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    30 giugno 2010 - 18 Tamuz 5770  
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Moked - il portale dell´ebraismo italiano
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  locci Adolfo
Locci,

rabbino capo
di Padova
Un detto talmudico di Abbà Binyamin (TB Berakhot 6a) recita così: da dove si impara che quando tre siedono come Beth Din, la Shekhinà (presenza divina) è in mezzo a loro? perché è scritto “bekerev Elohim ishpot – in mezzo ai giudici Egli giudicherà” Tehilim 82:1). Che in Italia ci siano uno, due o tre Batè Din, ricordiamoci sempre che la Shekhinà è il Garante per tutti, a patto che la si sappia far dimorare in mezzo a noi ed al riguardo, i criteri non sono discutibili.
E' incerto dove la morte ci attende. Attendiamola ovunque. La meditazione della morte è meditazione della libertà. Chi ha imparato a morire ha disimparato a servire (Montaigne)
 
Matilde
Passa,
giornalista
Alfredo Mordechai Rabello  
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  Qui Torino - Rav Birnbaum nuovo rabbino capo

MessiRav Eliyhau Birnbaum è il nuovo rabbino capo di Torino. La notizia è arrivata nel tardo pomeriggio di ieri, quando la Consulta rabbinica, ai sensi dell’art.30 comma 1 dello Statuto, ha espresso parere favorevole sulla nomina. La decisione era già stata assunta dal Consiglio della Comunità torinese lunedì scorso, ma si attendeva, come da prassi, il parere della Consulta. Rav Birnbaum assumerà pro tempore il ruolo di rabbino capo, a partire da domani, 1 luglio, e fino a data da definirsi. “Sono contento che la questione della nomina di rav Birnbaum” spiega il presidente della Comunità di Torino Tullio Levi “si sia conclusa abbastanza velocemente perché il protrarsi di questa situazione (la mancanza di un rabbino capo) non poteva che danneggiare la nostra Comunità. Auspico – continua Levi – rapporti di serena e proficua collaborazione tra il rav Somekh, che ha deciso di rimanere a Torino, e rav Birnbaum. Sono sicuro che lo stesso Birnbaum saprà farsi interprete delle esigenze della Comunità, agendo per il bene di tutti, quindi anche di coloro che in passato hanno avuto delle difficoltà con rav Somekh”.
Direttore dal 1998 del Machon Amiel, importante istituzione israeliana che forma rabbini per le comunità della Diaspora e dayan del Beth Din del rabbinato centrale di Israele, rav Birnbaum ha visitato, verso metà giugno, la Comunità di Torino per poter avere un quadro complessivo della complicata e delicata situazione torinese. La Comunità, infatti, vive un momento di forte tensione interna, aggravata dalla sofferta decisione dell’attuale Consiglio di revocare rav Alberto Somekh dall’incarico di rabbino capo. Dopo il respingimento da parte del Collegio arbitrale del ricorso presentato da rav Somekh (decisione notificata alle parti l'11 Maggio 2010), il Consiglio della Comunità ha deciso di avviare delle “consultazioni ad ampio raggio”, come è riportato nel verbale della riunione del 13 maggio, per trovare una soluzione all’intera questione. Da qui la decisione di rivolgersi a rav Birnbaum. “In considerazione della complessità della situazione, - si legge nella lettera inviata alla Consulta rabbinica per richiedere il parere sulla nomina - della necessità urgente di ricomporre la Comunità, di dare un equilibrato assetto all’ufficio rabbinico, di non lasciare vacanti le funzioni di rabbino capo ma di non procedere a scelte definitive affrettate, si è deciso di affrontare in maniera più ampia la situazione contattando un rabbino e dayan di chiara fama e di riconosciuto prestigio in Israele e nel mondo ebraico internazionale, oltre che di grande esperienza nell’ambito delle Comunità della golà e ci si è dunque rivolti a rav Eliyhau Birnbaum”. Una volta a Torino, Birnbaum ha avuto modo di esaminare in prima persona le dinamiche e le strutture comunitarie, incontrando, oltre al Consiglio e altri esponenti della Comunità, rav Somekh.
L’impressione particolarmente positiva lasciata dal direttore del Machon Amiel, nonché docente al Merkas Rapaport dell’università di Bar Ilan, durante la sua visita ha spinto il Consiglio a muoversi nella direzione di nominare proprio Birnbaum, seppur temporaneamente, come nuovo rabbino capo di Torino. La decisione, però, non è stata condivisa da tutti. Durante la riunione del 28 giugno, il consigliere all’opposizione Emanuel Segre Amar ha manifestato le sue perplessità sulla conoscenza di rav Birnbaum in merito alle peculiarità dell’ebraismo italiano. Segre Amar, inoltre, ha espresso dubbi sulla possibilità del rav di conciliare i suoi molteplici impegni internazionali con le funzioni quotidiane di rabbino capo. D’accordo con queste riflessioni, i consiglieri Bianca Bassi e Beppe Segre, i quali hanno richiesto al Consiglio di presentare un progetto complessivo sulla situazione, sottolineando la volontà di portare avanti una strategia condivisa. Le perplessità dei consiglieri di opposizione sono emerse anche al momento del voto sulla nomina: si sono infatti espressi in senso contrario, sostenendo che il voto negativo non riflette un giudizio personale su rav Birnbaum, ma nasce dalla non condivisione del metodo con cui la maggioranza ha portato avanti il provvedimento.
In ogni caso si apre un nuovo capitolo per la Comunità ebraica torinese. Una volta assunto l’incarico, Rav Birnbaum definirà il ruolo e le mansioni di rav Somekh e di un rav che quanto prima dovrebbe affiancarlo; visiterà ogni mese la Comunità, avendo garantito inoltre la sua presenza in caso di necessità. Una soluzione per risolvere questa situazione transitoria quanto difficile. “Il nostro impegno” spiega il presidente Levi “ come Comunità e come Consiglio, non mi stancherò mai di ripeterlo, è di avvicinare all’ebraismo e alla Comunità stessa coloro che si sono allontanati. Dall’altra parte questo è proprio l’approccio portato avanti, nella sua lunga esperienza, da rav Birnbaum”. 


Daniel Reichel


Aldo Terracina (1922 - 2010)

Aldo TerracinaChi scrive queste poche righe in omaggio ad Aldo Terracina non può che iniziare rifacendosi a ricordi personali che saranno forse di poco conto per altri ma che hanno un’enorme importanza per chi ha vissuto determinate esperienze.
Non è certo un segreto che sono arrivato a Roma una trentina di anni fa, venendo da una comunità grande e a quei tempi assai numerosa nella quale non solo io, ma la mia famiglia tutta era molto ben inserita. Era fine anno. Entrare quindi a Chanukkà nel Tempio Maggiore, assistere all’accensione dei lumi e ripartirne, a funzione terminata, senza che nessuno mi rivolgesse una parola era stato un trauma.
Una volta inseritomi nella struttura universitaria che per prima mi accolse, affermata la mia posizione nel mondo accademico, cercai di penetrare in quel mondo ebraico a cui mi sentivo di appartenere. Molte cose non mi erano tutte chiare. Ricordo, ad esempio, che quando chiesi di essere iscritto alla Comunità di Roma, specificando che intendevo essere considerato come facente parte del Tempio Spagnolo, ci fu qualcuno che manifestò stupore: ignoravo certe forme di snobismo…
Non fu dunque una cosa facile questo inserimento e fu certamente grazie a una persona tranquilla, mite, gentile e calma, che fui infine accettato. La persona che mi aprì la strada, la sua casa e le case dei suoi amici è certamente stato Aldo Terracina.
In un secondo tempo, ancora quando era presidente della Comunità Sergio Tagliacozzo z.l., mi trovai a essere con Aldo nello stesso Consiglio. Successivamente fu lui a essere il presidente e non posso ricordare di lui che la pazienza con la quale affrontava l’irruenza di alcuni consiglieri al momento della discussione sul varo dell’Intesa con lo Stato, quando c’era chi riteneva che sarebbe stato un errore tragico allontanarsi dalla Legge Falco degli anni Trenta.
In quella parte della vita di Aldo che ho potuto seguire, cioè appunto quella degli ultimi trenta anni non posso che confermare che la sua dedizione a quel coacervo di cose che sono la vita ebraica era totale. Non era molto addentro al fatto religioso in sé, era però visceralmente legato a tutti i problemi che coinvolgono la vita e le istituzioni comunitarie.
La sua dedizione alla ristrutturazione dei locali del «Pitigliani», che ha seguito in tutte le sue fasi senza risparmiarsi nessuna fatica nonostante lo stato avanzato della sua malattia, come mi ricordava recentemente il presidente dell’Istituto, Ugo Limentani, ne è un fulgido esempio.
Ma Aldo si dedicò anche ad altre iniziative, mettendo disinteressatamente al servizio delle istituzioni le sue conoscenze di ingegnere, il suo squisito buon gusto in fatto di architettura.
Lavori fatti al Centro bibliografico dell’Unione delle Comunità ebbero inizio sotto la sua egida; la sistemazione degli esterni della Casa di Riposo Ebraica in via Portuense fu fatta seguendo le sue idee.
In tutto ciò non si volle mai mettere in luce, fuggì sempre, con ammirevole modestia, qualsiasi occasione di apparire in pubblico, convinto del fatto che aver servito la collettività non deve essere un palcoscenico e ancor meno una via di accesso a cariche e onori.
Una vita vissuta, dunque, nel silenzio e nella tranquillità; un insegnamento per noi che dovremmo saperne apprezzare tutte le sfaccettature.
Sia il suo ricordo, dunque, in benedizione…

Giacomo Saban, direttore della Rassegna Mensile di Israel

(Nell'immagine, Aldo Terracina e Giacomo Saban all'ingresso del Tempio maggiore di Roma)


Qui Trieste - Musica e teatro a Erev/Laila 

MessiDebutta domani al Museo della Comunità ebraica di Trieste “Carlo e Vera Wagner”, con uno spumeggiante concerto di elettrotango la nuova edizione “Erev/Laila – Nuove tracce verso Gerusalemme”, quarta edizione del festival di musica e teatro ebraico che sino al 21 novembre proporrà un fitto calendario d’appuntamenti con ingresso gratuito a Trieste e in altre località del Friuli Venezia Giulia.
In programma musica, teatro, cultura popolare e iniziative rivolte in modo in particolare al mondo delle scuole. Star assoluta dell’edizione 2010, “il re del klezmer” Giora Feidman che si esibisce domenica 4/7 in piazza Giotti nello spazio a fianco della monumentale Sinagoga triestina. 
La manifestazione, che lo scorso anno ha visto oltre 10 mila spettatori, è diretta da Davide Casali ed è organizzata dalla Comunità ebraica di Trieste, dal Museo della Comunità ebraica di Trieste “Carlo e Vera Wagner” e dall’associazione Musica libera con la collaborazione del Comune di Gradisca d’Isonzo, della Comunità ebraica di Praga e del Terezín Memorial con il sostegno della Regione e della Provincia di Trieste. [...]

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Qui Venezia - Vittorio Ravà al timone del Casinò lagunare

MessiVittorio Ravà è il nuovo amministratore delegato del Casinò di Venezia. La nomina è stata annunciata ieri dal presidente del Casinò Mauro Pizzigati, che ha convocato il Consiglio di amministrazione per cooptare il nuovo consigliere.  [...]


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  Quali rabbini, quale futuro - 'No al complesso dell'accerchiamento'

Dario calimaniSui ghiurim e sul Tribunale rabbinico unico anche rav Riccardo Di Segni ha ragione. Vi è sicuramente nelle nostre comunità chi desidererebbe condizionare più o meno pesantemente la politica delle conversioni (e non solo quella), anche al di fuori del sistema halakhico di decisioni che spettano al rabbino e al Tribunale rabbinico.
Ciò che sembra tuttavia fondamentale è non mettere tutti gli interlocutori della questione sullo stesso piano, annullando sfumature di pensiero di un certo rilievo. Oltretutto, si rischia così di perdere anche il sostegno di quella parte di Comunità che la pensa in modo non molto diverso dagli stessi rabbini. Bisogna allora provare ad abbandonare il complesso dell'accerchiamento.
Fra coloro che credono nel Beth Din unico e, soprattutto, assolutamente indipendente dalla struttura comunitaria vi è chi spera che la nuova istituzione
1. renda più unitarie e coerenti le scelte in materia di halakhah;
2. si sostituisca a quei rabbanim di comunità che, per motivi diversi, non sono preparati ad affrontare problemi che coinvolgono delicate tematiche di identità ebraica individuale;
3. liberi i rav di comunità dal fardello di polemiche implicite in queste decisioni (come ammette rav Di Segni stesso);
4. eviti che polemiche personalizzate ricadano sulla vita della comunità incidendo distruttivamente sul rapporto fra rav e comunità;
5. possa dedicarsi a tempo pieno a seguire i percorsi di ghiur e la loro soluzione.
Tutto ciò detto, va ribadita la necessità di garantire a priori l'autonomia assoluta del Beth Din nella gestione delle sue competenze, per sgombrare il campo dall'idea (timore/speranza?) di trasformare il ghiur in un rituale di conversione automatica.
Da questa parte del fossato, insomma, non si sta cercando di favorire procedure riformate.

Dario Calimani, Consigliere Ucei



Israele-Onu, sgretolare l'isolamento

Francesco LucreziNonostante le pesanti difficoltà del momento attuale, va segnalato con soddisfazione un certo miglioramento registratosi, negli ultimi tempi, sul piano della partecipazione di Israele ai lavori delle Nazioni Unite, a seguito del suo inserimento nel gruppo dei Paesi dell’Europa Occidentale, USA, Canada, Australia e Nuova Zelanda, che - come spiegato, su Pagine Ebraiche di giugno, da Sergio Della Pergola - permette allo Stato ebraico di concorrere alla distribuzione delle varie cariche in seno all’organizzazione, superando in parte il suo storico isolamento.
Riguardo alla politica sistematicamente discriminatoria nei confronti di Israele esercitata dall’assemblea generale, un importante elemento di riflessione è fornito, sull’ultimo numero (47, Spring 2010) di Justice (la rivista della International Association of Jewish Lawyers and Jurists) da Richard Schifter, diplomatico statunitense che ha a lungo rappresentato il suo Paese all’ONU, avendo modo di conoscere dal di dentro i complicati meccanismi dell’istituzione. Le ricorrenti maggioranze anti-israeliane che si formano nell’assemblea generale, nota Schifter, riuniscono non solo Paesi arabi e musulmani - sui quali agisce, ovviamente, il riflesso condizionato antisionista - e Stati ideologicamente contrapposti agli USA (come Cuba, Venezuela, Corea de nord e altri Paesi radicali), ma anche una nutrita serie di Paesi in via di sviluppo (Benin, Ghana, Mali, Mongolia, Namibia ecc.), non caratterizzati da atteggiamenti pregiudizialmente antisionisti o antioccidentali, e anzi, in molti casi, debitori, nei confronti degli Stati Uniti, di sostanziosi aiuti finanziari. Come si spiega ciò? E’ così vasto il pregiudizio antisionista, o antisemita, o c’è dell’altro?
C’è dell’altro, e Schifter lo spiega, suggerendo anche dei possibili rimedi. Se, infatti, per i Paesi di maggiore peso politico, le posizioni da assumere nel contesto ONU provengono direttamente, per lo più, da decisioni politiche assunte, ad alto livello, in ambito governativo, molto spesso ciò non accade per i piccoli Paesi, che lasciano ai loro rappresentanti piena discrezionalità di voto su tutte le questioni (come quelle Medio-orientali) che non coinvolgono direttamente i loro interessi. E, in tale mancanza di direttive, la corruzione trova ampio spazio, e i voti dei diplomatici vengono sistematicamente comprati, anche a poco prezzo, da alcuni Paesi radicali (come, p. es., Libia e Cuba), che hanno interesse a tenere in piedi e alimentare l’atteggiamento anti-americano e anti-israeliano dell’assemblea. Tale situazione, nota Schifter, non è irreversibile, in quanto un possibile rimedio, da parte delle potenze democratiche, sarebbe quello di contattare direttamente i governi dei piccoli Paesi neutrali, facendo loro presente l’utilità e la convenienza di un atteggiamento più equilibrato e responsabile, e sollecitandoli a ‘controllare’ meglio il comportamento dei loro rappresentanti. Gli Stati Uniti, ricorda Schifter, hanno già cominciato a farlo, con l’amministrazione Bush, riscuotendo anche dei significatici successi, ma sarebbe molto importante se anche l’Europa cominciasse a muoversi in tale direzione.

Francesco Lucrezi, storico

 
 
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Poche notizie di attualità nei giornali di oggi all’avvicinarsi del periodo delle vacanze che sono sacre in tutti i Paesi che noi seguiamo per questa rubrica (anche a Gaza, per intenderci, è periodo di vacanze, e lì altri centri di svago per bambini sono stati distrutti l’altro giorno dai fondamentalisti, ma non è vacanza nei paesi davvero reietti dell’Africa o del sud del mondo dove non vi sono tuttavia cronisti). In una breve sul Foglio il ministro degli Esteri Lieberman, con crudezza ma con una logica oggettiva, dichiara che non vede possibile la nascita dello Stato palestinese prima del 2012. Nella stessa breve si riportano le parole del suo collega russo Lavirov che chiede di trattare con Hamas perché è stato eletto da una larga maggioranza di palestinesi in libere elezioni. Anche i suoi predecessori seguirono lo stesso ragionamento, e siglarono un accordo con Hitler che la storia insegna quanto fu lungimirante e utile per le sorti dell’umanità intera. Speriamo che qualcuno legga ed illustri a Lavirov che cosa sta scritto nello statuto di Hamas (e in quelli di tutti i gruppi radicali islamici). In un domani nel quale l’islam dovesse trionfare non vi sarebbe spazio neppure per una Russia, sì amica, ma non islamica. Alla storia passata guardano in California dove, come ci dice il Sole 24 Ore, le società che vogliono aggiudicarsi delle gare pubbliche (oggi, ad esempio, le ferrovie francesi) devono dimostrare di non essersi macchiate di gravi colpe connesse con la Shoah o, in alternativa, devono promuovere iniziative che possano in qualche modo riparare i propri torti passati. Nel nostro Paese nel quale in tanti hanno preferito limitarsi a voltar pagina si deve dubitare che tale iniziativa possa essere compresa nel suo profondo significato. A Washington si nomina in questi giorni la liberal ebrea Elena Kagan alla Corte Suprema. Il ben noto Pat Buchanan non perde l’occasione per parlare di “eccessiva rappresentanza” degli ebrei in questa Corte dove, per la prima volta, non siederà alcun protestante. Viene da chiedersi quando, in questo mondo che assiste a un nuovo dilagare di anti-semitismo, si comprenderà che ogni individuo deve essere giudicato indipendentemente dalla sua religione o dal colore della sua pelle, ma solo in base alla sua correttezza morale e professionale, alle idee delle quali si fa portatore. A Roma questa sera viene presentato il romanzo di Massimo Lomonaco: la caccia di Salomon Klein, ambientato nel ‘42 alla vigilia della battaglia di El Alamein. Un libro da leggere perché, per i corsi e ricorsi della storia, anche da pagine romanzate (Klein è un personaggio di fantasia) vi è sempre da imparare per le scelte che si imporranno a tutti noi. Sfogliando i giornali stranieri troviamo, sul Figaro, un articolo intitolato: Intifada della cravatta. In Israele la cravatta non è mai stata considerata un must, ma in questi giorni, a causa di rivendicazioni economiche dei dipendenti del ministero degli Esteri, l’etichetta rischia di arrecare gravi danni al Paese; dall’abbandono iniziale della cravatta si è passati ai sandali e ai pantaloncini corti, e poi si è andati ben oltre fino a oggi quando ministri e importanti ospiti stranieri vengono abbandonati al loro destino da autisti e accompagnatori, all’uscita da Yad Vashem come al ristorante alla moda o perfino all’arrivo all’aeroporto Ben Gurion. Il Financial Times analizza, da Teheran, le opere di carità compiute da uno speciale comitato; queste permettono al regime iraniano di assicurarsi l’appoggio dei cittadini più disagiati; costoro, conquistati dalla carità, non si uniscono alla classe media che rischia la propria pelle per distruggere il potere dei mullah. Sull’Herald Tribune ci si interroga se siano la povertà, la corruzione e l’abuso di potere alla base del terrorismo; ascoltando le parole di coloro che sono accusati di terrorismo sembrerebbe che, in realtà, tutto si debba invece spiegare con le invasioni terrestri, fatte dagli americani, delle terre islamiche e dei sovrastanti cieli (con i temuti droni). Da questo nascerebbe la reazione che, inizialmente locale, diventa poi globale (Al Qaeda). Questo è il ragionamento fatto sia dall’analista finanziario islamico di New York che dal contadino yemenita. Peccato, tuttavia, che non troviamo, in questo articolo, alcuna traccia delle ragioni che hanno portato a queste invasioni. Non si dimentichi che l’Herald Tribune è da tempo lontano dalla logica occidentale, ma sempre più sensibile alle ragioni dell’islam, anche se il più radicale.

Emanuel Segre Amar

 
 
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Al via il seminario per insegnanti delle scuole ebraiche italiane
Roma, 30 giu -
Anche questo anno, grazie al progetto di collaborazione fra World ORT e il Centro pedagogico dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, è stato organizzato il seminario per insegnanti ed educatori delle scuole ebraiche italiane. Il corso, che inizierà nelle giornata di oggi, proseguirà fino al 2 luglio. Fra i partecipanti, in rappresentanza dell'UCEI, ci sarà la vicepresidente Claudia De Benedetti, che si è detta “particolarmente lieta di partecipare all'incontro” in quanto ritiene che “fra le istituzioni che maggiormente qualificano e legittimano una comunità ebraica della diaspora, da sempre, la scuola occupa il primo posto infatti ha il compito principale e fondamentale di educare ed insegnare a essere ebrei ma anche di plasmare ed assicurare l’identità ebraica ed ancora di mantenere viva e trasmettere la cultura del nostro popolo d’Israele”. E ancora ha affermato: “La scuola è lo strumento essenziale che hanno a disposizione le nostre comunità per assolvere un grande impegno: accogliere bambini e ragazzi aiutandoli a crescere nella tradizione dei nostri padri. Una comunità che ha la fortuna di avere una propria scuola è una comunità che può guardare al futuro con minore preoccupazione di altre, poiché può contare su una generazione giovane che cresce e si forma”.  Poi la vicepresidente ha voluto con orgoglio ricordare che “le comunità ebraiche italiane in soli due mesi, in seguito alla politica discriminatoria fascista e alle leggi del 1938, con un meravigliosa e frenetica attività costituirono 23 scuole elementari, 14 scuole medie ed alcuni licei e scuole tecniche e professionali. Nella disgrazia della discriminazione che furono costretti a subire, i giovani che si trovarono a frequentare le scuola poterono approfittare della presenza, come insegnanti, di alcuni insigni docenti che dovettero abbandonare i migliori istituti cittadini e  prestigiosi insegnamenti universitari”. “Mai come in questi anni – ha concluso la vicepresidente Ucei - la presenza delle nostre scuole ha assunto un ruolo fondamentale, tanto importante da permettere la circolazione all’interno di molte famiglie, attraverso i loro figli, di tradizioni ed informazioni, che, altrimenti, sarebbero rimaste loro sconosciute e perdute per sempre”.

Alfano a Yad Vashem: “La difesa della democrazia israeliana
necessaria perché non si ripetano gli orrori della Shoah”

Gerusalemme, 29 giu -
Si è conclusa ieri la visita del ministro della Giustizia Angelino Alfano in Israele. Da segnalare fra gli impegni dell'ultima giornata a Gerusalemme del ministro italiano la visita allo Yad Vashem. Alfano ha voluto per l'occasione lanciare un richiamo alla difesa della "democrazia" e della "libertà" di Israele, quale garanzia affinché non si ripetano gli orrori della Shoah. Il viaggio in Israele era cominciato invece con la firma di una dichiarazione di intenti, assieme al ministro israeliano Yaakov Neeman, sulla cooperazione giudiziaria bilaterale contro terrorismo e criminalità organizzata. Ultima tappa del viaggio è stata invece la visita a Ramallah (Cisgiordania), dove il Guardasigilli, è stato ricevuto dal premier dell'Autorità nazionale palestinese (Anp), Salam Fayyad, e dal ministro della Giustizia, Ali Khashan.

 
 
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