare tutti gli aspetti di una problematica. Lo studio è la nostra risposta a chi si illude di trovare scorciatoie rivolgendosi a lestofanti che promettono vane illusioni”. Yom HaTorah è soprattutto un momento gioioso. L'opportunità per affermare la centralità dello studio come attività quotidiana appannaggio di tutti, senza cerchie ristrette di beneficiari. L'occasione, attraverso una giornata a porte aperte, “di festeggiare nel modo migliore i nostri Maestri”. Accanto alla rabbanut italiana ospiti di prestigio internazionale. Rav Michael Monheit, lo studioso di pensiero ebraico Haim Baharier e ancora rav Yosef Carmel, rosh yeshivah di Eretz Chemdà, protagonista al Collegio rabbinico. Da segnalare anche le attività organizzate in collaborazione con l'Unione Giovani Ebrei d'Italia come la cena tra studio e convivialità RashiSushi, esperienza già proposta con successo a Roma e a Milano e adesso allargata a un numero ancora più significativo di Comunità. Una giornata declinata nel segno della “havrutah”, l’usanza di studiare e confrontarsi con uno o più compagni di pari livello, e che avrà nelle lezioni genitori-figlio, grande momento di arricchimento reciproco, uno dei suoi pilastri narrativi. L'immagine evocata da Pavoncello prende spunto dallo Zohar: uno studioso di Torah come un albero in mezzo al campo che dà frutti rigogliosi. Gli stessi frutti di cui ci si aspetta possa beneficiare tutta la comunità ebraica italiana con Yom HaTorah. L'attesa intanto cresce e si arricchisce il calendario di eventi distribuiti nelle varie kehillot (per maggiori informazioni www.yomhatorah. it). “Affrontiamo questa seconda edizione – commenta il maskil Gadi Piperno, coordinatore del Dec UCEI – con l’auspicio che sia un momento di accrescimento collettivo per tutto l’ebraismo italiano". Pagine Ebraiche, marzo 2013 |
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| Israele - Vicini alla svolta i colloqui per la coalizione | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Sembrano
vicini alla svolta i colloqui per dare vita al nuovo governo
israeliano. Dopo il prolungamento del mandato di 14 giorni concesso dal
presidente Shimon Peres all’attuale primo ministro Netanyahu al termine
dello Shabbat, il leader di Likud-Beytenu (31 seggi) ha condotto una
serie di incontri con i potenziali alleati che sembrano preludere a un
esito positivo. Il giornale Haaretz riporta che il colloquio con
Habayit Hayehudi, il partito di ultradestra nazional-religiosa guidato
da Naftali Bennett (12 seggi) è stato definito dalle parti interessate
“buono e pratico”. Habayit Hayehudì ha comunque ribadito la sua
alleanza con il partito centrista Yesh Atid (19 seggi) fondato dall’ex
giornalista Yair Lapid, alleanza che nelle scorse settimane ha impedito
a Netanyahu di portare nella sua coalizione solo una delle due forze. A
unire le compagini, la volontà di risolvere in modo risoluto il tema
dell’arruolamento nell’esercito dei giovani haredim, che ha portato a
porre come condizione irrinunciabile a Bibi per entrare nel suo governo
l’esclusione dei partiti haredi Shas (11 seggi) e Yahadut HaTorah (7
seggi). Fonti del Likud hanno riferito che Netanyahu si sarebbe
convinto dell’impossibilità di formare una maggioranza senza Bennett e
Lapid. Una notizia che troverebbe conferma nell’incontro che il premier
ha avuto con i leader di Shas la scorsa domenica, in cui avrebbe
comunicato loro che per colpa di Habayit Hayehudi non potrà far entrare
Shas nella coalizione. Nel frattempo la stampa israeliana riporta le
voci a proposito delle poltrone ministeriali che Lapid e Bennett
sembrano pronti achiedere a Netanyahu per garantire il proprio
appoggio. Questione spinosa sembra essere costituita soprattutto dal
posto di ministro degli Esteri, che Lapid vorrebbe per sé, ma che
Likud-Beytenu ha sempre pensato di riservare al leader di Beytenu
Avigdor Lieberman: dimessosi alcuni mesi fa in seguito a vicende
giudiziarie, Lieberman ha sempre dichiarato la sua intenzione di
riprendere l’incarico non appena risolti i problemi in tribunale.Rossella Tercatin twitter @rtercatinmoked |
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| Qui Milano - A confronto su bioetica e circoncisione | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
| Confronto
fra voci diverse e diverse esperienze di conoscenza, a Milano, su
Bioetica medica, la circoncisione inserita nel contesto attuale. Il rav
Roberto Della rocca, direttore del dipartimento Educazione e cultura
dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane ha presentato al pubblico
fra gli altri il rav Riccardo Di Segni (medico e rabbino capo della
Comunità ebraica di Roma), Daniela Ovadia (giornalista scientifica e
esperta di bioetica), Daniela Dawan (avvocato penalista) e rav Alfonso
Arbib, rabbino capo di Milano. Primo a prendere la parola è stato
Giorgio Mortara, medico, mohel e presidente dell’AME, l’Associazione
Medica Ebraica. “Non dimentichiamoci il motivo per il quale siamo
riuniti: il brit milà è il patto tra l’uomo e D-o ed è responsabilità
dell’istituzione comunitaria far sì che questa pratica sia mantenuta
nel rispetto della nostra tradizione, garantendo la salute del neonato,
prevenendo complicazioni o errori integrando le figure del mohel e del
medico, e prevenendo anche, in questo modo, gli attacchi che ci vengono
portati da alcune parti della società civile”. Dopo aver raccontato
come la sua esperienza di mohel lo abbia portato ad operare in
condizioni anche molto differenti fra loro, ha precisato che la
posizione dell’AME tiene conto della legislazione italiana, secondo il
principio dina de malkuta dina, e sostiene che la milà deve essere
praticata da medici abilitati all’esercizio della professione, o da
esperti circoncisori dopo una adeguata formazione – eventualmente si
potrebbe costituire un albo – assistiti da un medico chirurgo, pronto a
intervenire se ci fossero delle complicazioni. Fra le responsabilità
del medico presente, inoltre, rientrano anche la responsabilità di fare
una visita preparatoria al neonato e di ottenere il consenso informato
da parte di entrambi i genitori. Il rav Riccardo Di Segni, che oltre ad
essere medico e rabbino della comunità romana è anche vicepresidente
del Comitato nazionale di bioetica, istituito nel 1990, che “svolge sia
funzioni di consulenza presso il Governo, il Parlamento e le altre
istituzioni, sia funzioni di informazione nei confronti dell’opinione
pubblica sui problemi etici emergenti con il progredire delle ricerche
e delle applicazioni tecnologiche nell’ambito delle scienze della vita
e della cura della salute”, ha ricordato come per la legislazione si
definisca un atto medico quello che è diretto a prevenire,
diagnosticare o curare una malattia, o a lenire il dolore, per cui la
milà è un atto religioso, prospettiva inversa alla visione ebraica, per
la quale invece serve a correggere un errore congenito. Parlar di milà
significa toccare aspetti halakhici, medici e giuridici ed è importante
e delicato, soprattutto in un momento in cui è una tradizione soggetta
ad attacchi anche molto violenti, prima negli Stati Uniti, poi in
Germania. Anche in Israele ci sono alcuni gruppi contrari alla
circoncisione, e tutti i basano principalmente su un supposto diritto
del bambino a scegliere. Infatti il Comitato Nazionale di Bioetica ha
dichiarato nel 1998 che la circoncisione rituale maschile è compatibile
con l’articolo 19 della Costituzione italiana, che riconosce completa
libertà di espressione cultuale e rituale sia a livello individuale sia
collettivo. Allo stesso tempo la circoncisione rituale deve essere
considerata alla luce di altri valori costituzionalmente protetti come
la tutela dei minori o quello della loro salute. Dopo un'analisi dei
brani della Torah dove se ne parla e una disamina dei casi in cui va
praticata la circoncisione – ossia non solo al figlio nato in casa –
che ha portato a vederla come una affermazione di libertà, rav Di Segni
è passato ad un grande excursus storico, a partire dall’editto di
Adriano, che estendeva alla circoncisione le misure penali previste
dalla Lex Cornelia per la castrazione, fino a problemi più recenti e
alla spiegazione della pratica medica. Daniela Ovadia ha affrontato
l’argomento da tutt’altra prospettiva, invece, partendo dal presupposto
che esistano delle buone ragioni anche nella controparte e iniziando da
una carrellata di casi controversi, tra cui per esempio il progetto
norvegese di legge che abolirebbe la circoncisione per i minori, o la
situazione australiana che nel Queensland limita fortemente la
circoncisione non medica e potrebbe arrivare a vietarla per i minori,
al referendum del 2011 per l’abolizione della circoncisione infantile
nell’area di San Francisco. La bioetica però segue un complesso di normative storicamente ben determinate, a partire dal 1947 con il Codice di Norimberga, che riguarda la sperimentazione ma stabilisce la necessità di un consenso per qualsiasi atto effettuato sul corpo, il divieto di praticare atti medici non necessari e il diritto all’integrità corporea. Nel 1975 si entra in maggiori dettagli pratici e si parla per la prima volta di diritto di surroga del minore e nel 1997 con la convenzione di Oviedo si arriva alla protezione di diritti e dignità. In sostanza per chi si occupa di bioetica i problemi posti dalla circoncisione sono tanti e rilevanti, ha continuato, a partire al fatto che la milà non è motivata da una ragione terapeutica, e che è un atto irreversibile, deciso dai genitori, non dal diretto interessato. Ma vanno chiariti i margini legali entro cui può essere considerata una pratica accettabile, proprio perché “fare chiarezza significa anche fare prevenzione nei confronti dell’antisemitismo”. L’intervento di Daniela Dawan, di taglio prettamente legale, è stato tutto incentrato sulla difficoltà di definire cosa sia la milà, che non è un atto medico, che non è una mutilazione – e non va associata in alcun modo alle mutilazioni genitali femminili, nonostante spesso ci sia chi cade in questa tentazione – e non è una lesione. Non è quindi reato, ma implica una complessità che si riduce in campo ebraico, rispetto alla circoncisione praticata dai musulmani, principalmente a causa del momento in cui viene praticata: operare su un neonato implica che si tratta di un intervento considerato semplicissimo e che quindi crea minori problemi, e può, per esempio, essere praticato anche da un mohel. Addirittura l’avocato Dawan – in contraddizione con le posizioni di Daniela Ovadia - si è spinta a ipotizzare che arrivare ad una normativa così specifica potrebbe non essere la cosa migliore, in quanto in sua assenza ci sarebbero più ambiti di libertà. Rav Arbib poi, a cui è stata affidata la conclusione della serata, ha voluto offrire al pubblico un midrash che affronta alcuni problemi connessi con la prima milà, per poi raccontare come il Maharal di Praga sostenesse che è il numero 8, come gli otto giorni della milà, ad essere il numero ebraico per eccellenza, non il sette. Perché il numero sette - i sette giorni della creazione - riporta alla fenomenologia del creato, della natura, mentre l’8, che è dato da sette più uno, porta a un passo oltre, alla metafisica. Ossia la milà, il passaggio che porta a entrare nel mondo delle mitzvot, è l’accesso ad un mondo metafisico. Ada Treves twitter @atrevesmoked |
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| Qui Milano - Mantenere viva la voce dei testimoni | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Costituita
nel 1998, l’Associazione Figli della Shoah riunisce sopravvissuti alla
Shoah, i loro familiari e volontari che si impegnano su tanti fronti,
con molteplici iniziative, perché non sia dimenticato l’orrore.
Dall’allestimento di mostre che hanno avuto più di 300mila visitatori –
soprattutto studenti di scuole di ogni ordine e grado - agli incontri
con i sopravvissuti, dai dibattiti ai seminari, fino alla creazione di
kit didattici multimediali, tutto punta ai giovani, con grande tenacia,
impegnandosi per una Memoria consapevole e diffusa, contro ogni
barbarie totalitaria e a favore della democrazia e della pace. In
questo quadro si pone il seminario internazionale di aggiornamento per
docenti intitolato Mantenere viva la voce dei testimoni, che - grazie
allo straordinario lavoro delle volontarie che sono l’anima
dell’associazione e sono riuscite a mettere in piedi una macchina
organizzativa impeccabile - ha accolto oltre duecento insegnanti da
tutta Italia, convenuti a Palazzo Reale a Milano per una giornata di
studio organizzata in collaborazione con gli esperti pedagogisti
dell’Istituto Yad Vashem. Dopo un saluto di Francesco Cappelli, nuovo
assessore all’istruzione del comune di Milano ha preso la parola
Ferruccio De Bortoli, presidente della Fondazione Memoriale della Shoah
di Milano, che dopo aver parlato del Memoriale recentemente inaugurato
ha rivolto parole di benvenuto ai tantissimi presenti, seguito dal
presidente del consiglio provinciale di Milano Bruno Dapei che ha posto
l’accento sul dovere della Memoria e sulla necessità di arrivare ai
giovani, con il linguaggio a loro più congeniale. Anche da Annamaria
Rossignolo, dell’Ufficio Scolastico per la Lombardia è arrivato un
messaggio di saluto in cui, oltre a ringraziare l'Associazione Figli
della Shoah e l'Istituto Yad Vashem di Gerusalemme augurando anche “che
progetti ed iniziative di questo genere, volti alla conoscenza e alla
riflessione sulla Shoah, possano impedire che il ricordo di quanto
avvenuto svanisca nel tempo.” La parola è poi passata a Goti Bauer e
Liliana Segre, che hanno raccontato come sarebbe stato semplice
rimanere due delle tante persone che hanno deciso di non parlare, di
non raccontare la propria esperienza di sopravvissute. “Poi, man mano
che ho iniziato a parlare, a raccontare, mi è sembrato di trovare i
modi e le parole per farlo.” E ancora: “Quella immagine del vecchio con
il bastone, che sta sull’invito a questa splendida giornata, al primo
sguardo mi era sembrata fuori luogo, poi invece ho capito che è giusto,
che il bastone siete voi. Perché noi stiamo sparendo, e abbiamo bisogno
di voi.” Perché “nonostante spesso gli insegnanti e i ragazzi ci
idealizzino, proponendoci domande a cui proviamo a rispondere solo per
la nostra esperienza, più da nonne che da sopravvissute, siamo persone
normali, solo con un fardello un poco più pesante da portare. E si è
entrati nel vivo dei lavori, per una giornata veramente densa di idee,
spunti, proposte, letteralmente rovesciate sui convenuti da Yiftach
Ashkenazy e Shlomit Dunkelblum-Steiner, dell’Istituto Internazionale di
Studi Yad Vashem che con la loro foga e la loro passione sono riusciti
a mettere sotto pressione i pur bravissimi traduttori, che hanno
permesso a tutti di seguire i lavori. Dopo una prima presentazione
generale dell’organizzazione del seminario la mattinata si è svolta con
tutti i docenti riuniti per le prime quattro interessantissime
sessioni: in Le nuove sfide della didattica della Shoah Ashkenazy ha
insistito sulla necessità di sapere, veramente, perché se no non è
possibile insegnare: la Shoah deve diventare un a sorta di testo di
base, sono le fondamenta. Non basta conoscere i fatti e i dati ma
bisogna cercare di avere chiaro cosa è importante, perché è importante.
Partendo magari da un tentativo di definizione univoca. Anche per
chiarire subito che ogni vittima è una vittima, che ogni sofferenza è
sofferenza, che non ci sono gare, non ci sono confronti possibili, e
non si tratta di ragionare su chi ha sofferto di più, ma Shoah è un
nome specifico, che non è generico per olocausto ma si riferisce alla
eliminazione metodica di sei milioni di ebrei da parte dei nazisti e
dei loro alleati. Testo e contesto sono importanti, sono importanti i
fatti, la conoscenza storica, e anche il loro valore morale. Shlomit
Steiner ha rincarato subito la dose, sottolineando come ci siano intere
biblioteche sull’argomento ma, comunque, sapere cosa è successo non
basta, bisogna lavorare anche sul perché. E ha guidato la seconda
sessione, Mantenere viva la voce dei testimoni, e la terza intitolata
Tommy, un bambino di Terezin, con un piglio e una energia davvero
trascinanti. Precisando alcuni concetti irrinunciabili: “I bambini non
devono essere traumatizzati, devono poter capire senza essere
spaventati. Abbiamo il dovere di farli sentire sicuri, portandoli
dentro questa storia e poi di nuovo fuori senza che abbiamo paura”. E
la metodologia è stata analizzata a fondo, sempre centrando
l’attenzione sull’importanza di evidenziare le storie umane, dando a
ogni vittima un volto, un passato, per lottare contro la
disumanizzazione e non permettere di appiattire le vittime. Anche dal
punto di vista didattico e pedagogico una pila di corpi non ha nessun
senso: bisogna tornare indietro e trovare una traccia, il senso di una
cultura, di una storia, di una vita. Sempre sottolineando come si
tratti della nostra storia, non di qualcosa di lontano, che non ci
riguarda. La Shoah non è stato solo l’attacco determinato contro le
persone e i corpi ma anche contro cultura, civilizzazione, storia. È
stata poi la volta di Tommy: un bambino di Terezin, emozionante
sessione in cui Shlomit Steiner ha mostrato come lavorare con bambini
di età anche molto differenti sull’album dei disegni fatti da Bedrich
Fritta, illustratore e fumettista deportato a Terezin nel ’41, per il
figlio di pochi mesi. Un regalo arrivato per i suoi tre anni, e fatto
per mostrargli una realtà diversa da quella che vivevano
quotidianamente nel ghetto. L’album è ora una delle unità educative di
Yad Vashem, e da esso si possono ricavare storie differenti, adatte a
tre diversi livelli educativi. Sono disegni fatti da un uomo che pur
dentro il ghetto di Theresienstadt, è stato leale alla vita: ha voluto
mostrare a suo figlio che la vita può essere bella, che fuori da lì
c’era un mondo, ancora pieno di possibilità e di sogni.Perché perdere l’umanità non era affatto impossibile. C’è chi ha resistito, chi ha scelto, perché anche nelle situazioni più estreme sono presenti dei dilemmi morali, e la possibilità di scegliere c’era. Mai essere indifferenti, distanti, distaccati, Le persone che dicono “non potevo fare nulla, non c’era altra scelta” stanno mentendo. Non è vero, era possibile fare qualcosa: delle persone lo hanno fatto, hanno fatto una scelta differente, spesso anche a costo della loro stessa vita. Prima e dopo la pausa due sessioni, la prima ancora a gruppi congiunti e la seconda invece dopo aver diviso i partecipanti a seconda dell’ordine scolastico, hanno fatto ragionare i presenti sull’Istituzione dei ghetti e su come si svolgeva la vita quotidiana all'interno di quello di Varsavia. L’ultima parte del seminario è stata invece dedicata a un lavoro specifico, condotto da Yftach Ashkenazi con i docenti delle scuole secondarie superiori, con Shlomit Steiner che ha affrontato le difficoltà della narrazione ai bambini della scuola primaria, e Rita Chiappini rappresentante dello Yad Vashem Italia che ha mostrato l’utilizzo di una testimonianza filmata, commuovendo fino alle lacrime molti partecipanti, dedicato alla scuola secondaria di primo grado. E i docenti, lasciate le prime timidezze, a fine giornata si lanciavano nella discussione, aiutati in questo anche dalla grande disponibilità degli esperti di Yad Vashem che hanno invitato tutti a farsi vivi, a scrivere, a raccontare le proprie sensazioni, la propria esperienza. Sono stati capaci di coinvolgere e guidare gli oltre duecento convenuti in un percorso non facile, a volte duro, ma sempre appassionante. E giusto. at |
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