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L'Unione informa
 
    23 gennaio 2009 - 27 Tevet 5769  
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Moked - il portale dell´ebraismo italiano
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  roberto colombo Roberto Colombo, 
rabbino
"Io li scongiuro in nome di Dio, e se posso io ordino a tutti, di non farmi molte lodi e di non dilungarsi su di esse, solo si dica che non facevo parte degli ipocriti, il mio interno è come il mio esterno, sono stato timorato di Dio , mo sono tenuto lontano dal male più in segreto che in palese e non ho avuto riguardi ad amico o parente e neanche a me stesso e a ciò che mi poteva essere utile quando si trattava di quello che sembrava la verità". (Elegia funebre scritta per se stesso dal Rabbino Leon Modena)
Ci sono due modi per catturare una lepre: correrle dietro o aspettare che passi davanti. Entrambi affaticano: una il corpo, l'altro la mente. Vittorio Dan Segre,
pensionato
vittorio dan segre  
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  diaspora"Diaspora", la storia degli ebrei nel Novecento
nel nuovo saggio di Anna Foa da oggi in libreria

Recentemente, durante un'amabilissimo ma frettoloso scambio di vedute, ho avuto la malagrazia di ricordare ad Anna Foa il mio aforisma preferito (“Il giornalismo ha appestato il mondo con il talento, lo storicismo senza neanche quello”, Karl Kraus). Lei, che del lavoro di storico è riuscita a fare non solo esercizio di autorevolezza, ma anche una formidabile occasione di vedere e di comprendere messa alla portata del comune lettore, proprio non lo meritava. Ci ha riso su e so bene che non se l'è avuta a male, ma vorrei comunque cogliere l'occasione dell'uscita nelle librerie, in questo fine settimana, del suo ultimo lavoro (“Diaspora, Storia degli ebrei nel Novecento”, Laterza editore) per porgerle pubbliche scuse. Il suo libro, di cui offriamo al lettore un'anticipazione qui di seguito (e sul Portale dell'ebraismo italiano una selezione più ampia), è lo straordinario e solido saggio di un talento che non rinuncia mai al rigore. Leggerlo al più presto possibile, in questa stagione così densa e travagliata, non è solo consigliabile, è quasi un obbligo.

gv

Dal III° Capitolo - Tradizione e modernità
1. Le energie liberate


Tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento, si verifica nel mondo ebraico una vera e propria esplosione culturale. Scrittori, pensatori, musicisti, artisti, antropologi, scienziati ebrei o di origine ebraica sembrano egemonizzare la cultura del tempo, sia per il loro numero, elevatissimo rispetto al loro peso numerico nella società, sia per le vette che raggiungono: da Marx a Freud, da Kafka a Warburg, da Einstein a  Schoenberg, da Durkheim a Adorno, la cultura europea sembra improvvisamente fatta tutta in buona parte da ebrei. Data la ricchezza di questa storia culturale, che finisce per identificarsi con quella più generale dell’Europa tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento, ci limiteremo a seguire alcuni di questi percorsi, concentrando la nostra attenzione su momenti particolarmente  significativi, consapevoli però che molti altri percorsi altrettanto rilevanti resteranno fuori dall’analisi, molte domande altrettanto importanti resteranno inespresse.
Innanzitutto, come spiegare tutta questa creatività? La coincidenza con il momento  dell’emancipazione, con il raggiungimento dell’uguaglianza civile e politica e  dell’inserimento nella società, potrebbe farci pensare che si sia trattato dell’esplosione di energia che segue la liberazione dalle inferiorità e dalle oppressioni. Uscito dal ghetto, il mondo ebraico si sarebbe così sentito finalmente libero di esprimere le sue energie creative, e avrebbe impregnato il mondo di pensiero, letteratura, poesia, musica, pittura. Che questo elemento liberatorio sia presente è difficile negarlo. L’esplosione creativa non è però circoscritta all’Occidente, dove gli ebrei sono ormai pienamente emancipati, ma tocca profondamente anche il mondo russo, dove l’emancipazione è loro ostinatamente negata fino alla rivoluzione del 1917. La cultura di questi decenni non sembra così essere il frutto della sola emancipazione, ma delle trasformazioni che l’incontro con la modernità ha indotto negli ebrei, e quindi di una fusione culturale irripetibile, perché ancorata nel particolare momento storico, del mondo ebraico con quello esterno.
Sono processi che implicano profondi cambiamenti nell’universo mentale e culturale degli ebrei. L’accesso alla cultura esterna, con la frequenza delle scuole pubbliche e delle università, non ebbe infatti soltanto l’effetto di mutare i contenuti del loro sapere e della loro educazione, restringendo lo spazio delle scienze religiose. Esso reinserì globalmente il sapere della minoranza nel vasto complesso culturale e mentale del sapere esterno. Non che gli ebrei fossero stati nel passato radicalmente separati dalla cultura esterna. Anzi, una delle caratteristiche più salienti del mondo ebraico, soprattutto in Occidente, è il fecondo circuito di scambio che si era costantemente determinato con il mondo circostante. Uno scambio che la storiografia ha da tempo definito, seppellendo come riduttiva l’etichetta di «influenza», come un dinamico e multidirezionale circuito di  rapporti, assorbimenti, riadattamenti culturali (Myers 2003: 10). Ora, però,  questo processo si approfondisce, fino a toccare le due categorie fondamentali del tempo e dello spazio, due categorie che erano rimaste fino ad allora in linea di massima estranee al circuito di scambio tra le due culture e che divengono adesso per gli ebrei le categorie fondanti dell’incontro con la modernità. Il tempo, cioè l’idea di storia. Lo spazio, cioè quella di nazione. Ad essere interessate inizialmente a questo processo di  trasformazione sono due aree specifiche, sia pur vaste, del mondo ebraico, quella tedesca e quella russa. Nella prima di queste due aree, il mondo ebraico intraprende, a partire dalla fine del Settecento e dall’Haskalah, un percorso di intenso rapporto con il mondo esterno che nutre e accompagna il processo di emancipazione politica. Nella seconda, il mondo ebraico, posto di fronte al muro del rifiuto dell’uguaglianza, elabora un pensiero rivoluzionario e dà alla propria identità una connotazione nazionale. L’idea di storia nel mondo tedesco, e quella di nazione nel mondo russo, sono il frutto di questi percorsi culturali.

 
 
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rassegna stampa    
 
 
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La tregua a Gaza regge e, lo diciamo con un intimo senso di liberazione, la nostra rassegna stampa può a sua volta concentrarsi non sull’emergenza bellica ma su segnalazioni e approfondimenti un po’ più articolati di quanto non capiti con le notizie dettate dall’emergenza. Un solo richiamo ad una dolorosissima vicenda, speriamo aperta (ovvero con la vittima ancora in vita), quella del rapimento di Gilad Shalit. Secondo quanto riportato da Francesco Battistini su il Corriere della sera  e da Antonellha Rampino su la Stampa, ma anche da Umberto De Giovannangeli su l’Unità, sarebbe possibile uno scambio. Confidiamo tenacemente in questo esito. A latere ci permettiamo di rimandare all’articolo comparso su il Foglio, dove si dice che Hamas gonfierebbe ad arte il numero delle vittime civili dei combattimenti che si sono da poco conclusi. Nel mentre, come Guido Rampoldi resoconta su la Repubblica, il movimento islamista finga anche di potere cantare vittoria. Partiamo adesso dalle quisquilie e pinzellacchere, come avrebbe detto il grande Totò.  Santoro torna a colpire (non c’era da dubitarne), così come ci
raccontano Alessandra Arachi su il Corriere della sera, Goffredo De Marchis su la Repubblica , Martino Cervo su Libero, rivolgendosi direttamente, non meno che enfaticamente, al Capo dello Stato per una vicenda legata ad una multa che la sua trasmissione ha ricevuto. L’occasione gli è stata propizia per tenere una concione alla “nazione” ancora una volta incentrata sulla bontà del proprio agire, sull’imparzialità che lo connoterebbe, soprattutto nel merito del giudizio sul conflitto israelo-palestinese. Passiamo oltre, rubricando il tutto ad una opinabile iniziativa di chi, tra gli altri, tiene in pugno la televisione pubblica occupandone gli spazi? Forse sì, è il caso di andare verso altri orizzonti, almeno tra quelli televisivi. Ma al fenomeno del populismo catodico (come altrimenti definire tutto ciò?) si accompagna l’ancora più inquietante succedersi di manifestazioni antisemitiche. Questa volta è il caso dei lucchetti di 22 negozi di viale Libia, a Roma, sigillati con la colla da Militia, l’organizzazione neofascista che da tempo offre sgradevoli manifestazioni di sé nella capitale. Ce ne parlano diffusamente Paolo Brogi su il Corriere della sera, Giulia Bertagnolio su Epolis Roma, Ester Mieli su  Libero Roma, Veronica Cursi su il Messagero, Renata Mambelli e Laura Serloni su la Repubblica  ma anche il Manifesto per la penna di Giacomo Russo Spena.
Poiché ci avviciniamo la Giorno della Memoria gli articoli al riguardo iniziano a susseguirsi. Guido  Caldiron, su Liberazione, fa una interessante analisi critica dell’evoluzione del ricordo della Shoah nell’età della scomparsa dei testimoni. Di fatto si sta ultimando una transizione generazionale che ci sta portando verso un’epoca dove solo la storia, intesa come disciplina ma anche come forma di comunicazione, potrà rendere conto dei trascorsi. Si pone quindi il problema del “buon uso del passato”, di contro agli oblii ma anche agli eccessi. Gli uni e gli altri creano tensioni ingovernabili, destinate a manipolare quel che è stato per determinare quel che potrà essere nel nome dell’incoscienza. Che i negazionisti siano sempre all’opera, peraltro, ce lo dimostrano le frasi del vescovo lefebvriano Richiard Williamson, riportate da Andrea Tarquini su la Repubblica e da Giacomo Galeazzi su la Stampa. Già nel novembre dell’anno scorso avrebbe dichiarato che «le camere a gas non sono mai esistite». Fatto in sé tanto più inquietante se si pensa che lo scisma che aveva escluso monsignor Lefebvre dalla Chiesa potrebbe essere ricomposto da Benedetto XVI, così come ci racconta Paolo Rodari su il Riformista Frediano Sessi, su l’Avvenire si sofferma sull’attività di ricostruzione dell’azione sterminatrice delle Eisatzgruppen, le unità mobili utilizzate per le fucilazioni in massa, nei paesi dell’Europa dell’Est durante l’occupazione tedesca, tra il 1941 e il 1944. È il caso della ricerca del francese padre Desbois, in ciò sostenuto dall’associazione «Yahad-In unum» che opera a partire da un’indagine negli archivi tedeschi ed ex sovietici, passando poi alla raccolta di testimonianze e, infine, alla individuazione delle fosse comuni non ancora censite. Gianluca Di Feo, su l’Espresso, e Bruno Quaranta su la Stampa presentano «il libro dei deportati», un’opera in tra volumi curata da Brunello Mantelli e Nicola Tranfaglia, che racconta la traiettoria esistenziale e il destino di 23 mila deportati politici dall’Italia nei canpi di concentramento nazisti. 
Anna Momigliano per il Riformista e Ippolito Edmondo Ferrario su il Secolo d’Italia  recensiscono il libro di Robert Satloff su gli arabi Tzadik, che salvarono gli ebrei dalle persecuzioni e dalle deportazioni. Umberto Eco su l’Espresso firma infine una «bustina di Minerva» dedicata all’antisemitismo mascherato da critica ad Israele. Non ci dice cose che già non ci siano note ma è importante, con il frangente che si sta vivendo, che un intelletuale dello spessore e della notorietà che gli sono proprie prenda apertamente posizione contro quegli slittamenti del senso comune e del giudizio collettivo che si accompagnano al rigurgito di un pregiudizio così tanto feroce quanto
diffuso.

Claudio Vercelli

 
 
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notizieflash    
 
 
“Un popolo, un destino comune”, “Un modello per i giovani”                     
Roma 23 gen -
“Non solo un viaggio di solidarietà, ma un viaggio di condivisione del destino comune del popolo d’Israele” così il vicepresidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Claudia De Benedetti ha definito la missione dei leader ebraici italiani in Israele cui ha partecipato. E ha aggiunto - “Ho condiviso per poche ore i sentimenti più profondi del nostro popolo, più che mai fiero, ostinato, dalla dura cervice. Un popolo che resiste, che lotta, che non si scoraggia, che non ha avuto paura di affrontare la realtà del terrorismo e della guerra perchè vi è stato costretto”. “Tornando in Italia – ha concluso Claudia De Benedetti - ho negli occhi e nel cuore il giovane soldato gravemente ferito cui abbiamo avuto modo di fare visita all’Ospedale di Beer Sheva e con i suoi famigliari ripeto Am Yisrael chai, il popolo di Israele vive.
Daniele Nahum, presidente dell'Unione giovani ebrei d'Italia, anche lui presente alla missione, ha espresso la medesima soddisfazione per l'esperienza appena vissuta  “E’ stata una missione importante perché ci ha consentito di stare sul campo e vedere da vicino la realtà di Israele. Abbiamo attraversato un Paese uscito da un conflitto, limitato, ma molto grave e abbiamo preso contatto con le realtà del Sud, abbiamo visto la capacità delle istituzioni di reagire e di proteggere la popolazione civile”. “Ma quello che forse mi ha più colpito è stata la serata trascorsa assieme ai ragazzi del villaggio Ayalim. Sono giovani che ripercorrono l’avventura pionieristica dei padri fondatori di fratellanza, cooperazione e forte appartenenza al popolo ebraico”. “Ora – ha aggiunto Nahum – vorrei realizzare una missione che coinvolga molte organizzazioni giovanili italiane per accostarsi e comprendere meglio esperienze entusiasmanti come questa”


Rai: caso Santoro dopo la puntata su Gaza
Roma 23, gen -
"La passata puntata su Gaza l'ho guardato e ha veramente esagerato” - questa l'opinione espressa dal Sottosegretario alle Comunicazioni Paolo Romani sul caso Anno Zero di Santoro, espressa in un intervento a “24 Mattino” su Radio 24. E ancora - “Io con lui ho un rapporto altalenante, mi fece anche causa quando dissi che faceva killeraggio politico e perse, pagando le spese processuali. Non so cosa gli capiti ogni tanto - ha proseguito Romani - è un eccellente professionista, ha portato la piazza e il Paese reale in tv, ma alle volte gli piglia una serata in cui deve dimostrare a tutti i costi che una tesi faziosa e partigiana sia da esporre nel servizio pubblico e non c'è nessuno che lo possa fermare. Spero che il servizio pubblico, nei suoi organi, faccia capire a chi fa programmi sulla tv pubblica, prendendo lauti stipendi pagati col canone, che ci sono paletti ben precisi. Va bene l'informazione aggressiva e investigativa - ha aggiunto Romani - ma non trasmissioni come quella su Israele, inaccettabile e irresponsabile”.

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